Il problema sta tutto nella forma. Quella con cui Pier Luigi Bersani, segretario del Partito Democratico, spiegherà al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di voler fare un passo di lato “per il bene dell’Italia”. Perché dal modo in cui lo farà (e se lo farà) dipende non solo il futuro dell’Italia, ma quello politico dello stesso segretario. È questa la sensazione che è circolata per tutto il giorno a Montecitorio e a palazzo Madama nel giorno dell’inizio delle consultazioni.
Il candidato premier del Pd ha resistito fino all’ultimo, tanto che nel secondo pomeriggio ha deciso di inviare a tutti i parlamentari democratici il programma in 8 punti presentato alla direzione nazionale. “Ci state o no?” era la domanda. Qualcuno come Felice Casson, senatore piddino veneto, la risposta l’aveva già recapitata nel primo pomeriggio. «Bersani ha il 20% di possibilità di riuscire a formare un governo. Ora lui è in alto mare, è come un marinaio che non sa da che parte è la tramontana e ha difficoltà a trovare i pesci». Ma i pesci, soprattutto quelli del Pd, viaggiano come salmoni a corrente contraria, verso Napolitano.
Qui sta il punto. Tutto il partito, a parte i fedelissimi del “tortellino magico”, da Maurizio Migliavacca, Miguel Gotor, Luigi Zanda e Roberto Speranza, hanno consigliato a Bersani di fare un passo di lato per favorire il mandato esplorativo di Piero Grasso.
In giornata per il transatlantico, era pure montata l’ipotesi di dimissioni dalla segreteria, che Bersani che avrebbe mollato perché infastidito dallo “schiaffo” di Napolitano, contrario a consegnargli un mandato esplorativo. «Una bufala bella e buona», spiega un senatore. Ritiene che «Pier Luigi domani dovrà essere capace di fare una mossa come quella per Grasso e la Boldrini: questa volta però la farà lui».
Proprio su questo aspetto, sul rapporto tra Napolitano e Bersani si è molto discusso nei palazzi romani. Tra i due non corre buon sangue da circa due anni, ma il casus belli degli ultimi tempi potrebbe essere quello di due settimane fa, alla chiusura delle elezioni. Quando Bersani iniziò a rivendicare per sé la formazione di un governo, la cosa, spiegano fonti del Colle, aveva irritato Napolitano.
In sostanza, è bastato che iniziassero che le consultazione con il Quirinale a far cambiare strategia al segretario del Pd. Una giornata intensa, dicevamo, che ha portato consiglio in casa dei democratici. Al Nazareno, sede nazionale del Pd, le riunione si sono susseguite ad oltranza, «ci sono incontri a batteria», ma ormai sembra chiaro che ciò che era possibile fino a poche ore fa, «un governo di combattimento a guida Bersani sugli otto punti programmatici votati all’unanimità in direzione» non è più nelle cose. Bersani è consapevole che Giorgio Napolitano non gli potrà mai affidare un incarico al buio. «Un governo senza maggioranza non s’ha da fare», sussurrano dal Colle.
E il partito, con in testa Matteo Renzi a far pressioni, avrebbe consigliato il segretario a fare «un passo di lato». Il ragionamento che si fa in casa Pd è il seguente: domani il segretario porterà sul tavolo di Napolitano due ipotesi. La prima riguarda sé stesso, consapevole che il Capo dello Stato la scarterà. La seconda è una soluzione «moderna», come la chiamano al Nazareno, con un leader riconosciuto da tutto l’arco costituzionale, o da gran parte di esso, «ma che sia un leader che non abbia una stampo partitico».
E sulla seconda soluzione allo stato attuale ne circolano diversi di nomi, da Valerio Onida a Stefano Rodotà, passando per Gustavo Zagrebelski ed Emma Bonino, ma il favorito sembra essere l’attuale presidente del Senato Pietro Grasso, che riceverebbe un “incarico esplorativo”, come già successe a Franco Marini nel 2007.
Una soluzione che verrebbe accolta positivamente dal Capo dello Stato, e allontanerebbe lo spettro di nuove elezioni. E, soprattutto, troverebbe la convergenza dei montiani e dei berlusconiani. D’altronde pochi giorni fa lo stesso Silvio Berlusconi ha definito «ottimo» il discorso d’insediamento di Pietro Grasso. E in ambienti di centrodestra, nessuno esclude che possano convergere su un governo guidato dall’ex procuratore nazionale antimafia.
Del resto l’obiettivo comune, a destra come a sinistra, è quello di un governo per il Paese, che riesca a contenere la crisi economica, e, sopratutto, a consentire di poter tornare alle urne con una nuova legge elettorale. E, come assicura a Linkiesta un senatore democratico di rito bersaniano, «anche i grillini hanno paura delle elezioni. Mica sono scemi».
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