C’è un elemento simbolico-sportivo che è stato completamente trascurato nei vaticini preelettorali. In tutti gli appuntamenti precedenti con le urne nazionali Berlusconi ha sempre vinto quando nella domenica del voto il suo Milan ha sempre perso (1994-2001 e 2008). Quando invece il Milan ha vinto la partita di campionato (1996 e 2006), il Cavaliere ha sempre perduto le elezioni politiche. Invece, caso inedito, la domenica 24 febbraio (e nonostante Balotelli) il Milan ha pareggiato il derby con l’Inter.
Il popolo sovrano, se si accetta la democrazia, “ha sempre ragione”. E la protesta e il disagio diffuso, il sotterraneo malessere sociale da qualche parte doveva trovare un canale nel quale esprimersi. Il successo del Movimento 5 Stelle, al di là di tutte le previsioni, manifesta una volta di più l’incapacità del Palazzo e dell’intero sistema mediatico di tastare il polso reale del Paese. Nel conformismo dominante si è perso di vista l’andamento complesso di una mediocre campagna elettorale. Oltre all’esplosione del consenso trasversale e tutto sommato interclassista di Grillo, la “remuntada” del Cavaliere (ben più ardua di quella che tenterà il Barcellona contro il suo Milan) è stata fino all’ultimo sottovalutata e disprezzata, come se non riuscisse più a parlare a una base sociale pur lungamente disillusa e sconcertata. Ma in molti (soprattutto quelli che ai media non interessa nel complesso intercettare) si sono “turati il naso” e hanno votato quel Pdl, magari per la banale considerazione che alla fine era il “meno peggio” rispetto ai legittimi interessi individuali e familiari.
Berlusconi in sostanza non ha perso, perché comunque avrà in Parlamento un ruolo non da comprimario, ma da attore politico almeno alla pari degli altri leader. E liquidare la sua avventura come “populista” (come peraltro è avvenuto ed avviene per lo stesso Grillo) sembra il solito tentativo di giudicare senza fare lo sforzo di comprendere.
Della sconfitta sostanziale di Mario Monti si è già appena detto, anche se paradossalmente il Professore potrebbe mantenere uno spazio centrale nello stallo sostanziale che si è creato, avendo tra l’altro alle spalle il “gradimento” esclusivo e caloroso di Obama, della Merkel e degli onnipotenti mercati finanziari.
Nonostante tutti gli arzigogoli dialettici con cui si cercherà di edulcorare i risultati, è pressocchè impossibile occultare la battuta d’arresto (per usare un eufemismo) del centro-sinistra, in gran parte “svuotato” dal Movimento5Stelle, penalizzato da alleati inconsistenti e ben lontano dall’aver raggiunto almeno quel terzo pieno dei voti espressi, che è sempre stato il bacino naturale del consenso storico della sinistra in Italia.
Ammesso che Bersani vinca sul filo di lana alla Camera, c’è da chiedersi con quale legittimità possa avere il 55% dei deputati senza aver raggiunto neppure il 30 % dei voti. E si spera che, finalmente, anziché accusare la nequizia degli avversari ed esprimere l’abituale vittimismo contro il “destino cinico e baro”, la sinistra intellettuale e politica sappia interrogarsi sul lungo festival degli errori che ne ha costellato l’azione degli ultimi anni. E non nasconda sotto la ricorrente spocchia del suo antico “complesso di superiorità” l’analisi spietata delle sue evidenti manchevolezze.
Ci sarà pure qualcuno che magari si mangia le mani per avere, nel non lontanissimo 2006, estremizzato come “attentato alla Costituzione” il referendum popolare sulla riforma costituzionale, che aveva superato il lunghissimo iter dei quattro passaggi parlamentari. Era una riforma certo imperfetta (quella della Devolution), ma aver respinto gli elementi di innovazione, pur portati dagli altri, nel nome di un immobilismo conservatore e corporativo, si va rivelando ogni giorno di più un boomerang drammatico.
Quella riforma (che poi si poteva tranquillamente emendare) riduceva già il numero dei parlamentari e soprattutto poneva fine alla spaventosa idiozia (certamente “costituzionale”, ma pur sempre idiozia) del “bicameralismo perfetto”, una follia che non esiste in nessuno dei Paesi di democrazia ben consolidata.
Allora si introduceva il Senato delle Regioni e si lasciava alla sola Camera il voto di fiducia al governo. E molti dei problemi che stanno complicando l’incerto “prodotto” delle odierne elezioni erano già risolte alla radice, in una logica di semplificazione e di onesta modernità invece del nostro pesante giuridicismo da Azzeccagarbugli.
L’altra “colpa” politica che il centro-sinistra paga duramente è quella di aver preferito, con il rito delle primarie, la forza e il peso degli apparati di partito e della galassia di enti collegati al soffio di novità e di cambiamento portata dal coraggio di Matteo Renzi. Aver sprecato questa opportunità, che pure era comparsa come risorsa imprevista e benedetta, è una macchia difficilmente cancellabile. In sostanza alla fine queste elezioni offrono un risultato coerente con il nome del santo del giorno: domenica 24 febbraio era infatti San Modesto e pure il Milan aveva anche pareggiato….