Francesco e il Sudamerica dopo le gaffe di Ratzinger

Le sfide del Vaticano

«Ho la gioia di vedere che il cuore di Roma palpiterà per il Terzo mondo. Francesco vuol dire un programma di vita, una Chiesa che deve essere riformata. ‘Ricostruisci la mia Chiesa’, diceva Gesù a Francesco. E’ quello che dice al nostro nuovo Francesco. Sarà la voce dei poveri. Ho parlato con una ragazza che ha avuto un bambino che abbiamo salvato dalla droga e dal crack e questa signora mi ha detto: ‘Ho visto l’amore di Dio nel suo cuore, è un Papa buono, lavora col cuore non con le leggi’. Ha chiesto a noi di pregare per lui. Quest’uomo andrà ad abbracciare molte persone che hanno bisogno…».

C’è una certa dose di retorica mischiata a un sentimento di speranza e al senso di un’attesa durata troppo a lungo nelle parole di Renato Chiera, fondatore della Casa do Menor di Rio de Janeiro, che ha commentato alla Radio Vaticana l’elezione di Jorge Mario Bergoglio, ormai ex arcivescovo di Buenos Aires, al Soglio pontificio. Del resto 40 anni fra le favelas e i poveri richiedono fiducia nel futuro e capacità di perseverare.

Quando nel 2007 Benedetto XVI andò a San Paolo del Brasile, il suo fu un viaggio intenso ma molto tradizionale, anche i luoghi dell’impegno sociale che visitò erano quelli meno legati alla realtà più cruda e alle contraddizioni del Paese latinoamericano. Da cronista, in questo caso, posso però ricordare un incontro abbastanza disteso e familiare con il presidente Lula e sua moglie. E tuttavia nelle periferie sconfinate di San Paolo Benedetto XVI non mise piede, cosa che gli provocò più di una critica. Del resto nel Paese restavano attivi gruppi e intellettuali legati a quella teologia della liberazione che aveva infiammato la chiesa brasiliana e che si era scontrata proprio con la teologia conservatrice di Ratzinger, il quale tuttavia aveva anche riconosciuto, entro certi limiti, ‘la cittadinanza’ nella Chiesa cattolica anche ai dissidenti dell’America Latina. Lo ha ribadito uno dei protagonisti di quell’epoca, l’allora religioso francescano – oggi laico – Leonardo Boff che fu chiamato a Roma per essere duramente redarguito. Lo stesso Boff ha visto nell’elezione di Bergoglio, un segno di cambiamento nonostante la lettura anche critica che l’ex arcivescovo di Buenos Aires diede della teologia liberazionista; non mi interessano i dibattiti sulle definizioni, ha detto Boff, mi importa sottolineare che lui sta dalla nostra stessa parte, quella dei poveri e degli oppressi. 

Ma durante quello stesso viaggio in Brasile, Ratzinger, le cui parole venivano scrutate attentamente e con diffidenza, incappò in una di quelle gaffe che hanno segnato il pontificato. Affermò infatti che gli indios dell’America Latina si convertirono al cristianesimo senza che l’evento producesse alcun conflitto con gli europei, “Cristo era il salvatore che aspettavano silenziosamente”. Naturalmente si scatenarono polemiche e proteste anche dei leader indigeni.

Alla fine di luglio Francesco sarà a Rio de Janeiro per la Giornata mondiale della gioventù (dal 23 al 28 luglio); in questo caso la sfida per la Chiesa è di quelle che riguardano il futuro, la capacità di parlare alle generazioni del domani. Ma di certo il Papa argentino sarà più accorto del suo predecessore nel toccare certi temi, e poi se è vero che storicamente una certa rivalità segna la storia dei due più grandi Paesi del continente, questa volta è stato chiaro fin da subito che Bergoglio è il Papa di tutta l’America Latina, anche perché i cardinali brasiliani lo hanno sostenuto in modo deciso in conclave.

Se dunque i giovani, le grandi questioni sociali, un’evangelizzazione che metta in relazione la dottrina della Chiesa con la modernità sono temi rilevanti dell’azione del prossimo papa, in America la grande sfida al cattolicesimo arriva anche dalle sette protestanti. Tre fenomeni che s’intrecciano fra di loro stanno infatti dissanguando da decenni la Chiesa latino-americana. Il processo di urbanizzazione di massa che è cominciato negli anni ’50 ha prodotto un progressivo allontanamento dalla fede, è un fenomeno che è stato rilevato a livello globale, e che nel ‘cono sud’ ha avuto proporzioni molto ampie (in Brasile si è passati da quasi la totalità della popolazione che si dichiarava cattolica nel 1960 a poco più del 65 di cattolici in circa cinquant’anni). Parallelamente è cresciuta la presenza delle sette pentecostali, un protestantesimo invasivo e aggressivo che aiuta la gente nella vita quotidiana e dà una forte sicurezza spirituale e psicologica; le sette poggiano su una presenza capillare nel territorio e un rapporto diretto con le persone.

Lo stesso tipo di presenza, infine, era garantita al cattolicesimo dalla Chiesa di base sviluppatasi a partire dagli anni del Concilio Vaticano II. Sotto tale profilo è stato il Vaticano e in particolare il pontificato di Karol Wojtlya a frenare non solo la teologia della liberazione ma ogni esperienza di chiese sociale e popolare. I risultati sono stati un progressivo svuotamento di qualità degli episcopati e del radicamento delle congregazioni religiose come delle esperienze ecclesiali nelle vaste regioni latinoamericane. Nonostante tutto, però, l’America Latina resta una riserva formidabile per la Chiesa cattolica. Papa Francesco allora è oggi la risorsa inaspettata che può rimettere in moto il grande gigante. D’altro canto su molte questioni tradizionali legate all’etica e alla bioetica Bergoglio esprime posizioni in linea con la dottrina, anche se pure in questo caso, bisognerà vedere se qualche piccolo elemento di novità con il passare del tempo verrà introdotto, a partire dal tema della comunione ai divorziati risposati. 

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