Quella che è appena cominciata è una settimana decisiva per le sorti della legislatura: Pier Luigi Bersani conclude le sue consultazioni e giovedì tornerà al Quirinale per riferire a Giorgio Napolitano. Avrà i “numeri certi” per comporre una maggioranza e dare vita a un governo, come gli ha chiesto il capo dello stato la settimana scorsa? Difficile. Il segretario del Pd ha ormai di fatto archiviato l’ipotesi di un governo che si regge in Parlamento con i voti di Beppe Grillo. Al di là delle dichiarazioni ufficiali a questa ipotesi non crede più nessuno nemmeno all’interno del Pd. Così l’orizzonte si è ormai ristretto a due scenari: il primo inclina rapidamente verso le elezioni anticipate, a giugno o a ottobre. La seconda rimanda invece alle trattative che si sono aperte con il Pdl di Silvio Berlusconi, negoziati complicatissimi che riguardano l’elezione del prossimo presidente della Repubblica e l’eventuale composizione del futuro governo guidato da Bersani.
Il Pdl non ha l’ambizione di entrare nel nuovo governo (Alfano vicepremier è poco più di una boutade) e sa d’altra parte benissimo che questa eventualità è esclusa anche dalle meccaniche interne al partito avversario. Nel Pd solo l’ala guidata da Matteo Renzi sarebbe d’accordo a un governo di larghe intese che includa esponenti del centrodestra. Il resto del partito, che si è riunito stasera nella direzione nazionale, persegue la strada di un governo tutto di centrosinistra con – semmai – una sorta di appoggio tecnico o esterno dei partiti di centrodestra (Pdl e Lega). Berlusconi è teoricamente d’accordo con questa ipotesi, d’altra parte il Cavaliere non vuole essere escluso dal meccanismo di elezione del nuovo Capo dello stato, ma chiede anche di più: vuole da Bersani garanzie sulla formazione del prossimo governo. Oggi Berlusconi ha lanciato la boutade di Angelino Alfano vice premier di Bersani, ma è evidentemente una mossa tattica per alzare il prezzo del negoziato.
Il Cavaliere sa che l’ingresso di suoi uomini nel governo è praticamente esclusa (provocherebbe l’esplosione del Pd), ma vuole essere rassicurato su due punti: chi sarà il ministro della Giustizia? E chi sarà il ministro delle Comunicazioni? L’ex premier e padrone di Mediaset vuole evitare che in questi due dicasteri per lui così importanti siedano dei nemici capaci di assecondare una logica giustizialista e punitiva nei suoi confronti. Se da oggi a giovedì prossimo questi negoziati dovessero fallire – cosa non improbabile – Bersani restituirà il suo mandato nelle mani del Quirinale e si aprirà a quel punto tutta una partita diversa.
Di fronte all’impossibilità di mettere insieme Pdl e Pd, anche solo uniti in un accordo di desistenza (o di fiducia tecnica) Napolitano potrebbe arrendersi e prendere atto della propria debolezza. Insomma il presidente potrebbe anche convincersi che il compito di risolvere la pericolosa impasse istituzionale non può che spettare al suo inevitabilmente più forte successore. Il nuovo presidente avrebbe infatti tra le sue prerogative, a differenza di Napolitano che si trova nel cosiddetto “semestre bianco”, anche l’arma di minacciare lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate.