Rischio-Italia, gli investitori alzano le protezioni

L’ingovernabilità non piace ai mercati

Il rischio Italia spaventa gli investitori. Oltre a Piazza Affari e ai Btp c’è di più. L’effetto più significativo delle ultime elezioni si è registrato sul mercato dei Credit default swap (Cds), i derivati finanziari che fungono da polizza assicurativa contro l’insolvenza di un emittente di titoli. I dati della Depository trust & clearing corporation (Dtcc), il cui database registra giorno per giorno il mercato globale dei Cds, lasciano poco spazio all’ottimismo. Per la prima volta nella storia sono stati superati i 14.000 contratti attivi di protezione sul debito pubblico italiano. Solo un anno fa erano meno di 10.000. A intimorire gli operatori è il quadro di ingovernabilità, unito a una recessione la cui portata non accenna a diminuire. E sullo sfondo c’è anche la preoccupazione nel caso di un riscadenzamento del debito italiano.

La performance di Beppe Grillo e la risalita di Silvio Berlusconi hanno avuto un effetto dirompente per gli operatori finanziari. Da Paese ormai lontano dall’epicentro della crisi, l’Italia è tornata a essere una delle maggiori preoccupazioni per gli investitori. Nonostante il prezzo dei Cds sull’Italia non sia stato eccessivamente volatile come in passato, è cresciuto in modo sensibile il numero di operatori che vogliono proteggersi dal rischio.

Come riporta la Dttc, al 3 marzo i contratti aperti sono saliti a quota 14.089, per un valore nozionale netto di 20,465 miliardi di dollari e un valore nozionale lordo (ovvero la somma delle controparti, seller e buyer) di 411,648 miliardi. Mai si era raggiunto un livello del genere. In realtà già una settimana prima delle elezioni, per la precisione al 22 febbraio scorso, il valore nozionale lordo dei Cds attivi era di 408,343 miliardi di dollari, con un nozionale netto di 21,065 miliardi e 13.910 contratti attivi.

La maggior parte degli investitori aveva quindi capito l’aria e deciso che posizione prendere. In una sola parola: protezione. Infatti è ancora più pesante il confronto con le posizioni aperte un mese fa. Al primo febbraio c’erano 13.556 contratti attivi, per un nozionale lordo di 406,580 miliardi di dollari e un netto di 21,273 miliardi. La richiesta di Cds sull’Italia è però andata in crescendo nell’ultimo anno. Lo si evince dalla quota di un anno fa. Secondo i dati della Dtcc a quel periodo c’erano infatti 9.771 contratti, per un controvalore nozionale lordo di 320,435 miliardi di dollari e un nozionale netto di 22,734 miliardi. Per fare un paragone con quello che era l’Italia prima della sua crisi sui mercati obbligazionari, iniziata nella primavera di due anni fa, basta guardare come erano posizionati gli investitori nel marzo 2010. C’erano circa 5.600 contratti attivi a protezione del debito pubblico italiano, per un valore nozionale lordo di circa 240 miliardi di dollari.

Il motivo di questa tendenza è meno scontato di ciò che può sembrare di primo acchito. La crisi dell’eurozona vale per buona parte, come anche le recenti elezioni. Tuttavia, come spiega HSBC, gli operatori stanno comprando Cds sull’Italia perché fra le opzioni in campo, in caso di crisi prolungata, c’è anche un’eventuale ristrutturazione del debito pubblico italiano. O meglio, un riscadenzamento. Del resto, come oggi ha ricordato Maria Cannata, direttore generale del Debito pubblico del Tesoro, l’obiettivo è quello di allungare le scadenze di rimborso dei bond italiani.

Quello che è certo è che la percezione degli investitori sull’Italia si è deteriorata ancora di più dopo le elezioni. Come spiega un’altra nota, questa volta di Bank of New York Mellon, nel marzo 2011 la percentuale di operatori che riteneva possibile una ristrutturazione del debito italiano in un arco temporale di cinque anni era del 22 per cento. Lo scorso venerdì la quota era salita al 46 per cento. Un record.

I Cds sull’Italia sono destinati ad aumentare. Come spiega a Linkiesta un trader di Société Générale, «il rischio Italia è tornato a farsi sentire sui mercati finanziari ed è chiaro che, tanto nel breve quanto nel medio termine, gli operatori decideranno di comprare protezione sul debito italiano». Il motivo è semplice. L’appeal dei bond italiani sul mercato obbligazionario non è dato in calo, grazie soprattutto alla Banca centrale europea (Bce) e alla nascita delle Outright monetary transaction (Omt), il nuovo programma di acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario. Gli investitori comprano ancora i bond italiani perché ritengono credibile la sorveglianza di Mario Draghi. Nel frattempo, tuttavia, si proteggono dal rischio insolvenza. Non esattamente il quadro migliore per l’Italia. 

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