Il tornioUn Papa pastore capace di parlare al mondo

La Chiesa davanti alla globalizzazione

Nel segreto della Sistina i grandi elettori della Chiesa cattolica cercano un Papa che sappia parlare al mondo contemporaneo. Apparente contraddizione per un’istituzione governata dai tempi lunghi dello Spirito, che fatica a confrontarsi con il cronometro attuale delle coscienze e stenta a prendere le misure spazio-temporali alla nuova situazione globale. Il mondo cambia, anche la Chiesa cambia, ma le sue forme di espressione si evolvono tradizionalmente come esito di un lento e graduale rinnovamento ecclesiale all’interno della tensione fra carisma e istituzione.

Poi, all’improvviso, si registrano grandi «svolte epocali» che dimostrano la ricerca di una nuova dimensione della Chiesa nel tempo, come è avvenuto con la rinuncia di Benedetto XVI al Soglio pontificio. È stata, quella dell’11 febbraio, la scelta umile di un uomo infermo che ha mostrato al mondo un volto nuovo del «Papa teologo», inducendo molti, dentro e fuori la Chiesa, a modificare il proprio giudizio sull’uomo e sul suo pontificato. La Chiesa e il papato non saranno più gli stessi dopo questa decisione. Con essa, Joseph Ratzinger ha portato alle estreme conseguenze una delle idee che hanno permeato la sua azione come successore di Pietro, secondo la quale nelle sue strutture umane la Chiesa è semper reformanda, una concezione dominante nelle ecclesiologie postconciliari che in questi otto anni si è infranta contro le resistenze della macchina romana. La sua decisione, questo gesto estremo verso una riforma che non è riuscito a portare a compimento durante il suo ministero, costituisce indubbiamente un fattore di svolta destinato a pesare nella scelta del successore. 

Il credente darà una lettura spirituale agli avvenimenti di questi giorni, rischiarando le ombre con la propria esperienza di fede e mettendo in risalto quella forza misteriosa sulla quale poggia la Chiesa di Cristo, nella quale, come ricordava Madeleine Delbrêl, una delle personalità spirituali più significative del XX secolo, non si ha la vocazione di giusti, ma di peccatori perdonati. Il non credente valuterà invece schieramenti e candidati in un’ottica terrena, più propriamente politica, giudicando inadeguata e riduttiva un’interpretazione fondata unicamente sul «fattore divino» dei meccanismi d’elezione del successore di Pietro. Molti, credenti o no, attenderanno comunque l’annuncio del nuovo Papa con curiosità e interesse, come espressione di una storia millenaria, di una tradizione di fede, di un’autorità morale nel mondo contemporaneo. 

A differenza di quello del 2005, ci troviamo ora di fronte a un Conclave lento, un Conclave che dura dall’11 febbraio, giorno in cui Benedetto XVI ha annunciato a sorpresa la propria volontà di lasciare il ministero petrino. È mancato, per la prima volta da secoli, lo spazio dedicato al funerale del Papa e l’ondata emotiva a esso legata, come avvenne nell’aprile di otto anni fa, quando in pochi giorni arrivarono a Roma tre milioni di pellegrini. In queste settimane trascorse tra l’annuncio della rinuncia e l’inizio della sede vacante, i cardinali hanno avuto il tempo per riflettere in positivo sui temi fondamentali per la Chiesa contemporanea, non solo su quelli imposti dall’opinione pubblica mondiale, come gli scandali legati ad abusi sessuali, le divisioni interne alla Curia romana, la necessaria riforma delle finanze vaticane, a partire dallo Ior, ma anche su temi cari all’ecumene cattolica, come le nuove frontiere dell’evangelizzazione, lo slancio missionario in Africa, in Asia e in America Latina, la situazione della Chiesa cattolica in Cina, la necessità di un nuovo radicamento del cattolicesimo nel cuore d’Europa, il dialogo interconfessionale, le sfide imposte dalla globalizzazione, il ruolo delle donne nella gerarchia e nel mondo cattolico. 

