Emoticon, i tanti padri incerti del simbolo :)

La diatriba sull’inventore

Le emoticon dell’ex ministro Brunetta, che dovevano valutare il gradimento dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione, sono un ricordo. Anche il premier Mario Monti sperimentò le faccine. Sbarcò su Twitter sorridendo con i due punti e la parentesi tonda chiusa. L’effetto non fu dirompente e nascondeva, probabilmente, lo stesso imbarazzo provato in studio da Daria Bignardi, quando la conduttrice gli mise in braccio un cagnolino.

Vittime del giovanilismo o di una scarsa dimestichezza con i linguaggi più moderni? Così non è, o non solo. I motivi sono forse più reconditi, perché la grammatica delle emozioni (sorriso, broncio, ghigno) rappresentata da punti, tratti e parentesi, ha radici antiche, per quanto leggendarie. Sembra che per la prima volta compaia nella trascrizione di un discorso tenuto, non da un ragazzino impertinente, ma da un importante statista, nel 1862: il presidente americano Abraham Lincoln. Il testo fu pubblicato sul New York Times:

Il segno grafico 😉 (l’occhiolino nelle future emoticon) è stato scoperto dal team di ricercatori della società ProQuest, impegnata nella digitalizzazione delle pagine del quotidiano. Appare subito dopo la parola laughter (risata). Si tratta di un refuso o di uno scherzo del tipografo oppure di un primitivo emoticon? Gli storici non sono concordi. Gli scettici, in maggioranza, propendono per un errore di battitura o per un rafforzativo grammaticale caratteristico dell’Ottocento. Altri come Vincent Golden dell’American Antiquarian Society, però, fanno notare che prima dell’avvento della Linotype (1881) si assemblava carattere per carattere e l’aggiunta accidentale di altri segni o spazi era piuttosto difficile.

Il dubbio rimane ma prima che il linguaggio delle emoticon venga codificato ufficialmente e infarcisca forum, sms, chat o email, passeranno oltre cent’anni. La storia delle faccine colorate è lastricata di padri non certi, interrogativi e presagi, per nulla esoterici. Se almeno così non si considera il Futurismo, che in uno dei manifesti di Filippo Tommaso Marinetti, Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica (1914), pare evocare proprio le emoticon: «L’ortografia e la tipografia libere espressive servono inoltre ad esprimere la mimica facciale e la gesticolazione del narratore». Un precursore è stato anche lo scrittore Luigi Pirandello che, in Uno, nessuno e centomila (iniziato nel 1909 ma uscito nel 1925), utilizzò segni grafici per descrivere un’espressione del volto, inventando un’emoticon che avrebbe avuto grande successo nell’era di Internet: «Le mie sopracciglia parevano sugli occhi due accenti circonflessi, ^ ^, le mie orecchie erano attaccate male, una più sporgente dell’altra; e altri difetti». Nel 1912 un giornalista americano, Ambrose Bierce, propose, invece, la sequenza __/ come simbolo di una bocca sorridente.

Il prototipo stilizzato arrivò nel 1963 quando al disegnatore Harvey Ball di Worcester, nel Massachusetts, venne chiesto di risollevare il morale dei lavoratori della compagnia di assicurazioni State Mutual Life Assurance Company, acquistata poco prima dalla Guarantee Mutual Company of Ohio. Disegnò un cerchio, un viso, e lo colorò di giallo, due puntini per gli occhi e una linea curva delimitata da due stanghette a far da sorriso. Ecco, lo Smiley! Doveva essere stampato su spille, blocchetti per appunti, poster e manifesti. Ball fu pagato 45 dollari (circa 32 sterline), non chieste mai la registrazione del marchio né i diritti d’autore.

Il brand ebbe un enorme successo, non solo tra gli impiegati; nel 1971, picco della popolarità dello smiley, furono vendute 50 milioni di spille. Ed era pronto a conquistare l’immaginario popular. Nella finzione cinematografica di Forrest Gump (1994) lo smiley viene inventato casualmente dal protagonista, quando Tom Hanks si asciuga la faccia infangata con una T-shirt gialla.

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In un altro film dello stesso regista, Robert Zemeckis, Ritorno al futuro – parte II, si possono vedere nel 2015 alcuni smiley nella vetrina del negozio di antiquariato, dove il protagonista Marty McFly acquista un almanacco sportivo. I Nirvana di Kurt Cobain “ubriacheranno” uno smiley per farne il loro logo. Pure nei videogiochi, Pac-man è considerato uno smiley di profilo.

Prima della traduzione informatica e della vera nascita delle emoticon, tocca ancora una volta alla letteratura evocarle. «Molte volte penso che dovrebbe esistere uno speciale segno tipografico per indicare un sorriso, una specie di lineetta concava, una parentesi tonda supina, che ora mi piacerebbe tracciare in risposta alla sua domanda» disse Vladimir Nabokov, autore di Lolita, in un’intervista pubblicata sul New York Times il 19 aprile 1969.

Ma focalizziamoci sul triennio decisivo. Il 12 aprile 1979, 34 anni fa, un utente Arpanet, Kevin MacKenzie, suggerì agli iscritti a MsgGroup (una delle prime Bbs, Bulletin board system, una rete telematica di “base” costituita da tanti “nodi” collegati tra loro) di introdurre qualche elemento emotivo nei freddi testi dei messaggi; consigliava, per esempio, di utilizzare un trattino seguito da una parentesi chiusa tipo questo “-)”, indicando una linguaccia. Non ebbe successo per quanto l’intuizione contenesse enormi potenzialità. Prevarrà la forma ispirata allo smiley di Harvey Ball. Tre anni dopo, quella estemporanea consuetudine diventa, infatti, struttura e a breve si chiamerà emoticon, crasi delle parole inglesi “emotional” e “icon”.

Alle 11 e 44 minuti della mattina del 19 settembre 1982, un giovane informatico americano della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Scott E. Fahlman, inviò un messaggio in una bacheca elettronica dell’università. Il tono era informale ma l’obiettivo preciso: riuscire con un semplice segno grafico a distinguere e definire il tono dei messaggi, evitando le interminabili diatribe che si scatenavano tra i ricercatori a causa di fraintendimenti. «Propongo i seguenti caratteri :- ) per indicare le burle e questi 🙁 per contrassegnare gli argomenti seri». Il sistema dopo un primo impasse si consolidò in ambito accademico e con la successiva diffusione di internet si espanse a dismisura tra gli utenti del web, che rielaborarono creativamente i concetti di Fahlman. Il testo del suo messaggio, diventato storico, è stato ritrovato solo nel 2002 da un team di informatici pronti a convalidare il primato, ancora in discussione, dello studioso americano.

Trentuno anni dopo, le faccine sono diventate infinite: 8-), :$ @_@ *_* <3 :’-(. Ibrido tra segno grafico e icona, anima emotiva e non verbale di Internet, amate o odiate, sopravvivono agli scossoni digitali. Facebook starebbe testando negli Usa la possibilità di aggiungerne una vasta gamma nell’aggiornamento di status. Chissà cosa ne penserebbero della scelta i tanti padri, letterari o meno, delle emoticon…

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