Aggiornamento a giovedì 7 febbraio 17.00. L’amministratore delegato Paolo Scaroni e altri manager dell’Eni sono indagati per presunte tangenti destinate a funzionari pubblici in Algeria. L’inchiesta per corruzione internazionale è condotta dalla Procura di Milano. Gli altri indagati sono Pietro Varone, attuale dirigente Saipem (controllata di Eni), l’ex a.d. di Saipem Pietro Tali e alti ex dirigenti Saipem quali Alessandro Bernini, Tullio Orsi, Antonio Vella e Nerio Capanna. È indagato anche Farid Bedjaoui, il presunto intermediario a cui era riconducibile la società di Hong Kong “collettrice” delle mazzette che, secondo le ipotesi d’inchiesta, sarebbero destinate a ottenere appalti pubblici in Algeria. Scaroni, secondo le ipotesi degli inquirenti, avrebbe incontrato a Parigi un intermediario della società di Bedjaoui. Il gruppo petrolifero e il suo ammministratore delegato si sono dichiarati «completamente estranei all’indagine».
La procura di Milano indaga sulle attività di Saipem in Algeria, nazione ricca di gas e petrolio ma devastata dalla corruzione, dove infuria una lotta di potere feroce ma sotterranea tra civili e militari. E dove è meglio non fidarsi di nulla di ufficiale. In un’inchiesta durata un mese e mezzo Linkiesta ha ricostruito la genesi della vicenda che ha coinvolto la compagnia petrolifera italiana.
«Scandalo Saipem in Algeria, cadono i vertici» scrive il Sole 24 Ore del 6 dicembre 2012. In effetti la notizia è di quelle esplosive: la notifica di un’informazione di garanzia a Saipem, società posseduta per il 43% da Eni e fra le principali al mondo nel settore dei servizi per l’industria petrolifera.
L’indagine della procura di Milano sui presunti reati di corruzione commessi entro il 2009, e relativi a dei contratti stipulati in Algeria, provoca in Saipem un vero terremoto. Si dimette l’amministratore delegato Franco Tali, storica guida della società, come pure il direttore finanziario di Eni Alessandro Bernini, che fino al 2008 ha ricoperto lo stesso incarico proprio in Saipem. E dopo l’avviso di garanzia a Pietro Varone, chief operating officer dell’unità Engineering and Construction, il CdA di Saipem ne delibera la sospensione cautelare.
Ma lo scandalo su cui stanno indagano i pm milanesi affonda le sue radici in una vicenda ben più intricata e oscura. Che ha colpito per prima la Sonatrach, la società nazionale degli idrocarburi dell’Algeria: infatti nel dicembre del 2009 i suoi massimi vertici sono stati posti sotto inchiesta dalla magistratura algerina, per presunte malversazioni.
Sia chiaro, l’Algeria non è certo un paradiso della legalità. Nella classifica di Transparency International sulla corruzione, la nazione nordafricana occupa il centocinquesimo posto (su 174 Paesi in tutto). Nel 2011 si pensava potesse essere contagiata dalla Primavera araba nata in Tunisia e diffusasi, seppur in modi e gradi diversi, in Egitto, Marocco, Libia, Giordania, Siria, Yemen e Bahrein. Così non è stato.
L’Algeria è infatti uno dei molti Paesi arabi a essere ancora governato da un regime non democratico. Lo conferma a Linkiesta Youcef Bouandel, direttore del Dipartimento di Affari Internazionali della Qatar University: «L’Algeria è molto lontana dall’essere uno Stato democratico, si tratta solo di una democrazia di facciata. Si tengono elezioni ad intervalli regolari e nel 2011 sono state introdotte delle riforme. Che però, in realtà, non servono a nient’altro che a rafforzare lo status quo».