Il Conclave del 2013 diventa dunque uno snodo cruciale nell’autoconsapevolezza di una cattolicità divenuta sempre più concretamente multiforme. È evidente che la Chiesa, al di là di fratture sotterranee e divisioni interne, è sottoposta a enormi tensioni dall’esterno che ne minacciano in un certo senso la natura stessa e rivendica con forza il mantenimento di un certo equilibrio fra continuità e discontinuità nel permanere di un tempo che scandisce i suoi ritmi. Le contestazioni di queste ultime settimane, i tentativi di sottomettere la Chiesa al giudizio di un’opinione pubblica sulla base di valutazioni esterne alla sua natura, possono essere viste come la continuazione delle critiche al carattere illiberale della Chiesa che fin dagli anni del Concilio Vaticano II provengono anche dal suo interno, soprattutto nei paesi anglosassoni e dell’area tedesca. 

I fedeli si attendono quindi un Papa pastore, che mostri il coraggio di illuminare i lati oscuri della Chiesa e che sia capace di parlare al mondo annunciando in modo positivo il messaggio evangelico. Ma l’esigenza di un cambio di passo è presente anche nei discorsi di molti rappresentanti del Collegio cardinalizio. Che serva un Papa in grado di rimuovere gli ostacoli che hanno frenato le iniziative del pontificato ratzingeriano lo pensano in tanti, fra i cardinali elettori. Interventi in questo senso, in favore di una profonda riforma della Curia romana e di una maggiore collegialità nei rapporti con gli episcopati nazionali, sono arrivati durante le Congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave non solo dal tedesco Walter Kasper e dall’austriaco Christoph Schönborn, ma anche da altri porporati giunti a Roma in vista dell’elezione. Il prossimo Papa dovrebbe dunque avere le qualità del riformatore e i tratti carismatici del pastore d’anime, capace di esprimere il volto di una Chiesa comunicativa e di rilanciare lo spirito conciliare di una «vera riforma della Chiesa», espresso da Henri-Marie De Lubac, Jean Danielou, Yves Congar in quella Nouvelle théologie che acquista ora, dopo la rinuncia di Papa Ratzinger, nuovo significato.

In quest’ottica, diventano secondari i criteri tradizionali per sondare proposte e candidature in campo: l’antinomia fra «progressisti» e «conservatori», che ha permeato il dibattito vaticano dai tempi di Giovanni XXIII, non riveste più un ruolo centrale, così come marginale diventa l’appartenenza nazionale o la provenienza geografica. Nella geopolitica vaticana, altri sono gli elementi destinati a pesare nel Conclave, non la suddivisione dei 115 grandi elettori fra i 59 europei (di cui 28 italiani), i 19 latinoamericani, i 14 nordamericani, i 12 africani, i 10 asiatici e 1 australiano. Come ha osservato nei giorni scorsi il cardinale honduregno Óscar Rodríguez Maradiaga, da molti indicato nel 2005 come il possibile successore di Giovanni Paolo II, la decisione del prossimo Conclave «non dipende tanto se è un europeo o no, dipende dalle grandi sfide che oggi dovrà affrontare il nuovo Papa. Più che una nazionalità, dobbiamo pensare alla persona più adatta per rispondere a queste sfide». 

Si chiede quindi al nuovo Papa una carica dinamica che passa anche, ma non solo, attraverso una profonda riforma che metta la Chiesa in relazione con il movimento della storia. Ma che sia capace al tempo stesso di dare piena attuazione al grande «salto evolutivo e rivoluzionario» compiuto da Benedetto XVI con la sua rinuncia al pontificato e di rilanciare la missione religiosa della Chiesa nel mondo contemporaneo. Un Papa la cui fede trasparente e carismatica inviti altri a conoscere il messaggio evangelico, capace di identificare attorno a sé abili collaboratori che trasformino la macchina amministrativa centrale della Chiesa in uno strumento di nuova evangelizzazione.

Nei giorni che hanno preceduto questo Conclave, la Chiesa ha molto dibattuto sulle cause interne della sua crisi, interrogandosi su diagnosi e terapie a volte contrapposte. Lo hanno fatto anche i porporati chiamati a eleggere il nuovo Papa nel segreto della Cappella Sistina, sotto quegli affreschi michelangioleschi nel tempo testimoni del soffio dello Spirito e ispiratori di grandi scelte o abili compromessi. Da questa tensione fra passato e presente ecclesiale uscirà il successore di Benedetto XVI, chiamato ad aprire la porta a un coinvolgimento critico della Chiesa nella modernità. Nonostante tutte le contraddizioni, le mancanze e i limiti inevitabili in ogni realtà umana.

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