Naufragio Concordia, il responsabile non fu solo Schettino

Naufragio Concordia, il responsabile non fu solo Schettino

Della pratica dell’inchino, della manovra azzardata e delle espressioni, le frasi dette, quelle non dette, del comandante Francesco Schettino sappiamo oramai tutto. Quello che, a un anno dal naufragio della Costa Concordia al largo (largo, si fa per dire) dell’isola del Giglio, sta emergendo in queste ultime ore è un ulteriore livello di responsabilità, che indica direttamente il cuore della società armatrice. E non solo la Costa, ma anche Carnival, che della società italiana è la proprietaria.

Emerge dall’attività investigativa di un rinomato studio legale milanese (che in questa fase preferisce non comparire) e che ha redatto una circostanziata denuncia-querela destinata alla procura di Grosseto. Attualmente per la morte delle 32 persone (due corpi non sono stati ancora ritrovati) gli indagati sono undici: oltre al comandante anche gli ufficiali presenti in plancia, il timoniere, il cartografo, e due dirigenti di Costa Crociere. Ma ci sarebbero altri responsabili per l’incidente mortale avvenuto il 13 gennaio 2012 alla Concordia, salpata solo il giorno precedente dal porto di Civitavecchia e diretta a Savona.

Come fonti giudiziarie ci hanno confermato, e come in tanti anche nella stessa società armatrice si aspettano, starebbero per arrivare nuovi avvisi di indagine in corso: «Abbiamo messo insieme – ci fanno sapere i legali che rappresentano alcune delle vittime – gli interrogatori, le testimonianze e le risultanze dell’incidente probatorio al centro dell’attività inquirente della procura di Grosseto. E puntiamo il dito innanzitutto contro i vertici della società armatrice, non solo Costa ma anche Carnival, le cui politiche di gestione e le cui condotte rappresentano l’antecedente causale necessario al verificarsi del naufragio».

Come dire: la manovra del comandante Schettino ha causato l’urto, ma a monte ci sarebbero alcune omissioni e negligenze. Questa tesi è avallata anche dall’avvocato statunitense John Eaves che nel procedimento in corso rappresenta circa 150 vittime e che intende chiamare in causa direttamente la Carnival, proprietaria della Costa.

Che la pratica dell’inchino fosse nota a Costa è già emerso nei mesi scorsi: dalle testimonianze anche degli ufficiali si capisce che era un’attrattiva accettata se non addirittura reclamizzata. «Se la nave – si legge nella querela – non si fosse trovata a navigare sotto costa, l’errore stesso non sarebbe avvenuto e di conseguenza nemmeno il naufragio». La compagnia «conosceva la prassi della navigazione sotto costa e dell’inchino sia perchè era di pubblico dominio sia perchè le variazioni di rotta concordate seppur adottate a discrezione del comandante devono comunque essere registrate nel libro di bordo».

Ma ci sono altre negligenze e imperizie che hanno influito sull’incidente: lo stesso comandante Schettino, si legge nel dossier da 50 mila pagine che compone l’indagine della procura, aveva redatto un memorandum qualche giorno prima dell’imbarco nel quale metteva in evidenza la scarsa preparazione del personale «incapace, con questa formazione, a gestire le emergenze». E la compagnia non è intervenuta, sottolinea il legale milanese nella sua denuncia.

La Costa, secondo quanto riferisce ai carabinieri Paolo Mattesi, capo gestione della sicurezza della società «non era munita di alcun responsabile della sicurezza dotato di formale delega di funzioni per la sicurezza».
«Ho udito il codice di allarme Tango – India ma non conosco il significato essendomi imbarcato da 20 giorni», ha raccontato Petar Petrov, primo ufficiale di macchina, nella sua deposizione del 1/2/2012 ai carabinieri di Grosseto.

Altro problema, le carte nautiche. Ecco cosa dice il primo ufficiale di coperta Andrea Bongiovanni il 15 gennaio 2012 in un audit alla capitaneria di Porto di Livorno: «Ho visto la carta nautica usata per la rotta realizzando che la scala era molto generale era impossibile percepire su che fondale la nave aveva toccato. Alle varie chiamate delle capitanerie di porto Schettino ci diceva di rispondere che avevamo un black-out e che stavamo valutando le condizioni della nave».

E, ancora, c’erano problemi con i radar: i vertici societari Costa avevano chiesto e ottenuto un deroga dalle norme cosiddette Solas 2004 alla capitaneria di porto di Genova per poter navigare con le porte stagne aperte. «Alcune porte stagne erano aperte, suppongo per favorire l’abbassamento della temperatura», ha sostenuto Giovanni Iaccarino, primo ufficiale di coperta, ai carabinieri di Grosseto il 21/03/2012. E almeno due porte erano aperte tanto che per primo fu Schettino a ordinare di chiuderle. 
Secondo l’indagine della Capitaneria di porto di Livorno, poi, due radar (uno obbligatorio, l’altro facoltativo) erano fuori uso. Questo non avrebbe inciso sulla dinamica dell’incidente ma tali avarie avrebbero dovuto essere segnalate alle autorità marittime e ciò non avvenne.

Alessandro Centrone, vicepresidente del dipartimento delle risorse umane della Costa, direttore del personale di bordo e di terra, che nella linea di comando riporta direttamente al presidente Foschi, sentito l’8 marzo dai carabinieri di Grosseto, fa allegare al suo verbale le comunicazioni dell’inchiesta interna alla Carnival che quindi risulta immediatamente informata dell’emergenza. Scrivono gli avvocati nella loro denuncia: «Il primo contatto tra Costa/Carnival e il controllo operativo delle autorità marittime avviene per iniziativa della centrale operativa 51 minuti dopo l’incidente e solo su iniziativa dell’autorità marittima e non della compagnia».

La rotta, poi, era stata modificata per esigenze economiche, secondo alcuni testimoni diretti: «In precedenza la rotta tra Civitavecchia e Savona era più lunga onde consentire di scaricare le acque grigie all’estero del Santuario dei Cetacei. In seguito, verosimilmente per esigenze di risparmio carburante, è invalsa la pratica suddetta», ha detto ad esempio Alessandro Di lena, I ufficiale, responsabile per l’ambiente, alla Capitaneria di Livorno il 21/03/2012.

Come se non bastasse, sottolinea l’avvocato statunitense John Eaves, la Carnival tramite il proprio Cda nomina i membri del comitato Hess (Health Enviromental Safety & Security) che si occupa tra l’altro delle politiche di sicurezza dell’ambiente e della salute. In altre parole: Carnival, attraverso il comitato Hess, definisce le regole che riguardano la sicurezza di tutte le navi crociera della compagnia. I membri di Hess sono: John Parker, presidente, Arnold Donald, Sir Jonathon Band, Debra Kelly-Ennis e Micky Arison, Ceo di Carnival.

Secondo le denunce appena presentate in Italia, quindi, questo stretto legame è un altro punto che chiama in causa direttamente sia Costa, la società armatrice Italiana, sia la sua proprietaria americana, la Carnival.

*redattrice di Metro