Una mancanza di democrazia che si riflette inevitabilmente sul sistema giudiziario. Proprio per questo l’attenzione della magistratura algerina verso le attività di Sonatrach, pilastro portante dell’economia nazionale, non può essere considerata un caso. In un Paese dove gli idrocarburi rappresentano il 98% delle esportazioni, e quasi il 40% del Pil, la Sonatrach gioca un ruolo chiave: è la prima compagnia energetica del continente, nel 2010 ha contribuito a circa tre quarti dell’export algerino e ha pagato tasse per una ventina di miliardi di euro. Insomma, un’indagine sulle attività di Sonatrach non può che destare qualche dubbio. È come se i pm russi mettessero sotto inchiesta Gazprom.
E infatti, per capire le ragioni dietro lo scandalo che ha colpito la Sonatrach, è necessario porre questa vicenda in un contesto più ampio. Quello di una feroce lotta intestina in corso, da anni e senza esclusione di colpi, fra le due élite del potere algerino: quella civile, guidata dal presidente Abdelaziz Bouteflika e dal suo entourage; e quella militare, rappresentata dal DRS, i servizi segreti algerini, da ventitré anni sotto il controllo del generale Mohamed Mediène, detto Toufik.
Il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika (Afp)
«Solo un sistema giudiziario forte e realmente indipendente dal potere politico ha il diritto di ordinare accertamenti di questo tipo. È questo il fondamento della democrazia». Così Hocine Malti, vicepresidente della Sonatrach dal 1972 al 1975, scrive nel 2010 in una lettera aperta indirizzata proprio ai servizi segreti algerini. Un’opinione condivisa anche da Jonathan Hill, senior lecturer al Dipartimento di studi sulla difesa del King’s College di Londra. Secondo Hill il grado di indipendenza della magistratura algerina è piuttosto relativo. «Negli ultimi vent’anni le occasioni in cui i giudici hanno toccato persone potenti sono state rarissime» dice a Linkiesta.
Malti, autore del libro “Histoire secrète du pétrole algérien” (La Découverte), ha più volte sottolineato come il caso Sonatrach sia stato strumentalizzato ai fini della lotta di potere fra Bouteflika e il DRS. Una lotta che, naturalmente, ha mietuto le sue vittime.
Tutto inizia negli ultimi mesi del 2009. Nel gennaio dell’anno dopo Mohamed Meziane, presidente e CEO, nonché altri vertici della società, vengono rimossi dal loro incarico e posti sotto processo. Ma una testa ben più importante cade poco dopo: quella del ministro dell’energia, Chakib Khelil, uomo-chiave dell’entourage del presidente Bouteflika. Khelil ricopre quell’incarico da oltre un decennio. Gode pure di grande rispetto nell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (Opec), della quale è stato il presidente nel 2001. Khelil ha sempre professato la sua innocenza. Parlando ai giornalisti nel settembre 2010, dichiara: «Non posso precisare i motivi delle accuse perché le uniche informazioni che ho sul dossier sono quelle che sono state riportate dalla stampa. Non ne ero stato informato da nessuna istituzione. Sono sorpreso quanto voi.»
Un cablo di WikiLeaks, datato 8 febbraio 2010, riporterebbe quanto detto all’allora ambasciatore statunitense ad Algeri, David Pearce, da Dick Holmes, direttore delle operazioni in Algeria della texana Anadarko, la maggiore impresa energetica straniera attiva nel Paese. Secondo il cablo nessuno sarebbe disposto a credere nelle buona fede di Khelil; questi avrebbe infatti guidato le operazioni di Sonatrach attraverso un suo cugino, Réda Hemche, stretto consigliere dell’ormai ex CEO di Sonatrach Mohamed Meziane.
Alla fine del gennaio 2010 il quotidiano algerino Le Matin scrive che Hemche è sospettato di essere il cervello dietro alle attività oggetto dell’inchiesta, compresa l’attribuzione di contratti per via illecita, ossia senza i dovuti avvisi per concorsi nazionali e internazionali. Eppure, a differenza di Meziane, condannato a un anno di carcere, Hemche riesce a sfuggire alla magistratura lasciando l’Algeria subito dopo lo scoppio dello scandalo.
