Medio Oriente, che paura che fa l’ascesa dei salafiti

Medio Oriente, che paura che fa l’ascesa dei salafiti

I salafiti sono la vera rivelazione politica dopo le rivoluzioni della cosiddetta ‘Primavera araba’. Finanziati, per lo più, dai Paesi del Golfo, sono usciti politicamente allo scoperto negli ultimi due anni, imponendosi nel palcoscenico mediorientale. In Egitto il partito salafita El Nour, ‘La Luce’, è arrivato secondo – dopo ‘Libertà e Giustizia’ della Fratellanza – alle ultime elezioni parlamentari: “politicamente esistiamo da poco, ma da sempre come movimento religioso. Siamo musulmani molto vicini ai testi fondanti dell’islam: il Corano e la Sunna. Ci distinguiamo dai Fratelli musulmani perché loro accettano di buon grado l’interpretazione dei testi sacri (Fatwa), noi no”, diceva Nabil Kadry Ahmed – uno dei leader del partito salafita – nel suo ufficio a Maadi, un quartiere benestante al sud del Cairo, solo un anno fa.

Oggi è nato in Egitto un nuovo, più radicale, partito salafita: Al Watan, letteralmente significa ‘La Patria’. Emad Abdel Ghafour, l’ex capo della rappresentanza politica principale dell’Islam salafita, ha annunciato – insieme a un centinaio di ‘disertori’ – la creazione di quest’ultima formazione politica. Gahfour ha sottolineato che al Watan, a differenze di El Nour, “si impegnerà concretamente, e non solo a parole, per l’applicazione della Sharia. Senza cedere a compromessi, specie con la Fratellanza”. Ha anche aggiunto che il suo nuovo partito si alleerà con il predicatore islamista Hazem Salah Abu Ismail – ex agitatore di folle, già candidato alle presidenziali – oggi ledaer del movimento degli attivisti islamici ultraconservatori, ‘Hazemoon’.

Quest’ultimo gruppo, accusato di ‘fanatismo’, è sostenuto anche dal leader di Al Qaeda: Al- Zawahiri ha recentemente pubblicato un video in cui spiega, dettagliatamente, le motivazioni che spingono il gruppo fondamentalista ad abbracciare la causa di Abu Ismail in Egitto; sottolineando ancora una volta che “la rivoluzione egiziana avrà successo solo con l’applicazione della legge islamica nella vita di tutte le persone”. Le prossime elezioni egiziane, presumibilmente a fine febbraio, sono un passaggio fondamentale per il Paese: il nuovo parlamento dovrà redigere le nuove leggi. E la Carta, approvata il mese scorso in un referendum nazionale, lascia ampio spazio ai legislatori nell’interpretazione del ruolo dell’Islam nel nuovo Stato. Questa scissione salafita potrebbe, dunque, indebolire El Nour e rafforzare i partiti più radicali.

In Siria i salafiti sono, invece, un filone, minore ma in crescita, che combatte per il rovesciamento del regime di Assad. Di certo va fatta una differenziazione tra i combattenti jihadisti (e spesso qaedisti) stranieri, che rappresentano – secondo stime autorevoli – non più del 10% dei combattenti del Fsa (l’Esercito Libero); e i combattenti salafiti siriani, probabilmente più numerosi, con un’identità religiosa più forte e più orientata in senso conservatore. Jabhat al-Nusra è il gruppo salafita siriano che vede la lotta contro il regime come parte di una jihad globale, ed è l’unico movimento riconosciuto esplicitamente da Al Qaeda. Ha portato a termine diversi attacchi suicidi che hanno causato anche vittime civili. Le sue forze sono in prima linea nella battaglia di Aleppo, la seconda città della Siria.

Un’altra rete salafita in Siria si chiama Ahrar al-Sham, leggermente più ‘moderata’, che opera principalmente nella parte nord-ovest della provincia di Idleb. Come Jabhat al-Nusra, vogliono imporre uno stato islamico rigoroso e vedono la guerra come una lotta settaria di sunniti contro alawiti, il ramo esoterico sciita a cui appartengono gli Assad. I due gruppi sono probabilmente minori rispetto agli insorti ma di sciuro ben armati. E foraggiati dai paesi del Golfo.

Se i gruppi salafiti cresceranno, come temono i governi occidentali, è un altro discorso. C’è da scommettere, però, che vorranno parte del bottino nel futuro, ancora incerto, del Paese. Tuttavia, il resto dell’opposizione siriana ha chiesto a loro di desistere perché stanno facendo il gioco del regime che ha a lungo rappresentato i ribelli come terroristi islamici legati ad Al- Qaeda; ma siccome la situazione di sanguinoso stallo prosegue, i gruppi salafiti – più o meno estremisiti – potrebbero diventare più forti e numerosi.

Dalla Siria alla Libia. I salafiti libici, portatori di una interpretazione dell’islam ortodossa e attenta alle forme esteriori – contrapposta all’interpretazione più interiore e mistica dei sufi – hanno messo a segno, negli ultimi mesi, una serie coordinata di attacchi e atti di vandalismo contro tombe e lughi sacri sufi sia a Tripoli, che Zliten e Misurata. “Ovunque i salafiti vogliono imporre l’Islam dei primi compagni del profeta, dei ‘pii antenati’: qui hanno perso le elezioni e allora lanciano segnali mafiosi perché vogliono imporsi nel grande gioco per il potere in Libia; colpiscono i sufi perché sono i più deboli e i meno protetti, proprio comei Buddha di Bamyan in Afghanistan” ha affermato il noto giornalista e scrittore Aboubakr Fergiani.

Favoriti dal fatto che in Libia la polizia non c’ è: ci sono le milizie. Lo Stato non c’ è, ci sono le tribù, le città, i gruppi di potere, le fazioni religiose. La gente è evidentemente frustrata dalla mancanza di sicurezza, seguita alla caduta dell’ex Rais. Molti gruppi islamici, che hanno aiutato a mettere fine alla dittatura del colonnello, non vogliono sciogliersi né accettare di entrare nelle forze dell’ordine. Essi agiscono spesso come bande di fuorilegge, attaccando gruppi e persone che non ubbidiscono alla loro visione di un islam fondamentalista. Anche la morte dell’ambasciatore Usa Chris Stevens è il frutto di una situazione di caos che regna in Libia nel dopo Gheddafi. È ancora presto per delineare con esattezza il ruolo salafita nel panorama politico mediorientale, ma di certo non lo si può ignorare.

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