Nel Pd trionfa il non candidato Matteo Renzi

L’ultima vera vittoria della sinistra è stata nel 1996

Il trionfatore che sarebbe stato è un signore che non era nemmeno ai blocchi di partenza e da parecchie ore ha virato saggiamente per il silenzio stampa: Matteo Renzi. Già ieri sera, a spoglio ancora serrato, era chiarissimo chi aveva vinto e chi aveva perso queste bombastiche elezioni 2013. I vincitori sono stati Beppe Grillo e Silvio Berlusconi. Gli sconfitti il premier uscente Mario Monti e il favorito della vigilia, Pier Luigi Bersani. Anche se in questo gioco di spread e convitati di pietra, ingovernabilità e sindrome greca, il voto riconsegna soprattutto la fotografia di uno smottamento ben più impetuoso del 1992, quando in piena Tangentopoli e nei miasmi di una grave crisi finanziaria i grillini di allora, la Lega Nord di Umberto Bossi, presero l’8,7% dei consensi alla Camera, e già sembrava una valanga irresistibile.

Vent’anni dopo la fondazione della Seconda Repubblica, a valle di un altro interregno tecnico reso necessario da una classe politica incapace di riformare il paese per tenerlo al passo del grande gioco globale, il populismo anti sistema ha assunto il volto del M5S che diventa addirittura il primo partito del paese, facendo incetta di consensi lungo tutto lo stivale (d’ora in poi vietato liquidarlo come puro contenitore di protesta, un pezzo importante della società italiana ai tempi dello spread le ha dato fiducia, bisognerà studiarlo, interrogarsi e farci i conti).

A sua volta il “rieccolo” Silvio Berlusconi si è dimostrato di nuovo imbattibile nel miglio decisivo della campagna elettorale, specie quando le tasse & la casa, alfa e omega del blocco dei produttori e di un paese di proprietari, come nel 2006 monopolizzano l’agenda politica. Mentre il povero Monti, dopo aver riacciuffato il paese sull’orlo del baratro, ha fallito miseramente la prova del voto, algido e tecnocratico, galleggiando tra percentuali da vecchio Udc e terzaforzismo socialista che fu a dimostrazione che un partito della borghesia e delle élites in Italia resta un illusorio vorrei ma non posso.

Ma soprattutto il voto ha certificato il flop del Pd bersaniano, trazione “usato sicuro”, che ha visto svanire una vittoria annunciata da tutti, per troppa prosopopea, sottovalutazione del solito Cavaliere e distanza siderale dal paese reale, non solo nel nord terra ostile. Forse andrebbe ricordato che il centrosinistra non vince realmente dal 1996 (nel 2006 fu una vittoria mutilata), dagli anni dell’Ulivo prodiano.

Nonostante il tracollo pidiellino (-18 punti rispetto al 2008), mai davvero capace di sfondare al centro, costruire un nuovo blocco sociale, rinnovarsi e parlare a mondi diversi dai vecchi aggregati di massa: grande fabbrica, grande sindacato e impiego pubblico. E qui salta all’occhio il rimpianto di Renzi, sconfitto a novembre in una primaria evidentemente da ripensare se competizioni del genere arrivano a selezionare il personaggio meno attrezzato per vincere le elezioni vere, le uniche che contano, privilegiando il consenso degli apparati su quello dell’opinione pubblica.

Con Renzi in campo sarebbe probabilmente cambiata tutta la politica italiana: Berlusconi non avrebbe corso e quindi spaventato un’altra volta il mondo intero e i mercati finanziari, aprendo la strada ad un successore; Monti avrebbe puntato deciso al Quirinale o ad una poltrona europea, senza timori di vedersi rottamata l’eredità di un anno di governo difficile ma necessario; Grillo si sarebbe fermato su percentuali meno bombastiche, il sindaco di Firenze avrebbe fatto da diga costituzionalizzando lo spirito anti casta e la sacrosanta voglia di novità e facce nuove che corre nelle vene del paese, pescando a piene mani tra gli elettori delusi di centrodestra i quali, in mancanza d’altro, si sono astenuti o sono tornati all’ovile berlusconiano.

Riposto l’album dei “se”, a questo punto la via è davvero stretta e lo spettro dell’ingovernabilità quasi insuperabile, soprattutto perchè l’M5S, i cui voti sono decisivi, non si presterà ad accordi programmatici che sgonfierebbero d’incanto, e in poche settimane, l’enorme consenso accumulato. Né sarebbero sostenibili, in tempi di fiscal compact, debito pubblico fuori controllo e vigilanza Ue sui paesi membri, per formazioni tutto sommato europeiste come Pd e Pdl. Per la cronaca, il primo partito italiano o giù di lì, appunto il 5 Stelle, in campagna elettorale ha promesso un referendum sull’Euro. Una prospettiva che fa gelare il sangue alle cancellerie di tutto il continente.

Tertium non datur, dunque. «L’unica strada percorribile è tentare la via della grande coalizione Pd-Pdl, continuando il sentiero aperto dal governo emergenziale di Mario Monti, evidentemente con un altro premier rispetto a quello uscente, bruciatosi sull’altare di un pessimo risultato elettorale…», raccontavano ieri sera alcune fonti. Su questa ipotesi, che incrocerebbe giocoforza la grande partita sull’elezione del presidente della Repubblica, i nemici Bersani e Berlusconi potrebbero paradossalmente ritrovarsi, puntellandosi a vicenda. Per i due rivali meglio condividere una prospettiva gran-coalizionista e di salute pubblica, che tornare subito alle urne.

Quest’ultimo scenario sarebbe in fondo la grande rivincita di Matteo Renzi: Berlusconi si troverebbe in mano una vittoria di Pirro e dovrebbe tornare ad Arcore gettando alle ortiche l’ennesima rimonta impossibile che lo garantisce un’altra volta al tavolo del potere; Bersani novello Occhetto, dovrebbe passare la mano al giovane rivale, che nel frattempo ha conquistato il partito dimostrando lealtà e spirito di squadra dopo la sconfitta alle primarie. A riprova della giustezza del teorema di Tony Blair: per puntare alla premiership, occorre prima prendersi il partito…. In attesa di oggi pomeriggio, quando lo spoglio delle regionali completerà il quadro di questo ennesimo smottamento italiano. 

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