La Lega che vince segna la frattura “popolo-borghesi”

Le tre ragioni per cui la Lega è riuscita a vincere ancora

Questione Settentrionale. La vittoria di Maroni e il dilemma irrisolto “popolani-borghesi”

I voti al minimo storico, la rappresentanza politica sul territorio ai massimi di sempre. La vittoria di Roberto Maroni in Lombardia consegna al paese l’ennesimo paradosso: un Carroccio che dimezza i suoi voti lasciando per strada 1,6 milioni di consensi (-54% nel computo nazionale rispetto alle Politiche 2008), penalizzato dal nuovo abbraccio con Berlusconi, gli scandali interni, le promesse mancate al governo del paese e l’esplosione di una “nuova” Lega, l’M5S, ma capace lo stesso di trasformare il nord Italia in un grande monocolore leghista che nemmeno ai tempi d’oro dell’egemonia forza-leghista. Per uno strano incastro politico, frutto di alleanze spregiudicate e l’ennesimo harakiri pidiellino, da stamattina su Piemonte, Lombardia e Veneto sventola il sole delle Alpi, realizzando il sogno impossibile del fondatore Umberto Bossi: quel “padroni a casa nostra” a lungo vagheggiato.

Il risultato delle Regionali lombarde, combinato con l’esito delle Politiche, a questo punto potrebbe avere tre ricadute di una certa importanza. Primo. Sul piano nazionale è un’altra zeppa nel già difficile tentativo di Pierluigi Bersani di costruire un’alleanza di scopo con il movimento di Beppe Grillo. Dovesse riuscirci, come potrebbe governare da Roma un paese geograficamente diviso in due, con le grandi regioni del nord su posizioni autonomiste e marcatamente anti romane?

Nell’idea stessa di macroregione sbandierata da Maroni, ultimo eldorado leghista dopo le stagioni infauste della secessione, del federalismo e della devolution, resta un malinteso di fondo: la nozione di territorio viene usata in funzione divisiva facendo della Questione settentrionale un problema di mero localismo, di difesa dagli immigrati e di revanchismo anti tecnocratico e anti romano. Altro è lo spirito di regioni come la Baviera o il Rhone-Alpes che partecipano al progetto macroregionale europeo con approccio glocal, locale ma nella globalità. Valorizzando i legami transfrontalieri per sviluppare al meglio progetti comuni, non antagonisti con i rispettivi stati centrali o nella logica strumentale del “padroni a casa nostra”.

Secondo. Sul piano interno la vittoria leghista sigilla una pace armata tra le diverse anime di un partito dilaniato e orfano di Bossi. Maroni, tornando con Berlusconi e puntando tutte le carte sul Pirellone, ha rischiato grosso ma alla fine ha vinto la sua scommessa elettorale. «Missione compiuta», tirano un sospiro di sollievo in via Bellerio. Ma non è detto che basti una vittoria vissuta dai lighisti veneti come totalmente lombarda a calmare i bollenti spiriti. Il governatore Luca Zaia è sul piede di guerra per la gestione e “l’imborghesimento” romano del partito (nel nordest il Carroccio ha perso il 61% dei voti), surclassato oltre l’Adige dal boom dei grillini, diventati il primo partito tra artigiani e padroncini, tradizionale riserva indiana leghista.

Terzo. Sul piano della rappresentanza territoriale e delle composizioni sociali che ne derivano, il cleavage città-contado continua a rappresentare il vero fossato che separa centrodestra e centrosinistra nel nord Italia, nonostante lo smottamento di consensi ed egemonia del leghismo 2.0. Il tentativo di proiettare acriticamente il modello Milano su scala regionale, sponsorizzato tra gli altri dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia, si è rivelato una pia illusione. Il Pirellone è ben altra cosa dalla cinta daziaria ambrosiana: a fare la differenza sono i popolosi territori del capitalismo diffuso, le vallate pedemontane ex porto franco democristiano, le provincie manifatturiere, le zone alpine e la cintura agricola verso l’Emilia. Da queste parti il senso comune, il radicamento e la capacità di presidiare i luoghi del consenso fanno tutta la differenza.

Non a caso se Ambrosoli è andato bene nei capoluoghi di provincia, dove più forte è il voto di opinione e l’influenza dei ceti urbani acculturati, fuori dalle città più grandi la sua marcia si è trasformata in una Caporetto a tutto vantaggio dell’ex ministro dell’Interno. Certo la sconfitta brucia, ma finché “popolani” e “borghesi” resteranno mondi separati, il centrosinistra al nord è destinato a soccombere… 

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