Sempre nel cablo di febbraio sarebbero riportate le considerazioni di Pearce sulle ragioni dell’inchiesta, vista come una rappresaglia del DRS contro funzionari di alto livello della Sonatrach fedeli a Bouteflika. Un’analisi simile a quella dell’ambasciatore statunitense viene fatta alcuni mesi dopo, in occasione di un’intervista televisiva, proprio dall’ex vicepresidente di Sonatrach Malti.
A suo parere quello appena scoppiato è solo l’ultimo di una serie di scandali relativi alla società energetica. Scandali che sino ad allora però sono stati più o meno insabbiati. In Sonatrach dal 1964 al 1975, e grande conoscitore delle sue dinamiche interne, Malti afferma che l’inchiesta rappresenta, più che una ricerca della verità, un «regolamento di conti tra i clan del potere» ossia tra la presidenza e il DRS. La posta in gioco? Il controllo della Sonatrach e, quindi, dell’intera economia algerina.
Nonostante il licenziamento dei massimi dirigenti della Sonatrach e del ministro dell’energia Khelil (tutti uomini vicini a Bouteflika), la vicenda oggi non si è ancora conclusa. Le indagini vanno avanti, sebbene a rilento, arrivando a colpire anche la Saipem. Eppure «dal gennaio del 2010 il DRS ha ripreso il controllo non solo della Sonatrach ma dell’intero settore dell’energia – spiega a Linkiesta Malti – per cui ha raggiunto perfettamente il suo scopo».
Le ragioni dell’attacco del DRS, longa manus del generale Toufik, all’entourage di Bouteflika sono diverse, e vanno cercate nelle torbide manovre di un sistema politico profondamente diviso ma, soprattutto, opaco. Così opaco da spingere persino l’ex primo ministro (e presidente della Sonatrach, dal 1966 al 1977), Sid Ahmed Ghozali, a mettere in guardia l’ambasciatore statunitense ad Algeri. Consigliandogli di non fidarsi delle informazioni riportate dai media, né delle dichiarazioni del governo. «Non si fidi di nulla di ufficiale» gli avrebbe detto, secondo un cablo di WikiLeaks del 13 gennaio 2009.
Quella fra Toufik e Bouteflika è una faida che si basa, principalmente, su due questioni: le manovre del presidente algerino per svincolarsi il più possibile dall’influenza dei militari, e la sua successione. Per capirla meglio bisogna guardare alla storia recente dell’Algeria. Subito dopo le elezioni che lo portano alla presidenza, nel 1999, Bouteflika assicura che sarà molto più di “un presidente dimezzato”, riferendosi alle sorti dei presidenti che lo hanno preceduto, decise dai generali.
Per sfuggire al controllo dei militari è quindi cruciale ridurre il dominio esercitato sull’esercito dal DRS, allora già guidato da Toufik. Così il presidente comincia a rimpiazzare vari generali e comandanti regionali con uomini a lui leali, anche se meno competenti dal punto di vista militare. La maggior parte di loro proviene dalla stessa regione di origine di suo padre: Tlemcen, nell’Algeria occidentale. La base del potere tradizionale dell’esercito, invece, è localizzata nell’est del paese.
La divisione fra potere civile e militare è tutt’altro che un segreto, ed è anzi riconosciuta da tutti. Secondo il cablo del 13 gennaio 2009 l’ex primo ministro Ghozali avrebbe detto all’ambasciatore americano che in Algeria esistono due società parallele: una in superficie e una dietro le quinte. Un giudizio simile è dato da Ali Yahia Abdenour, importante avvocato per i diritti umani e presidente emerito della Lega Algerina per la Difesa dei Diritti Umani (LADDH). Secondo Abdenour la leadership politica algerina è divisa tra il “potere evidente” guidato dal presidente Bouteflika, e il “potere nascosto”, incarnato dal generale Toufik.
