La tenerezza non è un sentimento da deboli, anzi è una forma di coraggio. Lo ha detto oggi Francesco, vescovo di Roma e successore di Pietro nella messa che ha segnato l’inizio del pontificato. E a suo tempo lo stesso concetto fu espresso da Ernesto Guevara de la Serna detto il ‘Che’. Entrambi argentini, ma certo con percorsi e mestieri diversi. Sarà stata solo una coincidenza che il Papa di Buenos Aires abbia scelto quella parola, «tenerezza», per parlare della capacità degli esseri umani di stare vicini gli uni agli altri, di «prendersi cura» di chi ti è vicino. Eppure è un fatto che qualcosa di molto simile lo diceva il più noto rivoluzionario dell’America Latina diventato prima leggenda, poi mito, quindi marchio e brand intramontabile per i movimenti di protesta di ogni angolo del mondo.
E se Bergoglio è certo un uomo mite, è anche assai forte coriaceo di carattere, ne ha viste molte, otto anni fa è già stato sul punto di essere eletto Papa, in passato ha vissuto anni difficili: insomma Francesco è semplice nei modi ma ha una personalità forte. In forma non dissimile, il suo conterraneo argentino che infiammò Cuba e il Sudamerica fra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, è stato di certo un combattente, un teorico e un politico – più portato all’azione che alla strategia – ma a farne un mito ha contribuito anche una certa dolcezza nel comunicare, la tenerezza, appunto, nel guardare agli altri, quasi un contraltare a una visione ideologica stringente e assoluta. «La durezza di questi tempi – recita una delle frasi celebri del Che – non ci deve far perdere la tenerezza dei nostri cuori». E ancora: «Bisogna essere duri senza perdere la tenerezza». Sono espressioni ormai consumate dall’uso, e rese poi ancora più note da una celebre biografia – di parte ma notevole – su Guevara firmata d un grane scrittore messicano, Paco Ignacio Taibo II.
E così questa mattina quando Francesco, nel corso della sua omelia di inizio pontificato, ha tirato fuori un lungo passaggio sula tenerezza, anche diversi giornalisti hanno esclamato: «Come Che Guevara!». E poi il ritornello è rimbalzato sui social network. Solo un gioco, certo, eppure dietro le suggestioni si nascondono a volte le novità e i cambiamenti, soprattutto quando si tratta di comunicazione. Così Bergoglio ha parlato di custodia del creato, cioè di salvaguardia ambientale e di difesa dei deboli, senza rinunciare – appunto – alla tenerezza: «Il prendersi cura, il custodire – ha detto – chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza». «Nei Vangeli – ha aggiunto – San Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!». Allo stesso tempo rivolgendosi ai governanti, ha chiesto – per favore! – di non lasciare «che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!». Nuovamente ha definito sé stesso come vescovo di Roma, e in tal modo ha già avviato una riforma del papato che diventa operativa nelle espressioni del capo della Chiesa cattolica.
Non per caso, forse, in piazza San Pietro, oltre a decine di migliaia di persone, era presente anche il patriarca ecumenico ortodosso di Istanbul, Bartolomeo I. Si tratta di un altro fatto eccezionale in questi giorni particolari che sta vivendo la Chiesa di Roma; la presenza di uno dei massimi leader ortodossi sul sagrato di San Pietro è infatti il segno che qualcosa sta cambiando anche nelle relazioni fra oriente e occidente. Particolare non secondario, Bartolomeo I da diversi anni è impegnato in un’azione di mobilitazione della religioni in favore della tutela dell’ambiente, e ha fatto di questo tema uno dei tratti più significativi della propria azione pastorale. Dunque dalla prima grande celebrazione eucaristica anche il dialogo fra le chiese cristiane esce improvvisamente ravvivato; il vescovo di Roma non è più un sovrano e già alcuni temi comuni – quindi concreti e non strettamente teologici – sono al centro della ripresa di un possibile dialogo ecumenico.
Dopo la messa, poi, il Papa ha dovuto – come da prassi – salutare nella basilica di San Pietro una per una le numerosissime delegazioni istituzionali arrivate a Roma da tutto il mondo per salutarlo. Si è trattato di una fase piuttosto lunga anche perché moltissimi fra capi di Stato e di governo, ministri e teste cornate, cercavano scambiare qualche parola con il nuovo Pontefice. Anche il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe – accusato da tempo di violazione dei diritti umani – si è soffermato con la moglie davanti a Francesco, ha cercato di intrattenersi più a lungo del dovuto mentre i vari addetti vaticani al cerimoniale cercavano di farlo andare via rapidamente.
Il vicepresidente degli States Joe Biden ha scambiato qualche parola con il Papa, mentre molti leader sudamericani hanno voluto manifestare la loro soddisfazione e gioia. Anche la presidente del Brasile Dilma Roussef ha salutato il vescovo di Roma e ha avuto con lui un breve colloquio piuttosto familiare durante il quale sarà stato toccato il tema del prossimo viaggio in Brasile di Francesco alla fine di luglio per la a giornata mondiale della gioventù. La visita, del resto, è stata confermata dal cardinale brasiliano Raymundo Damasceno Assi, presidente della conferenza episcopale brasiliana, il quale ha detto: «Ho avuto modo di parlare con Francesco e mi ha confermato che sarà a Rio quest’estate». Appare sempre più probabile ,anche se manca una conferma ufficiale, che nella stessa occasione Bergoglio visiterà anche il suo Paese, l‘Argentina – questo per altro ha lasciato intendere la presidente Cristina Kichner – mentre è già stato invitato a Panama e in Honduras.