«Sono un centro dell’NBA di 34 anni. Sono nero. E sono gay». Sono le parole scelte da Jason Collins per aprire la sua lettera a “Sports Illustrated”, il più prestigioso foglio americano sullo sport. Collins è il primo professionista in attività di una lega statunitense a dichiararsi omosessuale. In un Paese il cui presidente coloured (e appassionato di basket) sta lottando per far affermare i diritti dei gay. Barack Obama non ha perso tempo e ha telefonato a Collins per complimentarsi del suo coraggio.
La prima a saperlo è stata la zia Teri, giudice a San Francisco. Il nipote si è confidato con lei durante il lockout del 2011 in cui la Nba si fermò. «Sono un tipo abitudinario, uno che appena finisce la regular season si mette a lavorare per essere al meglio all’opening night di quella successiva. Ma il lockout mi ha costretto a sconvolgere le mie abitudini e a confrontarmi con quello che sono realmente». Quello di Collins è stato un vero e proprio percorso dentro sè. «Il viaggio alla scoperta di me stesso è cominciato a Los Angeles, dove sono nato, mi ha portato attraverso due titoli statali a livello scolastico, le Final Four e le Elite Eight nella Ncaa, 9 apparizioni ai playoff in 12 stagioni Nba». Il contratto con Washington, la squadra con la quale ha giocato fino alls corsa stagione, è scaduto. Bravo giocatore Collins, non bravissimo: al massimo, 20 punti in partita nel 2005. «Amo ancora questo sport e ho qualcosa da offrire. Anche i miei allenatori e i miei compagni dicono che è così. Allo stesso tempo, voglio essere trasparente, autentico e sincero». Su Twitter è scattata la corsa ai complimenti. Tra i cinguettii, c’è anche quello di John Amaechi, che fece coming out nel 2007, a carriera finita: «Bravo Jason! Lo sport non potrebbe avere un esempio migliore». E poi c’è Michelle Obama: «Sono così orgogliosa di te, Jason Collins. Questo è un enorme passo in avanti per il nostro Paese».
Un Paese diviso tra chi si batte per il riconoscimento dei diritti dei gay e chi invece vuole preservare il Defense Marriage Act, firmato da Bill Clinton nel 1996, che non riconosce il matrimonio tra persone dello stesso sesso ed esclude le coppie gay da una marea di leggi e programmi di Stato. Amazon, Apple, Facebook, Twitter, Morgan Staney, Goldman Sachs e Starbucks sono in prima fila per convincere la Corte suprema a dichiarare incostituzionale il Marriage Act. Ad aprire gli occhi alle multinazionali sono stati gli effetti sull’economia. Nel solo 2011, ovvero nell’anno in cui sono state autorizzate, a New York le nozze gay hanno prodotto un giro d’affari di 259 milioni di dollari. Secondo i dati dell’amministrazione del sindaco Bloomberg, sono state più di 200 mila gli ospiti arrivati in città per assistere alle celebrazioni e più di 235 mila le notti prenotate in albergo ad una media di 275 dollari al giorno.
Gli altri sport a stelle e strisce, nel frattempo, attendono. Come la Nfl, la Lega del Football americano. L’esempio di Esera Tuaolo, che ha fatto coming out ma dopo essersi ritirato, resta al momento un caso isolato. E di come questo sport sia ancora impreparato, lo ha dimostrato alla vigilia dell’ultimo Super Bowl Chris Culliver. Il giocatore dei san Francisco 49ers, bravissimo sul campo, si è dimostrato un po’ più impacciato davanti ai microfoni quando si è trattato di dover rispondere sull’eventuale presenza di giocatori gay nello spogliatoio. Nella sua lettera, Collins ha inquadrato il problema: «Non volevo essere il bambino che alza la mano in classe dicendo: “Sono diverso”. Se fosse per me, qualcuno altro avrebbe già potuto farlo. Nessuno l’ha fatto, ed è per questo che sto alzando la mano».
«Sono un giocatore di calcio. Sono nero. E sono gay». Justin Fashanu, nel 1990, alzò la mano e divenne il primo giocatore di calcio professionista a dichiararsi gay. Per lui non ci furono complimenti pubblici. La comunità nera inglese lo ripudiò, il fratello John lo cancellò dalla propria vita. La carriera da calciatore subì un duro stop, tanto che Justin cambiò vari Paesi nella speranza di poter ricominciare. Arrivato negli Usa, nel 1998 un minorenne di nome Ashton Woods lo accusò di aver abusato di lui. Fashanu si dichiarò innocente e offrì da subito la massima collaborazione, tanto che gli inquirenti dopo l’interrogatorio lo rispedirono a casa. Quando tornarono il giorno dopo, per prelevare dei campioni di dna, trovarono l’appartamento vuoto. Justin si era dato alla fuga. Tornò in Inghilterra per cercare aiuto, ma fu ignorato. Il 3 maggio di quell’anno, Justin Fashanu si impiccò in un garage di Londra. Lasciò un biglietto: « Sperò che il Gesù che amo mi accolga: troverò la pace, infine».
Quello del calcio è un contesto in cui, secondo il presidente della Fifa Sepp Blatter, «Il razzismo non esiste». E dove anche gli omosessuali farebbero meglio a non esserci. L’ultimo caso-choc risale al marzo di quest’anno, quando la Federcalcio nigeriana ha vietato la convocazione nella Nazionale femminile alle giocatrici lesbiche. «L’omosessualità è da oggi ufficialmente proibita nel calcio nigeriano. Qualsiasi calciatrice che sarà ritenuta colpevole di tale attitudine o atteggiamento sarà estromessa dalla nazionale e da tutte le competizioni ufficiali», ha dichiarato due mesi fa Dilichukwu Onyedinma, presidentessa della Lega calcio femminile. Sir James Peters, tecnico della nazionale femminile, già due anni fa spiegò: «Quando sono stato chiamato a lavorare per la nazionale ho subito escluso dal giro alcune giocatrici, non perché non fossero brave ma perché erano lesbiche».
Da un ct all’altro: «Nel mondo del calcio e dello sport resiste ancora il tabù nei confronti dell’omosessualità, mentre ognuno deve vivere liberamente sé stesso, i propri desideri e i propri sentimenti. Dobbiamo tutti impegnarci per una cultura dello sport che rispetti l’individuo in ogni manifestazione della sua verità e della sua libertà». Così parlò alla vigilia degli Europei del 2012 Cesare Prandelli, commissario tecnico della nazionale maschile di calcio. Al ct non fecero seguito i giocatori. «Froci in nazionale? Sono problemi loro. Ma spero di no…Me la cavo così, sennò sai gli attacchi da tutte le parti» fu la risposta di Antonio Cassano. E Antonio DI Natale aggiunse che era meglio che i calciatori gay restassero nell’ombra.
«Il mondo del pallone rischia di esplodere per il connubio con la criminalità e quando arriverà lo scandalo dei calciatori gay. Prima o poi si ammetterà la presenza di giocatori omosessuali. Per ora si sta cercando di nasconderlo: troppo “machi” gli italiani per accettare l’idea che fra i giocatori di calcio possano esserci gay. Ma come si fa a credere che non ce ne siano?», spiegava Carlo Petrini, ex calciatore che ha denunciato lo scandalo del doping nel mondo del calcio. Non resta che aspettare che qualcun altro alzi la mano. Come Collins.