Napolitano compra tempo, poi nudi davanti allo spread

La bussola politica

Stamattina alle 11 si riuniranno per la prima volta al Quirinale i saggi nominati da Giorgio Napolitano, mossa un po’ pasticciata cui il presidente della Repubblica è stato costretto dalla caparbietà cupa, al limite dell’autolesionismo, di un Pier Luigi Bersani secondo il quale dare un governo di coalizione al paese non sarebbe accettato dalla sinistra e dal suo mondo di riferimento. Veti, miopie, tragiche furberie cui non è estraneo nemmeno Silvio Berlusconi. La tregua del presidente è dunque fragilissima e i prossimi giorni sono decisivi.

La settimana che si apre sarà determinata fin da subito, a partire da questa mattina, dall’andamento dello spread, il differenziale che circa due anni fa aveva già dettato i tempi rapidi della crisi berlusconiana e della formazione del nuovo governo tecnico guidato da Mario Monti. Solo lo spread può drammatizzare il quadro politico. La grande domanda è: la borsa come aprirà? E lo spread che farà, schizzerà in alto spinto dalla forza propulsiva dell’instabilità politica italiana o si terrà ancora sulla soglia placida dei 300 punti? Se lo spread salirà oltre il limite di guardia allora il comitato dei saggi voluto da Napolitano dovrà fare in fretta e fare sul serio trasformandosi davvero nell’anticamera di un governo di larghe intese Pd-Pdl. Non ci sarebbe alternativa. La logica dell’urgenza, si sa, è il principale motore della inane politica italiana. Se al contrario lo spread non dovesse fare paura, la situazione rimarrà invece sospesa in una lunga decantazione, assumerebbe dei tratti difficili da decifrare, sempre in bilico tra l’ipotesi di un governissimo e la mera attesa che invece venga eletto il prossimo capo dello stato (a maggio). Ma per quanto tempo potrà reggere la confusione di sistema?

Intanto i partiti si stanno predisponendo per prefigurare il peggio. Sia il Pd sia il Pdl non sono contenti delle decisioni di Napolitano, della nomina dei due gruppi di lavoro e di come il presidente ha gestito le ultime e confuse consultazioni pretese da Bersani: non si fidano del Quirinale, non sanno bene come interpretarne le mosse, ma soprattutto i due partiti non si fidano l’uno dell’altro, coltivano orizzonti diversi e ancora inconciliabili. Dunque il quadro politico è sfilacciatissimo e presenta pericolosi tratti di irrazionalità e Giorgio Napolitano è il primo a sapere che quello dei saggi è un marchingegno fragile. Silvio Berlusconi teme che l’operazione di Napolitano serva a prendere (perdere) tempo, che serva insomma soltanto a evitare le elezioni anticipate e che sia propedeutica all’elezione di un nuovo capo dello stato spinto fino al Quirinale con i soli voti della sinistra e del gruppo che fa riferimento a Mario Monti. I numeri di Pd e Scelta Civica sarebbero sufficienti ad eleggere un nuovo presidente, e il candidato preferito del centrosinistra – ammesso che Monti lo voglia sul serio – è anche quello più temuto ad Arcore: Romano Prodi. Berlusconi punta al governissimo, o in alternativa alle elezioni anticipate, al più presto possibile, meglio se prima di un autunno che il Cavaliere prevede “caldissimo” per le sue vicende giudiziarie.

Il partito democratico (ancora guidato dall’ammaccato Bersani?) teme invece l’esatto contrario: la nomenclatura del Pd ha paura che l’operazione di Napolitano abbia un decorso molto rapido e che finito il lavoro dei saggi, il capo dello stato dia entro una settimana a Matteo Renzi l’incarico di formare un nuovo esecutivo di larghe intese aperto ovviamente al Pdl e a Berlusconi. Ipotesi questa che spaccherebbe il Pd condannando all’eclissi la vecchia nomenclatura che fino a ieri aveva sostenuto in maniera più o meno compatta la segreteria di Bersani.

Retropensieri irrazionali, probabilmente infondati, sia quelli coltivati nel Pdl a trazione carismatico-berlusconiana sia quelli che agitano un Pd sempre più stordito e vittima della sua stessa retorica. Entrambi i partiti, con le loro paure e le loro contorsioni interne, svelano agli occhi degli osservatori esterni un groviglio troppo fitto e intorcinato per potersi sciogliere senza traumi. Il capo dello stato non è portatore di soluzioni salvifiche totali e non è uomo che forza il sistema, insomma non assomiglia al profilo oscuro e indecifrabile che anima le paure di Pd e Pdl: Napolitano ha semplicemente cercato una tregua, ha tentato di acquistare un po’ di tempo sul mercato del possibile politico confidando che la discussione sul nuovo capo dello stato possa generare l’intesa non maturata sul piano del governo. Il presidente non si dimette, non incentiva gli attacchi speculativi sul mercato del debito pubblico, non sfascia partiti e non favorisce logiche ritorsive, ma sa pure che un governo oggi non si può fare, continua a non esserci una maggioranza, e lui – privato anche del potere di sciogliere le camere – non ha strumenti per imporsi sullo stallo.

Dunque il presidente della Repubblica ha solo, per il momento, aggirato l’ostacolo. Tocca ai partiti approfittare del tempo conquistato dal Quirinale per far precipitare un sedimento di razionalità sul fondale agitato della politica e di un paese povero e matto. Poi c’è solo lo spread alle stelle, la fredda logica emergenziale, l’allarme economico, il default, le tasse, il commssariamento e l’umiliazione dei prestiti internazionali. La tragedia come motore immobile della storia italiana. 

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