Gli ex amici di Mussari giocano già allo scaricabarile

Gli ex amici di Mussari giocano già allo scaricabarile

Chi la sa lunga lo chiama “il gioco pavido dello scaricabarile.” Guardate che spettacolo: “tutti si sfilano sorpresi…”. Mussari indagato e deposto “a loro insaputa” e chi lo appoggiava fino a ieri santificato. In corsa per le migliori cariche o seduto sulle poltrone che più contano del nostro capitalismo. Qualcosa non torna nel romanzone shakespeariano di Siena e nelle dimissioni dall’Abi dell’ex banchiere calabrese.
C’è come una parte in chiaro, persino pigra e facile che tutti raccontano volentieri. E’ un film rivisto più volte, sacrosanto: il cumulo di potere spropositato di chi si prende il Comune di Siena (da sempre il Pci-Pds-Ds-Pd) e insieme il controllo della Deputazione generale alla testa della Fondazione Mps dove si fanno davvero i giochi per i sindaci, i presidenti della provincia, i segretari di partito e quindi, a cascata, della terza banca italiana. Tutti gli ex sindaci della città toscana sono stati dipendenti di Rocca Salimbeni e moltissimi politici sono dirigenti in aspettativa in un paesone eterno dove la banca più antica del mondo da lavoro a 3 mila persone, fa welfare sostitutivo, restaura palazzi, decide assunzioni, affidamenti e promozioni. Partitone rosso, massoneria, Opus dei e leghismo in salsa senese che s’intrecciano da sempre. Dallo scandalo della Banca Romana fino a Fassino e Bersani le banche evidentemente non fanno troppo bene alla sinistra italiana. Anche per questo suona risibile la difesa d’ufficio, schizzinosa, di Massimo D’Alema: “Il Pd? Con Mps non è mai c’entrato nulla…”

C’è invece una parte in scuro che si porta molto meno perchè procura imbarazzi e ripesca nei cassetti fotografie di gruppo che si vorrebbero cancellare. Ed è la solitudine improvvisa di un signore per un decennio al vertice assoluto del Monte (per metà alla guida della Fondazione Mps e per metà direttamente della banca) e al centro di un sistema di potere e di relazioni bipartisan, collaudate, persino alla luce del sole. Per anni la Banca Mps a guida Mussari ha sperperato una fortuna senza che nessuno muovesse un dito. Tre episodi su tutti: ha perso 8 miliardi di patrimonio ai prezzi di borsa dai massimi del 2007; ha acquistato Antonveneta per 10 miliardi, tre in più di quanto l’avevano pagata gli spagnoli del Santander; e nel 2009 ha dovuto bussare alla porta del Tesoro per sottoscrivere 1,9 miliardi di Tremonti Bond. Non basta. Nei mesi che vanno dal gennaio 2011 all’estate 2012 Mps accumula 6,2 miliardi di perdite, 17 di crediti a rischio con 11 miliardi di derivati in pancia. Tutte cose che si sapevano bene. Lo scandalo derivati e il tormentone giudiziario arriveranno solo dopo. Anche quel Vittorio Grilli una volta orgogliosamente tremontiano e simpatetico con Mussari, che all’epoca in cui si gettavano le basi per il disastro odierno era direttore del Tesoro, lo ha ammesso con qualche amnesia di troppo: “da almeno un anno si sapeva che la banca era in condizioni problematiche…”, gettando però la patata bollente addosso alla Bankitalia di Mario Draghi.

Eppure sono gli anni migliori di Mussari che sdogana la banca e si sdogana fuori dalla cinta senese per giocare al grande risiko italiano ed europeo. Nel 2005 Mps è in cordata con la Unipol guidata da Giovanni Consorte, lanciata alla conquista di Bnl. L’avvocato calabrese, senese di adozione, allora alla testa della Fondazione, trova due sponde politiche illustri in Giuliano Amato (eletto più volte in Parlamento partendo dal collegio di Siena e oggi candidato al Quirinale) e Franco Bassanini (ex vice presidente del Monte oggi al vertice di Cdp) contro l’asse interno dalemiano. E una terza sponda nel costruttore-finanziere Francesco Gaetano Caltagirone il quale, uscendo sconfitto dall’operazione Bnl, cambia strategia e investe su quella Mps che, due anni dopo, compie il blitz sull’Antonveneta.
Il ciuffo di Mussari lo si incontrava in giro per convegni ed happening cultural-mondani perfettamente bipartisan, con il suo zainetto rosso e l’Ipad perennemente tra le mani. Andando a memoria: si ricorda un intervento ispiratissimo al Meeting di Rimini 2010 in cui il banchiere invita tutti, per superare la crisi, “ad offrire il meglio di sè, non è più tempo di buttare la polvere sotto il tappeto…”; un’intervista iper tremontiana al Foglio; l’intervento all’assemblea delle Coop lombarde all’auditorium del Sole 24 Ore; il gran capo delle fondazioni bancarie, Giuseppe Guzzetti, che lo prende sotto la sua ala portandolo alla vice presidenza dell’Acri; Geronzi che lo stima e non lo nasconde, di Caltagirone abbiamo già detto, fino a Giovanni Bazoli che lo vuole fortissimamente alla guida dell’Assobancaria italiana nella primavera 2010. Come si vede il consenso e le relazioni sono ampiamente trasversali.

In fondo la dote principale dell’avvocato Mussari è relazionale, politica. Finisce a fare il banchiere ma avrebbe potuto scalare i vertici del partito, dov’è cominciata la sua avventura di potere. Non a caso su imbeccata di Bazoli all’Abi verrà eletto con il sostegno di tutte le grandi banche e poi riconfermato nel giugno scorso, quando Mps è già abbondantemente nella bufera e sull’acquisto di Antonveneta pende una indagine della magistratura e un’accusa di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Nel frattempo in aprile Alessandro Profumo lo sostituisce al vertice del Monte. Il 6 maggio la trasmissione Report rivela l’esistenza del famigerato contratto “Alexandria” e parte la ridda di voci su tagli, licenziamenti e repulisti. Ma tutto ciò, insieme ai pessimi risultati gestionali, non basta ad evitargli un bis all’Abi. E che bis: un video immortala le parole del decano Bazoli e il suo apprezzamento senza riserve sul banchiere “disoccupato” Mussari.
Domanda semplice: dov’erano in questi anni i regolatori, la Consob, Bankitalia, i colleghi banchieri padroni dell’Abi, i politici di peso in relazione con lui e i signori del capitalismo italiano? Il silenzio, l’imbarazzo e il cinismo adesso che Mussari è caduto nella polvere si tagliano con il coltello.

Forse perchè Mps, come una grande matrioska, apre molte scatole scabrose: c’è l’intreccio politico, evidente; c’è l’ennesima cartolina sul ruolo dei politici-banchieri che presidiano i gangli della finanza italiana; c’è l’epilogo della lunga stagione luci ed ombre di fusioni/acquisizioni che ha cambiato pelle al sistema bancario; c’è il ruolo anfibio delle fondazioni bancarie (azionisti di lungo termine o camera di compensazione di interessi non sempre generali?) ma, soprattutto, c’è lo spaccato di una classe dirigente che continua, imperterrita, a giocare allo scaricabarile…