E sarebbe proprio la volontà di Bouteflika di rendersi indipendente dall’appoggio dei militari, soprattutto a partire dal suo secondo mandato (2004-2009), a scatenare la reazione di Toufik. Diffidando del capo del DRS e appoggiandosi invece al ministro dell’Interno Yazid Zerhouni, Bouteflika aumenta in modo significativo gli effettivi della polizia nazionale. L’intenzione è quella di attuare una transizione da uno Stato militare a uno di polizia. Uno Stato, quindi, sotto il controllo dell’élite civile algerina, e lontano dalla stretta dell’esercito.
«Sono stati i generali e il DRS a portare Bouteflika al potere e, in passato, questi hanno eliminato un presidente che ha cercato di agire indipendentemente da loro» dice a Linkiesta Charles Gurdon, managing director di Menas Associates. Si riferisce a Mohamed Boudiaf, assassinato nel 1992 per ordine dei generali. «Ma Bouteflika è molto astuto – continua – ed è riuscito a creare la sua base di appoggio nell’ovest del paese, affidandosi a persone come Chakib Khelil», l’ex ministro dell’energia. Il DRS cerca di riaffermare il suo controllo sull’esercito ma, davanti al diritto del presidente di nominare e congedare i generali, il suo ultimo asso nella manica si riduce ormai a quello di designare il successore di Bouteflika. Il presidente ha infatti 76 anni e si dice sia molto malato.
Ed è proprio la questione della successione a far precipitare la situazione fra Toufik e il presidente. Dopo la sua rielezione per un terzo mandato nel 2009 (che richiede una modifica ad hoc della Costituzione) Bouteflika inizia a preparare suo fratello, Said, per succedergli. Senza il consenso dei servizi segreti.
A questo punto Toufik è già sul piede di guerra ma, secondo l’articolo “General Toufik: God of Algeria” di Jeremy Keenan e pubblicato sul sito di Al Jazeera, per il generale il vero segnale d’allarme arriva quando Said Bouteflika comincia a stringere i rapporti con l’ex direttore dei servizi segreti (e suo ex capo), il generale Mohamed Betchine. Il quale è anche stato, insieme al generale Saidi Fodil, consigliere del presidente Liamine Zéroual (1994-1999).
La preoccupazione di Toufik è (dal suo punto di vista) comprensibile: in base alla ricostruzione di Keenan, che è professore del Dipartimento di Antropologia e Sociologia della School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra, nel 1997 Zéroual aveva deciso di nominare come suo ministro della difesa proprio Betchine, allo scopo di arginare Toufik, troppo potente e pericoloso. Quest’ultimo però aveva giocato d’anticipo, mettendo in moto il DRS e distruggendo la reputazione di Betchine a tal punto da costringerlo a dimettersi.
Perciò di fronte alla possibilità di un ritorno al potere di un nemico di vecchia data come Betchine, la risposta di Toufik è quella di sguinzagliare la magistratura contro Sonatrach, mirando a Bouteflika e al suo entourage. Un modo per danneggiare il presidente e ricordargli che, senza il consenso del DRS, nessuno può arrivare al potere.
D’altra parte non è difficile colpire Sonatrach. A detta di Gurdon la corruzione al suo interno non è affatto un segreto per i servizi segreti algerini che, spiega a Linkiesta, agiscono abitualmente in questo modo: «lasciano che le persone mettano le mani nel sacco, raccolgono le dovute informazioni a riguardo e, quando ce n’è bisogno, le usano per ricattarle».
