La moglie Maria Paola l’ha raccontato fino all’ultimo preso dal suo lavoro: a 95 anni nessuna fatica nell’inseguire la sua musica, la vita, lungo il pianoforte. Armando Trovajoli lavorava alla versione teatrale della “Tosca” riscritta per la scena da Luigi Magni. Un segno non casuale del destino: ha lasciato il mondo sulle note di quella che era stata la sua realizzazione non più celebre, ma probabilmente più bella.
Sì perché Magni e Trovajoli già nel 1973 produssero una straordinaria gemma del cinema musicale misurandosi con un monumento planetario della lirica: addirittura il dramma romano-papalino di Giacomo Puccini (tratto dal testo del francese Victor Sardou, ripassato per la penna del gran duo Giacosa-Illica), dedicato all’amore sbagliato e sovversivo della bella cantante Tosca per il pittore Cavaradossi, protettore di patrioti anti-vaticani. Magni e Trovajoli virarono il melodramma verso la commedia, recuperando il suono sardonico e cinico della romanità ottocentesca, quello d’una comunità ferma e violenta, ancora per poco incolume all’onda rivoluzionaria del secolo che l’avrebbe vista soccombere all’Italia unita.
Con un cast contraddistinto più dall’attorialità che dalla vocalità, ma carismatico per via naturale (Monica Vitti, Gigi Proietti, Vittorio Gassman, Aldo Fabrizi, Umberto Orsini), il film è un inesausto inno a Roma, città sorpresa nei suoi meravigliosi scorci (quanta splendida fatica per non intercettare nelle riprese la sopravvenuta invadente modernità delle antenne, delle insegne…), città affilata nella sua lingua aspra e colorata, città eterna nei suoi istinti imperiali e meschini insieme. E senza dubbio di questo magnifico canto all’Urbe gran merito è proprio di Trovajoli, che regala invenzioni a ripetizione, incantando sul suicidio dell’eroina, per un finale che è certamente tra i più belli – ne siamo convinti – del cinema italiano.
Ma dopotutto Roma, la sua Roma per lui (un non credente all’ombra del Cupolone) costituiva un ambiente privilegiato di creatività, viscerale, emotivo. Proprio alla splendida e sottovalutata tradizione musicale popolare della capitale, Trovajoli ricorse per la sua scrittura più famosa: la partitura del “Rugantino”. Riprese motivi ottocenteschi, sapientemente rielaborati e amalgamati con le sue personali creazioni: ne uscì un successo mondiale, con la hit “Roma, nun fa’ la stupida stasera”. Ma per la coppia Garinei&Giovannini, anima di quella magnifica officina teatrale che fu il Teatro Sistina, scrisse anche “Ciao Rudy”, dove Rudy era Rodolfo Valentino nei panni fatali di Marcello Mastroianni, e “Aggiungi un posto a tavola”, altro successo memorabile e di continuo ripreso.
Davvero strabiliante la capacità di Trovajoli d’intercettare sempre, ogni volta il suono del tempo, del suo tempo per le musiche che doveva comporre. Una carriera incredibile, gonfia di lavoro e di riconoscimenti, giocata tra il cinema (“La ciociara”, “Una giornata particolare”, “I mostri”, “C’eravamo tanto amati”, “Profumo di donna”, alcuni – fra i trecento – dei film più celebri che musicò), il palcoscenico, la televisione.
Da giovane cominciò con un altro grande maestro delle colonne sonore, Piero Piccioni. Condividevano l’amore per il jazz (Trovajoli suonò con leggende come Duke Ellington, Louis Armstrong, Miles Davis), e una passione per le dive italiane tentate da Hollywood: Piccioni s’innamorò di Alida Valli negli anni della Dolce Vita e dello scandalo Montesi (lui, figlio del potente ministro Dc Attilio, fu incredibilmente coinvolto nel caso dell’assassinio di Wilma Montesi, e scagionato proprio da lei, Trovajoli invece perse la testa per Anna Maria Pierangeli, partner sul set di Paul Newman in “Lassù qualcuno mi ama” e nella vita niente meno che di James Dean. La sposò, ebbero un figlio, poi il divorzio. Lei finì male, nemmeno quarantenne, un paio di estati dopo, nel gorgo della depressione a Beverly Hills.
A quasi un secolo da quel settembre 1917, che lo vide nascere, s’è chiusa anche la vita del maestro Trovajoli. Il decesso è avvenuto qualche giorno fa, ma la moglie soltanto oggi ne ha dato notizia, con poche belle parole: «Ho rispettato fino all’ultimo le volontà di un uomo schivo, che non amava presenzialismi, né applausi». Il maestro non c’è più. Ma la sua musica no, non è finita.