Non vede l’ora di incontrare Pier Luigi Bersani, sta cercando di anticipare i tempi: forse già all’inizio della prossima settimana i due saranno seduti l’uno di fronte all’altro. Silvio Berlusconi adesso si frega le mani impaziente, gli ultimi eventi lo confortano e le contorsioni interne del Partito democratico gli hanno improvvisamente spalancato un nuovo e inatteso orizzonte. Eccolo: “No di Renzi al governo Bersani”. Il titolo politico che campeggia gigante sulla prima pagina dell’Unità di oggi è lo specchio dell’umore del segretario del Pd e di tutto il gruppo dirigente a lui più vicino.
Matteo Renzi non solo li spaventa, ma li irrita. L’avanzata per linee interne del sindaco di Firenze, che gli ex diessini considerano poco più che un corpo estraneo, può essere fermata o forse rallentata solo in due modi: con elezioni anticipate a giugno o con un governo che duri almeno due o tre anni. Due scenari che Bersani e il gruppo dei cosiddetti “giovani turchi”, i dirigenti laburisti, i ragazzi solidamente socialdemocratici alla Stefano Fassina, sanno di poter conquistare soltanto attraverso il tortuoso e per loro faticosissimo tunnel della trattativa con il Caimano. Così nel volto battagliero di Matteo Renzi e nelle tensioni del Pd, diviso e attraversato da un profondo tramestio, il Cavaliere intravvede la propria fortuna, una via d’uscita dal lugubre isolamento nel quale si sentiva ormai precipitato: mai come adesso i suoi interessi politici, le sue mire e le sue ambizioni coincidono – pensa lui – con quelle di un Bersani spaventato e incattivito dall’arrembante e più giovane avversario fiorentino. «Entrambi siamo interessati al voto». Chissà. Un po’ vero, un po’ no. Di sicuro, tuttavia, ad Arcore, nella villa che Berlusconi non abbandona da due settimane, non si parla più con convinzione di larghe intese o di un governissimo: sono formule consegnate soprattutto alla retorica televisiva, alla campagna elettorale, alla tattica con la quale Berlusconi istruisce Renato Brunetta e Daniela Santanché.
La verità è che al Cavaliere interessa la partita che conduce al Palazzo del Quirinale ed è disposto a molto, moltissimo, pur di chiuderla con soddisfazione. Non cerca nemmeno di spingere per un suo uomo al Colle, d’altra parte in cuor suo sa di non avere dei veri candidati e malgrado il suo desiderio inconfessabile sia quello di sedere lui stesso sul trono della presidenza della Repubblica, il Cavaliere immaginifico sa anche distinguere il sogno della realtà. E dunque cerca un nome di compromesso, ma un uomo di sinistra: Violante, D’Alema, Marini… Vanno tutti bene. Ma una volta cessata la battaglia per il Quirinale, tutto il resto lo interessa molto meno. Di governare con Bersani, specie tra i marosi della crisi economica e in un contesto così difficile, comprensibilmente non ha troppa voglia: chiuso dunque il risiko sulla presidenza della Repubblica, Berlusconi preferirebbe le elezioni anticipate convinto com’è di poterle persino vincere (malgrado la sua sondaggista preferita, Alessandra Ghisleri, oggi gli abbia consegnato un report che conferma quanto il Senato resti in bilico, anche in caso di nuove elezioni). E ora, forse, anche Bersani, preoccupato da Renzi, insegue più di prima il miraggio del voto, magari a giugno: d’altra parte nei suoi recenti colloqui anche Giorgio Napolitano ha fatto capire che si può benissimo riuscire a votare per giugno.
Dal 18 aprile comincia il meccanismo di elezione del capo dello stato, con un accordo in tasca, siglato sia dal Pd sia dal Pdl, l’elezione del nuovo presidente della Repubblica si chiude anche in un solo giorno. Se poi Bersani, una volta eletto il nuovo presidente, vorrà fare un suo governo, non sarà Berlusconi a impedirglielo. Rimangono tuttavia dei comprensibili dubbi sulle garanzie che il solitamente poco affidabile Berlusconi potrebbe offrire a Bersani: cosa garantisce che una volta chiuso il patto sul Quirinale poi il Cavaliere non tradisca la parola data su tutto il resto? Niente, almeno per ora. Dunque è per questo che Bersani e Berlusconi devono incontrarsi, forse già questo lunedì. «Con il Pdl mai», aveva detto Bersani. Qualcosa è evidentemente cambiato. E’ la forza della paura, il potere di Renzi sul Pd.