Giovani e lavoro, riforme costituzionali, cancellazione dell’Imu, legge elettorale. Ma la riforma della Giustizia è meglio di no. Tra i tanti provvedimenti che il governo si appresta a esaminare, ce n’è uno che per ora non è stato neppure preso in considerazione. A sentire i protagonisti della politica è un tema irrinunciabile. Complici i processi di Silvio Berlusconi e le manifestazioni di piazza del Pdl, l’argomento è al centro del dibattito. Ma se in Parlamento ne parlano quasi tutti, per il governo è diventato quasi un tabù.
«La riforma della giustizia è necessaria» ha tuonato sabato dal palco di Brescia il Cavaliere. Nel suo partito sono in tanti a pensarla così. In linea teorica dalle parti del Partito democratico sarebbero d’accordo. Peccato che al momento di individuare le priorità da inserire nel provvedimento, all’interno della fragile maggioranza le idee siano tante, diverse e spesso lontanissime. Troppo, per mettere in crisi i traballanti equilibri dell’esecutivo.
Come se non bastasse, le fibrillazioni delle ultime ore allontanano ancora di più il confronto. Le polemiche sulla manifestazione di sabato scorso a Brescia continuano a infuocare il clima politico. Nel pomeriggio di ieri a Montecitorio si è sfiorato lo scontro istituzionale, con un duro confronto tra il capogruppo berlusconiano Renato Brunetta e la presidente della Camera Laura Boldrini, colpevole di non aver preso le distanze dalla contromanifestazione organizzata in piazza da Sinistra Ecologia e Libertà. Per non parlare degli attacchi dei parlamentari pidiellini – ormai un fuoco di fila – in risposta alle ultime vicende giudiziarie del Cavaliere. A partire dalla richiesta di sei anni di reclusione avanzata ieri dai pm di Milano nel processo Ruby.
Con tutta la buona volontà del governo, la riforma della Giustizia appare sempre più lontana. A dire il vero il presidente del Consiglio non sembra essersi mai fatto troppe illusioni. Breve e generico il riferimento al dossier durante il discorso di insediamento alle Camere. C’è chi ricorda che quel giorno Letta ha parlato di «moralizzazione della vita pubblica e lotta alla corruzione», senza entrare troppo nei dettagli. Più esplicita, a detta di molti, la decisione di scegliere come Guardasigilli l’ex titolare del Viminale Anna Maria Cancellieri. Un funzionario di Stato apprezzato da tutti, equidistante dai partiti, ma non un esperto della materia. La diretta interessata sembra essersi adeguata al ruolo. Prime settimane da ministro di «basso profilo» come raccontano a via Arenula. In attesa che i delicati equilibri politici permettano, se mai avverrà, di mettere mano al pacchetto di riforme.
A scanso di equivoci, l’argomento Giustizia non è stato affrontato neppure durante la recente due giorni toscana del governo. Un breve soggiorno all’abbazia di Spineto per “fare spogliatoio”, come aveva chiesto Letta. Ma anche per concordare assieme le prime iniziative e, appunto, accantonare il capitolo Giustizia. Già depennato dalla lista dei provvedimenti più urgenti, come ha confermato il presidente del Consiglio. Intendiamoci, a Palazzo Chigi si spera ancora nella riforma. «Sono argomenti da cui non può prescindere il rilancio dell’economia» spiegano nella maggioranza. Ma senza alcuna fretta. «Abbiamo indicato le quattro priorità da portare a conclusione nei primi cento giorni – ha chiarito ieri il premier – Questo non vuol dire che non ci siano riforme in cantiere che abbiano una gittata più lunga».
I guai giudiziari del Cavaliere non aiutano. Enrico Letta non ha alcuna voglia di far entrare le grane di Berlusconi all’ordine del giorno dei prossimi Consigli dei ministri. Eppure, nonostante le rassicurazioni che arrivano da Palazzo Grazioli, il rischio che un’altra condanna metta a repentaglio la tenuta dell’esecutivo esiste. Lo dimostra la cronaca delle ultime ore: mentre Silvio Berlusconi incontra nella sua residenza romana i legali Niccolò Ghedini e Piero Longo, nel Pdl è un continuo tuonare contro la presunta offensiva dei magistrati. In serata il Cavaliere viene sentito per tre ore dai pm di Roma sulla presunta estorisione ai suoi danni compiuta da Valter Lavitola.
Al netto dello scontro politico, sarebbe ancora possibile procedere alla riforma? Il gioco dei veti reciproci non fa ben sperare. Nel centrodestra considerano urgenti le misure per la separazione delle carriere e la responsabilità civile dei magistrati. Nel Pd sembrano improrogabili gli interventi in materia di corruzione, falso in bilancio, voto di scambio, antiriciclaggio. A complicare ulteriormente la situazione potrebbe essere lo spinoso tema delle intercettazioni. Ne sa qualcosa l’ex ministro Paola Severino, che durante la scorsa legislatura ha tentato a lungo – e non sempre con buon esito – di trovare un punto di mediazione tra Pd e Pdl.
Per arrivare a una riforma condivisa, probabilmente tutti questi provvedimenti dovrebbero essere accantonati. Ipotesi difficile, se non impossibile. L’accordo tra Pd e Pdl può essere trovato – almeno in teoria – su altri argomenti. L’accelerazione del processo civile, ad esempio. Un tema sentito su entrambe le sponde del Parlamento. Probabile, poi, un intervento sulle carceri. Più volte suggerito dal Quirinale, non a caso evidenziato dallo stesso premier al momento di chiedere la fiducia in Parlamento. Un punto di incontro potrebbe essere rappresentato anche dalla revisione della nuova geografia giudiziaria disegnata dall’ex ministro Severino. Chissà, almeno su questi temi un’intesa è possibile. Ma senza fretta.