In effetti, l’inchiesta che colpisce i vertici della Sonatrach riguarda inizialmente presunte malversazioni per somme quasi irrilevanti (tra qualche decina e centinaia di migliaia di dollari) tenendo conto delle dimensioni della società e del suo giro d’affari. Si tratta di contratti di consulenza e d’acquisto di attrezzature di controllo e sorveglianza elettronica per oleodotti e gasdotti. Lo rileva lo stesso Malti, non senza una certa ironia, nella prima lettera aperta che indirizza al DRS nel gennaio del 2010, pubblicata da Le Quotidien d’Algérie. «Si ha l’impressione che non abbiate saputo andare al di là di un certo livello, o che non vi sia stato permesso farlo. Purtroppo, la corruzione è ovunque in Algeria. Ed è presente soprattutto all’interno dei grandi mercati, quelli che valgono miliardi o, comunque, centinaia di milioni di dollari».
È lo stesso Malti, nella lettera aperta, a segnalare delle piste più interessanti sulle quali i servizi segreti dovrebbero indagare, nel contesto dell’affare Sonatrach. Una di queste riguarda, appunto, Saipem. «Date un’occhiata – consiglia Malti al DRS – al progetto di gas integrato di Gassi Touil, nel quale la Sonatrach era associata alle imprese spagnole Repsol e Gas Natural». Un progetto dal valore stimato di oltre 3 miliardi di dollari. Eppure, sempre secondo Malti, verso il 2006 la Sonatrach rescinde il contratto «per ragioni non molto chiare» e decide di realizzarlo da sola.
Al momento della lettera aperta quel contratto, scrive Malti, è già stato diviso in due parti. E proprio qui viene tirata in ballo la Saipem. Una prima parte del progetto, per la costruzione di un impianto per la liquefazione di gas naturale ad Arzew, dal valore di quasi 5 miliardi di dollari, è stata infatti attribuita alla società italiana. Malti segnala anche che, nel corso del 2009, la Saipem ha vinto un altro contratto da oltre un miliardo di euro per la costruzione di impianti di produzione a Menzel Ledjemet.
Il mese seguente alla pubblicazione della lettera aperta di Malti, da testate specializzate come Upstream-the International Oil & Gas News Source arriva la notizia: le autorità algerine indagano su un contratto fra Sonatrach e Saipem per un appalto di circa 580 milioni di dollari relativo alla progettazione e realizzazione di una parte del gasdotto GK3 nel nord est dell’Algeria.
È a questo punto che la magistratura algerina inizia a concentrarsi anche sui presunti rapporti intrattenuti dalla società italiana con Réda Meziane, figlio dell’ormai destituito CEO di Sonatrach, Mohammed Meziane. Secondo quanto riportato dal quotidiano El Watan lo scorso dicembre, la Saipem sarebbe accusata di “corruzione e riciclaggio di denaro attraverso indebiti vantaggi” a favore, appunto, di Réda Meziane. In particolare, secondo El Watan, si tratterebbe della firma, nell’agosto del 2007, di un contratto di un anno (rinnovabile) per attività di consulenza per circa 1.300 euro al mese. Tutte vicende che andranno verificate dai magistrati e su cui per ora non risulta nulla più di quanto riportato. Un onorario comunque che può sembrare molto basso, visto dall’Italia, ma che non è poi così insignificante se si tiene conto che il Pil pro capite algerino si attesta intorno ai 4.000 dollari l’anno, ovvero a poco più di 300 euro al mese.
Secondo il dossier giudiziario, si legge in El Watan, Réda Meziane avrebbe inoltre ricevuto la somma di 4 milioni di dinar (poco più di 38.000 euro) per regalare una macchina a sua moglie. Ed è proprio fra il 2007 e il 2009, riporta ancora il quotidiano, che la Saipem avrebbe ottenuto il contratto per la realizzazione del lotto numero 3 del gasdotto GK3 per il valore di 580 milioni di dollari. L’articolo menziona anche i presunti buoni uffici di Chekib Khelil grazie ai quali l’impresa italiana avrebbe ottenuto il contratto.
