Se la candidatura nelle liste del Pd di Massimo Mucchetti ha fatto subito pensare a un Pier Luigi Bersani che ha per la testa qualche operazione di sistema («con la voglia di Iri che c’è in giro non mi sorprenderebbe se venisse fuori un passaggio di Eni dal Tesoro alla Cdp» diceva qualche giorno fa un oil man milanese) le ultime mosse del segretario vanno invece nella direzione di una blindatura della concertazione, complice un riposizionamento di alcune associazioni di categoria, in un’impostazione che sembra così andare nella direzione di un partito unico, capace di rappresentare al suo interno tutte le pieghe dei conflitti di cui è composto il tessuto sociale. Sempre di più una delle discriminanti nel voto a favore di Bersani o di Monti sarà proprio l’approccio verso la concertazione come conciliazione del conflitto, metodo tanto rivendicato dal primo quanto rigettato dal secondo (memorabile lo scontro dell’estate scorsa col primo che diceva che «le riforme si fanno dialogando con tutti» e il secondo che bollava la concertazione come la causa che ha «generato i mali contro cui noi combattiamo e a causa dei quali i nostri figli e nipoti non trovano facilmente lavoro»).
Partiamo dall’ultimo arrivato in ordine di tempo nelle file del Pd. Da quel Giampaolo Galli che, laurea in Bocconi e dottorato al Mit, dal marzo 1995 al febbraio 2003 è stato capo economista di Confindustria prima di diventare Direttore generale di viale dell’Astronomia, dal febbraio 2009 a luglio dell’anno scorso, quando alla presidenza c’era Emma Marcegaglia. Mentre i vertici attuali dell’associazione degli imprenditori restano afoni (forse perché in imbarazzo in uno scenario che vede in campo un movimento come Italia Futura fondato da un ex presidente come Luca Cordero di Montezemolo) l’arrivo di Galli nel partito di Fassina che candida anche l’ex segretario della Cgil Guglielmo Epifani sembra la quadratura del cerchio dell’impostazione del segretario Pd. Nella speranza che i nomi scelti dal segretario Pd siano più solidi, e in qualche modo più in linea coi valori di quel partito, di quelli indicati a suo tempo da Veltroni. Che, ad esempio, da Confindustria prese uno come Massimo Calearo (imprenditore veneto, ex presidente di Federmeccanica) che alla Zanzara di Cruciani su Radio 24 disse che «due gay che si baciano mi fanno schifo», mentre lasciava il Pd per muovere verso destra.
Giampaolo Galli
Oppure prendiamo un’altra candidatura che arriva dalle categorie, quella del segretario generale della Confcommercio Luigi Taranto. Palermitano, 53 anni, il suo approdo nel listino arriva dopo un incontro, il 17 ottobre scorso, nella sede dell’associazione dei commercianti che permise all’Huffington Post di titolare: «Bersani convince Confcommercio, platea storicamente amica di Berlusconi». Infatti l’associazione di categoria dei negozianti più vicina alla sinistra era Confesercenti. Confcommercio è invece guidata da Carlo Sangalli, deputato Dc dal 1968 (quando aveva 31 anni) al 1994, mezzala andreottiana della nazionale dei parlamentari, vicino a Silvio Berlusconi con cui è spesso allo stadio a vedere le partite del Milan. E anche immarcescibile uomo chiave del potere milanese. Sangalli in Fondazione Cariplo, di cui è vice presidente, è rimasto famoso per una battuta: davanti a chi gli faceva notare che alla sua età (è del 1937) era meglio evitare fare piani troppo a lungo termine rispose, rivolto al presidente Giuseppe Guzzetti (che è invece del ’34): «ma non l’avete ancora capito che noi siamo eterni?».
Luigi Taranto
Infine, le scelte del segretario vedono anche la candidatura dell’economista ed esperto del lavoro Carlo Dell’Aringa («sarà la nostra punta di diamante su questi temi che saranno decisivi nella prossima legislatura» ha detto Enrico Letta) che, secondo la vulgata, avrebbe dovuto avere il posto di Elsa Fornero nel governo Monti ma fu bloccato da un veto di Susanna Camusso.
Insomma, forse il fatto che questa volta il Pd sembri davvero vicino alla stanza dei bottoni lo ha reso più appetibile ai palati di molte associazioni di categoria. Ma in piena crisi della rappresentanza, da quella politica a quella di categoria, mentre partiti e associazioni soffrono una crisi di rappresentatività, le mosse di Bersani sembrano disegnate a costruire un partito unico che, mentre marginalizza esponenti importanti dell’area renziana come Umberto Ranieri (che sul Foglio ha scritto un articolo dal titolo «Rottamare l’agenda Fassina») cerca invece di portare al suo interno istanze multiple, se non antitetiche, come possono essere quelle di un Galli e di un Fassina. Il tutto nello sforzo di raggiungere quella «sintesi» di cui il segretario Pd parla spesso come compito di un grande partito, rifiutando le richieste di «silenziare» Fassina come gli ha chiesto, con espressione infelice, Mario Monti. Silenziare? Macché. Bersani la cacofonia la espande, forse anche in virtù di quell’antico «divide et impera» su cui spesso si costruisce la legittimazione del potere.
Alla crisi della rappresentanza Bersani risponde quindi cercando di fagocitarla in tutte le sue forme, forte del fatto che il suo è l’unico grande partito rimasto in piedi. Così, mentre ci si chiede se riuscirà a conciliare queste spinte (sono persone che «si occupano di economia reale non di chiacchere e questo li terrà assieme» assicura il leader Pd) e mentre viene facile notare che questo approccio da partito unico aperto a tutti non è esattamente quello tenuto alle primarie, dove di guardava quasi schifati ai voti della destra che avrebbe portato Renzi, viene altrettanto facile sottolineare che in un partito che aveva un’ambizione di rappresentare tutta la società e che puntava su concertazione e operazioni di sistema in Italia c’era già, e si chiamava Democrazia Cristiana. Oggi chi ne rivendica l’eredità sta in mezzo, con Monti, a cercare i voti che servono per allearsi in posizione decisiva, dopo. Con Bersani, naturalmente.
PS: è di stamane la notizia che anche il numero due della Cisl Giorgio
Santini si candida con il Pd. E il quadro è completo
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