Girlfriend in a coma è un film emotivamente difficile da digerire. Nell’Aula Maggiore dell’Università Bocconi non sono pochi i volti commossi, mentre il video ripercorre alcuni dei più rilevanti e controversi avvenimenti della recente storia italiana. A interrompere l’incalzante alternarsi di immagini e interviste, le cifre della vergogna: 164esimi al mondo (posizionati tra Barbados e Iraq) per debito pubblico in rapporto al Pil, 180esimi (tra Liberia e Haiti) per crescita del Pil tra il 2001 e il 2010, 64esimi (tra Ghana e Samoa) negli indici sulla corruzione, 170esimi (tra Gabon e Gibuti) per il ritardo nel rispetto dei contratti, 74esimi (tra Perù e Brunei) nell’indice dell’uguaglianza di genere, l’unico Paese al mondo che ospita tre organizzazioni criminali internazionali, con un’economia criminale che contribuisce a circa il 10% del Pil.
È una narrazione dantesca, quella che attraversa Girlfriend in a coma, con l’ex direttore dell’Economist Bill Emmott nei panni di un Dante in giacca e accento inglese, che si inoltra nei gironi di un’Italia dissezionata dicotomicamente: la Buona Italia e la Mala Italia. «Abbiamo scelto di usare la metafora dell’inferno e del paradiso, della buona e della cattiva Italia, rappresentata da due personaggi in lotta tra loro – una donna vulnerabile e bellissima, tormentata da un energumeno violento – innanzitutto come provocazione», spiega Annalisa Piras, una vita da giornalista a Londra e regista del chiacchieratissimo film. Ma – come aggiunge Bill Emmott – esistono almeno due dimensioni rispetto alle quali la divisione tra buona e cattiva Italia rispecchia la realtà.
«Si tratta», spiega, «da una parte, dell’esistenza di tutta un’ecologia di network pressoché inaccessibili, capaci di costituire nel tempo un sistema di potere rivolto alla propria autoconservazione e disinteressato, quando non in opposizione, a considerazioni riguardanti il benessere collettivo. La seconda dimensione è legata al fatto che questo fenomeno è ben più pervasivo in Italia che in altri Paesi e ha finito per congelare la società, bloccandone il cambiamento. Questo è pericolosissimo, perché una società muore se smette di essere dinamica e chiude lo spazio alla creatività e alle innovazioni».
Girlfriend in a coma sceglie di incarnare questo fenomeno involutivo nei volti di Giandomenico Iannetti, neuroscienziato a Ucl, Livia Giuggioli, imprenditrice basata a Londra e madre di due bambini, Nicol Vizioli, fotografa – solamente alcuni dei protagonisti della diaspora di quel milione di italiani, per lo più altamente qualificati, che si stima siano emigrati all’estero in questo primo scorcio di secolo. «Ma il caso emblematico è quello di Massimo Banzi – recentemente intervistato da Linkiesta, ndr – costretto ad andarsene dall’Italia per mancanza di opportunità e che ha ora sviluppato Arduino, un hardware open source cruciale per l’industria delle stampanti 3D. Quando abbiamo proiettato il nostro film a Oxford, la sala è scoppiata in un applauso liberatorio alle sue parole: “Il meglio che può capitarti in Italia se fai qualcosa di buono è che non freghi nulla a nessuno”. Come se i ricercatori e gli studenti italiani dell’antica Università fossero stati toccati in un tasto dolente e profondo», ci racconta Emmott.
È a questo punto evidente la chiamata in causa delle responsabilità politiche degli ultimi decenni. Nell’inferno di Girlfriend in a Coma, la “mala politica” guadagna un capitolo tutto per sé in quanto, secondo Bill Emmott «la politica italiana rappresenta certamente la parte più visibile dell’arroccamento in assenza di un disegno per il Paese, del consumo di risorse pubbliche per interessi particolari. Ma non bisogna dimenticarsi che gli elettori hanno tollerato e permesso che questo accadesse. Il problema, insomma, esiste a vari livelli della società. Uno dei più rilevanti tra questi risponde al nome di “mezzi di informazione”. Da giornalista straniero, il così elevato grado di politicizzazione del panorama giornalistico italiano è per me qualcosa di straordinario. Questo non significa che all’estero non vi siano giornali con posizioni e talvolta anche affiliazioni politiche. Tuttavia, la particolarità dell’Italia è di avere un sistema mediatico che ha rinunciato a svolgere il ruolo di cane da guardia del potere ed è invece divenuto parte integrante del processo politico. Questo è ovviamente un problema, perché impedisce l’analisi indipendente e, conseguentemente, la comprensione oggettiva degli avvenimenti».