Chakib Khelil e Mohamed Meziane erano pedine importanti dell’entourage di Bouteflika. Per quanto riguarda i figli di Meziane, fra cui appunto Réda Meziane, questi ricoprirebbe un’importanza secondaria all’interno dell’entourage presidenziale ma, spiega Malti a Linkiesta: «agli occhi del DRS era importante dimostrare che l’intero sistema di Bouteflika è marcio».
Una delle rarissime immagini di Mohamed Mediène, detto Toufik, capo dei servizi algerini
Lo scandalo si allarga. Arriva la notizia che i magistrati di Milano hanno aperto un’inchiesta sulle attività della Saipem in Algeria. Le conseguenze dell’indagine sono note: il 5 dicembre i vertici della Saipem vengono azzerati. Un colpo notevole per l’impresa italiana le cui azioni, il giorno dopo, registrano un crollo dell’8.2%, prima del tonfo di oggi in seguito a un profit warning in parte legato anche alla vicenda algerina. Non è difficile capire perché.
L’Algeria è uno dei protagonisti della scena petrolifera mondiale e, specialmente, mediterranea. Secondo l’Oil and Gas Journal, le sue riserve di petrolio sarebbero stimate intorno a 12,2 miliardi di barili. Le terze d’Africa per importanza, precedute solo da quelle libiche e nigeriane. Per il Dipartimento dell’energia statunitense, nel 2011 l’Algeria ha prodotto una media di 1,27 milioni di barili al giorno, approssimativamente la stessa quantità del 2010. E se si aggiunge anche la produzione di gas, l’output giornaliero di idrocarburi algerini, nel 2011, è stato pari a 1,88 milioni di barili. Soprattutto, l’Algeria fornisce il 15% del gas naturale richiesto dall’Europa.
È solo grazie alla sua immensa ricchezza energetica che l’Algeria dispone di riserve finanziarie per 200 miliardi di dollari. Un settore a dir poco redditizio, dunque, quello degli idrocarburi, ma dal quale la popolazione algerina trae scarsi benefici. Il grosso dei guadagni viene infatti spartito fra i clan del potere, in un Paese nel quale il reddito pro capite medio parla da solo sulla mancanza di distribuzione della ricchezza.
E Malti ha molto da dire in merito. «Ciò che mi spinge a denunciare la corruzione del sistema algerino – dichiara a Linkiesta – è che so fino a che punto danneggia l’Algeria. La corruzione è alla radice di molti dei mali del popolo che, per la maggior parte, vive nella miseria. E intanto la nomenklatura politico-militare, che ha sottratto buona parte delle ricchezze del Paese a suo vantaggio, sguazza nel lusso».
Non stupisce, quindi, che il settore energetico sia stato e rimanga l’oggetto di una lotta fra i clan del potere algerino. Vari cablo del 2008, inviati dall’ambasciata americana ad Algeri al Dipartimento di Stato riporterebbero le opinioni, oltre che dei diplomatici statunitensi, anche di Bajolet, allora ambasciatore francese in Algeria. Già nel 2008 Bajolet lancia l’allarme sui livelli altissimi di corruzione, tali da interferire con lo sviluppo economico del Paese. Secondo quanto riportato dal cablo, per Bajolet la dualità del potere Bouteflika-Toufik provocherebbe in Algeria «una sorta di paralisi».
Ancora, secondo delle email degli analisti di Stratfor pubblicate un anno fa da Wikileaks, il capo del DRS sarebbe uno dei personaggi pubblici algerini più sfuggenti: ne esisterebbero solo due foto ufficiali e, durante le cerimonie di Stato, le telecamere eviterebbero sistematicamente di riprenderlo. Eppure, anche “il Dio dell’Algeria”, la mano di ferro che tiene sotto controllo i militari e l’intelligence, deve fare i conti con l’età. Ormai settantaquattrenne, soffrirebbe di gravi problemi di salute, tant’è vero che si parla di una sua possibile morte imminente.
