Quando il Pd incassa il primo vero risultato «che ci consente di respirare per qualche giorno», al quartier generale di Ignazio Marino, candidato sindaco dei democratici a Roma, circola una battuta che rende l’idea di cosa sia successo in queste settimane: «Il Pd è come il Belgio, senza dirigenti nazionali in carica va meglio». Non è dato sapere chi abbia pronunciato quelle parole, ma il clima tra i dirigenti è un mix di gioia e dolore.
Dopo il primo turno Largo del Nazareno riconquista capoluoghi di provincia di peso come Pisa, Massa, Vicenza, Isernia, Sondrio. A Pisa, Marco Filippeschi, sindaco uscente un tempo di rito veltroniano, oggi super-bersaniano, raccoglie meno delle liste che lo appoggiano ma supera con agilità il 50% (53,14%). Stesso discorso vale per Massa, lì non c’è stata partita, e il centrosinistra ha sfondato l’ingresso del Comune con la vittoria di Alessandro Volpi, assessore al Bilancio della giunta uscente. E anche a Vicenza, come da copione, prevale l’uscente Achille Variati, renziano, allievo di Mariano Rumor, uno di quelli «che voti a prescindere dal colore politico», dicono. Del resto, spiega Ilvo Diamanti a Piazza Pulita, «attenti, sono elezioni amministrative: a Vicenza hanno votato lui». Infatti la “Lista Civica – Variati sindaco“ sfiora il 20% e consente al centrosinistra di navigare con il vento in poppa.
È anche vero, dicevamo, che nei restanti capoluoghi la «ditta» raggiunge ovunque il ballottaggio con buone probabilità di vincere al secondo turno. La vittoria è a portata di mano, e in alcune realtà, come Treviso e Imperia, potrebbe addirittura segnare un passaggio di consegne storico. Ma «bisogna mantenere la calma», mormora un dirigente autorevole del Nazareno. «Abbiamo messo a segno due goal ma c’è da giocare tutto il secondo tempo».
“Un secondo tempo” che il segretario Epifani vorrà giocarsi fino all’ultimo minuto con tutte le forze, perché da lì potrà partire l’Opa sul centrosinistra e, quindi, sul prossimo congresso. E non è un caso che fino a venerdì proprio Epifani metteva le mani avanti: «Il voto amministrativo è un voto locale». Mentre oggi cambia versione, e rilancia: «Non posso parlare di me e della mia segreteria ma l’esito del primo turno con Ignazio Marino che va al ballottaggio per il Campidoglio è qualcosa che incoraggia il lavoro che ho cominciato a fare. È un voto incoraggiante per tutto il Pd». Un voto che «incoraggia se stesso», prova a sottolineare con sarcasmo un dalemiano con Linkiesta. Ma di certo preoccupa i cosiddetti big del Pd, quelli che costituiscono il «caminetto», da sempre il luogo per eccellenza che prende le decisioni e orienta gli equilibri del partito.
Infatti, al quartier generale di Marino, se si esclude la presenza di Nicola Zingaretti e Enrico Gasbarra, non ci sono leader o capicorrenti che hanno fatto la storia romana o nazionale del Pd (☞ Nel Pd molti non volevano Marino, oggi festeggiano). Preferiscono non commentare, o tutt’al più farlo nei prossimi giorni quando l’entusiasmo sarà scemato. Il 42% di Marino nella Capitale è «un risultato importante», ma sopratutto i filogovernativi del Nazareno – ci riferiamo ai franceschianiani e ai lettiani – sottolineano un dato: «L’asse della coalizione si è di fatto spostato a sinistra, e l’alleanza Pd-SeL funziona e piace ai cittadini (☞ Il governo è un’eccezione, nei comuni il Pd sta con Sel). Come la mettiamo con il nostro governo?», si domandano.
Infatti, fra i 16 capoluoghi di provincia coinvolti dalla tornatina elettorale (☞ I risultati delle elezioni comunali città per città) si registra quasi sempre un’alleanza di centrosinistra “classica“ sulla falsa riga del patto stipulato da Pier Luigi Bersani con Nichi Vendola al tempo delle primarie dello scorso autunno. Una formula rodata che a livello amministrativo ha funzionato anche quando il centrodestra berlusconiano governava e veleggiava ai massimi storici. Insomma, una formula che cozzerebbe con l’attuale composizione dell’arco costituzionale, che al momento vede il movimento del governatore della Puglia opporsi al governo di Letta, e il Pd sostenere il governo dell’ex vicesegretario nazionale Pd insieme al partito di Berlusconi.
Ma il governo Letta avrebbe sul tavolo un altro nodo da sciogliere. Il sindaco di Firenze presto porterà il conto in casa Pd, e anche a Palazzo Chigi. Al Nord, stando alla sua presenza in campagna elettorale e ad alcuni fedelissimi candidati, avrebbe fatto svoltare il destino del centrosinistra (Treviso e Vicenza) in comuni a trazione forza-leghisti. Ed in altre realtà, come ad esempio a Barletta, il suo tour avrebbe portato “fortuna“ a chi come Pasquale Cascella partiva forte di suo. L’ex consigliere della comunicazione del Capo dello Stato sfiora il 44%, e al ballottaggio fra quindici giorni non dovrebbe correre rischi. Mentre in un altro capoluogo come Siena, il candidato renziano avrebbe persino limitato i danni per un Pd in città a pezzi dopo lo scandalo Mps. È vero che a Siena il centrosinistra non andava al ballottaggio dal 1992. Ma Bruno Valentini, renziano d’acciaio, è saldamente in testa con il 39,60%, e avrebbe distaccato il centrodestra guidato da Eugenio Neri di ben 16 punti. Vantaggio che tornerà utile al centrosinistra al ballottaggio per preservare una roccaforte della tradizione Pci-Pds-Ds-Pd, e, sopratutto, consentirà al sindaco di Firenze di poter dire al presidente del Consiglio: «Enrico, grazie a me abbiamo tenuto Siena e conquistato diversi comuni al Nord. Adesso ti pregherei di far durare il governo il meno possibile».
Twitter: @GiuseppeFalci