«Basti pensare al quasi totale media-blackout che sta vivendo il nostro progetto in queste settimane pre-elettorali: per i media tradizionali (Rai, Mediaset, La7) in sostanza non esistiamo. E non è un caso, visto che il nostro lavoro non aiuta nessuna delle parti in causa», aggiunge Annalisa Piras. Il rapporto di Girlfriend in a coma con l’establishment del Belpaese non è d’altronde mai decollato. Risale all’inizio di febbraio il rifiuto di Giovanna Melandri a ospitare la premiere del film al Maxxi. Sollecitati su questo punto, i due autori spiegano: «Terravision, che si era offerta di sponsorizzare l’evento, aveva prenotato il Maxxi già a Dicembre, senza incontrare alcun tipo di opposizione, tanto che erano già stati spediti gli inviti – uno dei quali al Presidente del Consiglio, Mario Monti. Solamente il primo febbraio il museo ha comunicato a Terravision di non poter concedere lo spazio, adducendo quale motivazione i regolamenti del Ministero della Cultura. Peccato che lo stesso Ministero abbia immediatamente smentito, dichiarando di non avere alcuna responsabilità nella decisione».
«Due giorni dopo, Giovanna Melandri ha telefonato a Bill, spiegandogli di aver stabilito, in data 20 gennaio, una nuova policy, che impediva al Maxxi, in quanto museo finanziato dai contribuenti, di ospitare eventi politici durante la campagna elettorale, dicendo inoltre di aver ricevuto una email in cui si parlava della premiere come una ‘serata dal mood antiberlusconiano’. Questa email non è stata inviata dallo staff del film, tantomeno da Bill, come ha sostenuto Giovanna Melandri in un intervento telefonico a Piazza Pulita, bensì da un dipendente di Terravision, per cui fuori dalla nostra responsabilità. Insomma, tutta questa vicenda ci ha lasciato molto sopresi e ha evidenziato una certa mancanza di professionalità da parte del management del Maxxi».
A chi ha visto il documentario («Cosa che Melandri non ha nemmeno chiesto di fare», assicurano gli autori), il ‘mood antiberlusconiano’ non appare come principale colore della narrazione. L’accento è posto dai due autori sul declino italiano con una chiarezza altrimenti rara nel panorama nazionale, esplorando con enfasi i temi dell’illegalità, della disparità di trattamento delle donne, della scarsa comprensione delle difficoltà vissute dal sistema economico, e della diaspora italiana. «Il nostro obiettivo – spiega Annalisa Piras – è quello di suonare un campanello, mettere in luce la necessità di una discussione collettiva sui temi di un declino che è stato esorcizzato innanzitutto sottovalutandolo, a volte persino negandolo. La nostra idea è che solamente una piena realizzazione della natura e della severità dei problemi che l’Italia si trova oggi ad affrontare potrà rendere possibile l’inizio di un processo di riforma – che non può che cominciare dalla meritocrazia, dall’apertura e dalla competizione. Nel film, d’altro canto, offriamo una chiave interpretativa ma, accanto ad essa, mettiamo in luce dei fatti e delle possibili soluzioni. Penso in particolare alle donne, che svolgono un ruolo importante nella dinamica del film. In una delle interviste, Emma Marcegaglia sostiene che portare l’accesso femminile al mercato del lavoro ai livelli europei condurrebbe a un aumento del Pil italiano di circa 6 punti percentuali. Questa è una indicazione molto forte del fatto che, al di là delle immagini, c’è qualcosa di pratico e concreto che potrebbe e dovrebbe essere fatto.”
Che cosa ci lascia, dunque, Girlfriend in a coma? Nella seconda parte del film, la risalita nel paradiso della “Buona Italia” è volta a dimostrare che il declino non è il destino di un paese tuttora caratterizzato da eccellenze competitive a livello internazionale e capace di elevate forme di civismo, anche in contesti estremamente complessi, come quello del Progetto Sud di don Giacomo Panizza. Il problema da porre, semmai, è quello della liberazione di energie già presenti nella società italiana, che vanno rintracciate e cui occorre garantire l’accesso all’agone decisionale. Questo dibattito è un patrimonio e una sfida per il futuro che l’Italia non può permettersi di non raccogliere, se vuole evitare di rimanere esule sulla sua ultima spiaggia. Solamente una concezione estremamente distorta della democrazia può condurre a pensare che questi temi siano così scomodi da dover essere evitati in un periodo di campagna elettorale.
Twitter @NicoloCavalli