Sempre nel febbraio 2011, in piena primavera araba, la Stratfor comunica ai suoi analisti la delicatezza della situazione algerina. «Le agitazioni potrebbero essere sfruttate dai membri delle élite al potere. Stiamo prestando particolare attenzione alle ragioni del capo dell’intelligence, il generale Toufik Mediène, che sembra bloccato in una battaglia per la successione con il presidente».
I servizi segreti algerini hanno infatti due obiettivi, secondo Gurdon. «Prima di tutto quello di assicurarsi la scelta del presidente, o almeno dimostrare che nessuno che sia contro al DRS può arrivare al potere. Il secondo – continua – è fare in modo che nessuno venga posto al di sopra del DRS. Questo permette loro di continuare a fare tutto quello che hanno sempre fatto fino ad ora». Ancora più duro Keenan, che spiega a Linkiesta: «il DRS è un’organizzazione criminale. [L’Algeria] è fondamentalmente uno Stato mafioso sotto il suo controllo, e il suo interesse principale è assicurare la propria sopravvivenza».
Sopravvivenza da tutelare a qualunque costo, persino quello di paralizzare i lavori del mastodonte Sonatrach. Dopo lo scoppio dello scandalo, l’allora ministro dell’energia Khelil assicura che l’inchiesta non avrà ricadute sul lavoro della compagnia energetica. In realtà però, secondo cablo divulgati da Wikileaks, i maggiori dirigenti della Sonatrach si guarderebbero le spalle, reticenti e timorosi di prendere ogni tipo di decisione.
Secondo quanto riportato in giugno dal Financial Times, il settore degli idrocarburi algerino versa in una fase molto delicata. Prima di tutto perché dopo un decennio di rapida crescita, la produzione petrolifera inizia a calare. In secondo luogo, proprio per lo scandalo che ha colpito la Sonatrach. Inoltre, sempre secondo il quotidiano finanziario britannico, la domanda del tipo di greggio estratto in Algeria starebbe calando, con un conseguente abbassamento dei prezzi. A tutto svantaggio del regime algerino, che ha bisogno che il prezzo del petrolio rimanga alto per puntellare le sue finanze in declino.
Il momento è dunque di estrema complessità. Anche per questo è probabile che Bouteflika decida di ricandidarsi per un quarto mandato alle elezioni del 2014 e che, come dice Gurdon, «muoia in carica». In ogni caso la successione resta una questione pressante per l’establishment politico algerino, all’apparenza diviso in due fazioni. Una che vorrebbe costruire il futuro sull’eredità di Bouteflika, e un’altra che vorrebbe avvicinarsi ai gruppi politici islamisti moderati, simili a quelli eletti in altri Paesi. Il punto è che l’altro gruppo che detiene parte del potere in Algeria, i militari, sono chiaramente contrari alla seconda opzione.
Come se ciò non bastasse, l’Algeria non deve avere a che fare solo con gli scontri di potere fra i due clan. Entrambi sembrerebbero a loro volta scossi da conflitti interni, più o meno gravi. Ai primi di gennaio di quest’anno il quotidiano algerino Ech Chourouk ha riportato che due deputati del partito presieduto da Bouteflika, il Fronte di Liberazione Nazionale, avrebbero criticato l’attuale ministro dell’energia, Youcef Yousfi, per la gestione del caso Sonatrach.
In particolare il deputato Said Qishaoui ha sottolineato come, nonostante l’inchiesta della magistratura italiana su Saipem, le forze di sicurezza algerine rimangano in silenzio a questo proposito. La presa di posizione di Qishaoui non parrebbe rafforzare il presidente, essendo il deputato un membro del suo partito. Ma in Algeria, come dice Ghozali, sembra essere meglio non fidarsi «di nulla di ufficiale».
