Per chi votare? Per quale Papa? Anche l'”elettore silenzioso” partecipa a suo modo al conclave. Non ha diritto al voto ma vota egualmente in cuor suo.
Sono elettori silenziosi molti europei quando negli Stati Uniti si sceglie un presidente. Non vanno alle urne ma in cuor loro votano, perché sanno che l’avvenimento avrà dei riflessi anche sul Vecchio continente. (…) Di elettori silenziosi, liberi da vincoli di fede, ma animati da un variabile, oscillante interesse, suscettibile di diventare passione sul filo della tradizione e delle emozioni, ne restano tanti.
Abbastanza per far esplodere l’audience quando le telecamere inquadravano i gesti del Papa Giovanni Paolo II. Immagine vivente di una fede d’altri tempi, che, unita a una volontà al tempo stesso umana e imperiale, ha dato toni epici alla sofferenza, fino all’agonia e alla morte. Gli elettori silenziosi erano abbastanza numerosi per riempire le piazze, dove erano attirati “più dal cantante che dalla canzone” (come disse una volta un cardinale allo stesso Papa dopo una grande riunione all’aperto).
Erano abbastanza per affollare le chiese, di solito sempre più vuote di preti e di fedeli, nell’eccezionale occasione dei funerali, regolati da una liturgia che umiliava la coreografia profana della civiltà dello spettacolo.
Il Papa era come un caldo, ricco mantello che copriva le navate deserte delle cattedrali europee, che nascondeva i seminari senza seminaristi nelle vecchie nazioni cattoliche, che dava effimeri colori religiosi al relativismo laico sempre più dominante nel continente-culla della cristianità.
Gli elettori silenziosi vedono adesso le ferite. Le legioni di agiografi non riescono ad appannare il loro sguardo. E in cuor loro votano sulla base delle sfide evidenti, concrete, che attendono la Chiesa, e la parte di società sensibile ai suoi insegnamenti; e che il nuovo Papa, ancora senza volto, dovrà affrontare.
(…) Nessun Papa come Giovanni Paolo II ha mai raccolto folle tanto imponenti ed entusiaste; e tuttavia nel quarto di secolo del suo pontificato la pratica religiosa è diminuita in Europa. E si è ristretta la fedeltà ai dogmi e la sottomissione alle norme morali. Si sono intensificati simultaneamente gli applausi al Papa e le critiche alle sue prese di posizione contro la pillola, il preservativo, la coabitazione extraconiugale, l’aborto, la procreazione medicalmente assistita.
In varia misura, queste pratiche si sono moltiplicate nelle nostre società mentre la popolarità del Papa e l’affetto per la sua persona crescevano in egual misura. E questo è accaduto in tutti i continenti, dove egli ha predicato con chiarezza e passione il suo ordine etico universale da applicare ovunque, benché i problemi della vita cambino secondo i paralleli. Nel Sud non sono quelli del Nord.
L’autonomia delle chiese locali, chiesta dal Concilio, ha una sua logica. Al successore non riuscirebbe comunque facile esercitare la forte autorità di Giovanni Paolo II con altrettanta nobiltà.
Un Papa non europeo sarebbe una sorpresa. Una sorpresa sgradita a molti (elettori silenziosi non soltanto europei). Non perché sarebbe sgradito un latino americano, un africano o un asiatico in quanto tale. Il motivo è che l’elezione di un Papa extraeuropeo farebbe risaltare ancora di più la scristianizzazione dell’Europa; e farebbe apparire lui, personalmente, il nuovo Papa, come ospite di un Vaticano in via di smobilitazione, in procinto di trasferirsi altrove. In un continente più cattolico. Qualcosa di simile alla delocalizzazione di un’industria.
Un europeo più di un altro, purché non un burocratizzato prelato di Curia, potrebbe affrontare con particolare saggezza quello che resta il fenomeno più devastante per la Chiesa: la secolarizzazione della società europea. La cui maggiore conseguenza è la libertà di coscienza sempre più radicata nelle nuove generazioni; per le quali la morale è ormai di rado quella fissata dai dogmi; essa è piuttosto quella decisa via via davanti ai problemi della vita.
Nel migliore dei casi i dogmi vengono adattati, adeguati alle necessità. Ed è curioso che lo scetticismo nei loro confronti sia stato corroborato dallo stesso Papa. Denunciando non pochi errori compiuti dalla Chiesa nella Storia, egli ha confermato più la sua fallacia che la sua infallibilità.
L’individualismo e il relativismo sono i demoni, denunciati dal cardinale Ratzinger, con quali il nuovo Papa dovrà confrontarsi. La modernità non è una sfida nuova per la Chiesa. Ma non è mai stata indolore.
Un columnist del New York Times, Nicholas D. Kristof, si è messo tra gli elettori silenziosi e ha formulato una profezia, in sostanza un voto: per lui sarà fatto Papa un cardinale disposto ad autorizzare gli uomini sposati a diventare sacerdoti. È una questione di sopravvivenza. In tutto il mondo la Chiesa cattolica manca di preti. Nel 1965, negli Stati Uniti, dice Kristof, ce ne era uno per 800 cattolici. Oggi ce ne è uno per 1.400. E l’età media si aggira sui sessant’anni.
Nel 2002, in un paese come gli Stati Uniti, che conta 65 milioni di cattolici, sono stati ordinati 479 sacerdoti. Le chiese protestanti, in cui i pastori si sposano, sostiene sempre Kristof, guadagnano terreno rispetto alla Chiesa Cattolica, nell’America del Nord come in America Latina. In Brasile, dove ci sono più cattolici che in qualsiasi altro paese, nel prossimo decennnio i Pentecostali potrebbero superare i cattolici.
Se si attraversa l’Atlantico la situazione non è migliore. Peggiora. Il francese Henri Tincq ricorda su Le Monde che negli anni Cinquanta si ordinavano in Francia circa 1.000 sacerdoti all’anno. Nell’ultimo ventennio la media è scesa a 110. Insufficiente per garantire un prete in ogni funerale cattolico.
Nonostante queste cifre, la profezia-voto di Kristof è realizzabile? C’è tra i cardinali un papabile disposto ad abolire la regola del celibato per salvare la Chiesa, come sostiene il giornalista americano?
Bernardo Valli, 17 aprile 2005, La Repubblica