Il vicolo cieco in cui si è cacciato il soldato Bersani

Il travaglio del Pd/1

Pier Luigi Bersani osserva gli sviluppi della crisi istituzionale da casa sua a Piacenza. Il segretario tra poco, alle 18 e 30, lascerà ad Enrico Letta il complicato incarico di affrontare il presidente della Repubblica nelle consultazioni al Quirinale. L’umore di Bersani non è buono, e le sue quotazioni all’interno del partito sono decisamente crollate. Per una serie di suoi errori tattici e di furbizie altrui, il segretario adesso si trova chiuso in un angolo dal quale difficilmente potrà venire fuori se non politicamente sfiancato. Bersani in queste ore teme entrambi gli scenari ai quali lo ha ormai costretto Silvio Berlusconi.

Ipotesi uno: accetta l’abbraccio del Pdl e il suo partito esplode. Se stasera la linea del Partito democratico dovesse cambiare e se insomma fosse improvvisamente possibile formare un governissimo con Silvio Berlusconi, cosa accadrebbe? Il segretario dovrebbe probabilmente arrivare dimissionario a una nuova direzione del partito: il patto con il Pdl è infatti una violazione del famoso programma in otto punti proposto da Bersani, votato all’unanimità, e stilato per agganciare il Movimento 5 stelle. Se Bersani non si dimettesse, nel partito scoppierebbe comunque una guerra intestina perché ampi settori del Pd (persino forse maggioritari) non accetterebbero di condividere responsabilità con gli uomini del Pdl. Il Partito democratico, persa anche l’alleanza con Nichi Vendola, rischierebbe insomma l’esplosione, la frantumazione. Inoltre l’alleanza tra Pdl e Pd metterebbe Grillo nelle migliori condizioni possibili. Il governissimo tra il “Partito delle mani pulite” e il “Partito degli impresentabili” posiziona infatti il comico genovese esattamente dove vuole stare: sulle barricate anti sistema, all’opposizione dei due partiti che, nella sua retorica, sono fratelli gemelli colpevoli del disastro italiano. Grillo avrebbe quindi agio di una lunga campagna elettorale per sfilare gli elettori al principale partito del centrosinistra che si è piegato all’inciucio e ha tradito la sua vocazione. A quel punto il Pd frantumato, ammesso che resista alle spinte centrifughe, dovrebbe soltanto sperare che il nuovo governo con Berlusconi (uomo tuttavia dalle inclinazione notoriamente mutevoli) duri abbastanza a lungo da completare un intenso rinnovamento all’interno delle file della vecchia nomenclatura. Matteo Renzi erediterebbe macerie.

Ipotesi due: rifiuta l’abbraccio del Pdl e perde le elezioni. I dirigenti del Pd stasera potrebbero confermare al presidente Napolitano che con Berlusconi il Pd non vuole avere nulla a che fare. Questa ipotesi ha l’effetto di spingere tutto il sistema, rapidamente, verso confuse elezioni anticipate che dovranno essere indette dal successore di Napolitano (a partire dal 15 maggio, a meno che Napolitano non si dimetta prima). In un clima di marasma totale: la presidenza della Repubblica al vento, i marosi della crisi economica che si gonfiano in uno Tsunami. La campagna elettorale si svolgerebbe in un contesto drammatizzato dallo spread in salita (è già arrivato a quota 360), dai dati pessimi su disoccupazione e crescita, e dalla ripresa violenta della speculazione finanziaria sul debito. Nel caos, dopo un’elezione presidenziale divisiva e a maggioranza, il Pdl di Berlusconi accuserebbe in campagna elettorale il Pd di essere il partito irresponsabile, di essere in pratica la causa dell’instabilità che travolge i Mercati e innalza lo spread. Anche Grillo farebbe festa. Al comico di Genova toccherebbe in pratica il monopolio di una protesta che si gonfia sempre di più nutrita elettoralmente dai disastri economici. A Grillo andrebbe anche il quasi monopolio (in comproprietà con il Cavaliere) dell’euroscetticismo. Insomma lo spazio politico del Pd, e il suo segmento di mercato elettorale, la sua stessa credibilità di partito europeista e responsabilmente socialdemocratico, risulterebbero evidentemente ridotte. Residuali persino. Quelle di giugno 2013 non sarebbero più elezioni, ma un referendum tra Berlusconi e Grillo. Anche in questo caso macerie di Pd, a cui forse nemmeno Matteo Renzi saprebbe restituire una forma.

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