Una tesi confermata a Linkiesta anche da Aïssa Kadri, direttore dell’Istituto Maghreb-Europa dell’Università Paris 8. «Certe questioni sono strumentalizzate nelle faide interne al potere, mentre altre servono a simulare una grande volontà di lotta contro la corruzione agli occhi dell’opinione pubblica internazionale o locale». Anche Hill, da Londra, condivide quest’analisi. «Sembrerebbe trattarsi semplicemente di una nuova manifestazione della lotta di potere. Dubito molto che questi deputati avrebbero agito in tal modo senza che Bouteflika ne fosse al corrente e li appoggiasse».
Nonostante la possibilità, segnalata da Malti, che il DRS abbia approfittato della vicenda Sonatrach per riprendere il controllo della società (perso nel 1999 con l’ascesa di Bouteflika) pare dunque che sia ancora scontro aperto fra il presidente e Toufik, il capo dei servizi segreti. Potentissimi, ma apparentemente incapaci di scongiurare la strage di almeno 48 lavoratori, fra stranieri e algerini, del sito di In Amenas.
L’analisi che Keenan offre a Linkiesta a riguardo è drammatica. «Credo che l’accaduto sia un fallimento catastrofico dell’intelligence, il che è anche un fallimento catastrofico dello Stato. Allo stesso tempo – sottolinea – penso che si sia verificato un certo grado di complicità, poi sfuggito di mano. Nell’ultimo anno l’Algeria ha appoggiato i gruppi islamisti in Mali, in un modo o nell’altro, e molti loro leader sono agenti del DRS o ad esso collegati. Per questo gli islamisti pensavano che l’Algeria fosse dalla loro parte».
Ma, con l’inizio dell’intervento francese in Mali, Algeri (ossia il presidente Bouteflika) ha messo il proprio spazio aereo a disposizione delle forze armate di Parigi, cambiando le carte in tavola. A questo punto, «i gruppi islamisti del Mali, probabilmente legati a Mokhtar Belmokhtar, hanno deciso di punire Algeri per questo. I servizi segreti algerini sono stati ben contenti di lasciarli entrare, i terroristi non sarebbero potuti arrivare a In Amenas senza una certa complicità da parte loro». Il DRS avrebbe voluto così dimostrare che aveva ragione quando metteva in guardia il mondo sulle gravi conseguenze regionali di un intervento in Mali.
L’appoggio del DRS a gruppi armati, però, sarebbe sfuggito al loro controllo. «Chiaramente l’accaduto non era quello che avevano auspicato o immaginato – continua Keenan – Probabilmente [i servizi segreti] si aspettavano un attentato terroristico ma non questo tipo di azione. È un fallimento totale dei servizi, in un’operazione di cui sono stati complici ma della quale hanno perso il controllo. Dalle conseguenze disastrose per tutti: per gli ostaggi, le compagnie petrolifere e lo Stato algerino che – conclude Keenan – non sarà più lo stesso». Anche perché dopo una simile catastrofe i Paesi occidentali diffideranno di Algeri e dei suoi servizi segreti. Nella stessa direzione l’analisi di Luigi Bonanate, professore emerito di Relazioni Internazionali dell’Università di Torino, che taccia di grave incompetenza i servizi segreti algerini.
La tragica vicenda di In Amenas avrà dunque pesanti conseguenze per la stabilità dell’Algeria. Un Paese già scosso da seri problemi. Come quelli del settore degli idrocarburi; quelli relativi alla mancanza di democrazia e di distribuzione della ricchezza; quelli di un regime che, conferma Bonanate, «sta indubbiamente preparando la successione del presidente», nonostante la possibilità che questi decida di ricandidarsi alle elezioni del prossimo anno. Ed è proprio la successione la questione chiave per capire la sfida principale che il Paese deve affrontare: la faida fra Bouteflika e Toufik, vera e propria guerra fra titani. Titani morenti, questo sì. Ma forse, proprio per questo, disposti a tutto.