Il Pd rischia al ballottaggio anche nelle regioni rosse

Nelle due roccaforti Pisa e Imola niente è certo per i democrat

Non c’è soltanto a Roma ad intimidire un Pd sconvolto dall’elezione del Capo dello Stato e dalla nascita del governo presieduto da Enrico Letta. Il neo segretario Guglielmo Epifani mette le mani avanti: «Il voto amministrativo è un voto locale». Come dire: “Sono segretario da due settimane, lasciatemi stare“. Segretario o non segretario, a Largo del Nazareno, sede nazionale del Pd, preoccupa anche il risultato di alcune città “rosse”, come Pisa e Imola. Tutto questo tralasciando Siena: la città epicentro dello scandalo Mps, dove ci sono 8 candidati sindaci e pare che Bruno Valentini (scelto da un partito, il Pd, che ha perso alle politiche circa 13% ma in fin dei conti si è fermato al 36%) candidato del centrosinistra dovrà affrontare il ballottaggio. A contendergli la vittoria potrebbero essere, in alternativa, Eugenio Neri sostenuto da liste di centrodestra e da formazioni di centro oppure Michele Pinassi del Movimento cinque stelle. Proprio il movimento di Beppe Grillo aveva annunciato la richiesta di formare una commissione d’inchiesta parlamentare su Monte dei Paschi di Siena.

Ad ogni modo a tormentare il Pd c’è anche Pisa. La città toscana non solo ha dato i natali a Enrico Letta, oggi Presidente del Consiglio. O al neo Ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza. Ma Pisa è una roccaforte della sinistra italiana. Lì Massimo D’Alema ha iniziato la sua lunga carriera politica, quando all’età di 21 anni primeggiava a Palazzo Gambacorti, sede del Comune. E lì la destra a trazione missina, o quella berlusconiana, non è mai esistita. Il sindaco è sempre stato figlio della tradizione Pci-Pds-Ds-Pd. E anche questa volta la destra non intimorisce la sinistra pisana. Una destra spappolata, frammentata, che difficilmente potrà raggiungere il 30 per cento. Ma c’è un terzo incomodo, che attanaglia i pensieri dello stato maggiore di via Fratti 9, sede della federazione provinciale del Pd pisano. E il “terzo incomodo“ è la candidata del M5s, Valeria Antoni. Una che non ha mai avuto una tessera, che non è mai entrata in una sezione di partito. Un’anomalia per una città, dove ogni cento metri c’è un “circolino“, un tempo sezione del Pci.

Come segnala l’edizione pisana de il Tirreno, la passione politica della Antoni è nata quasi per caso: «Facevo volantinaggio per il Sì con Rifondazione e Sel nel mio quartiere, il Movimento a Pisa era appena nato. Il Pd ci ha sempre ostacolato in questa battaglia e a pochi giorni dal voto ci ha messo il cappello sopra per motivi elettorali salvo poi fregarsene del risultato e anzi sovvertirlo. Ecco, la molla è stata la delusione per quell’esperienza».

Da quel momento, due estati fa, si è avvicinata al movimento di Beppe Grillo, e giorno dopo giorno, si è ritrovata ad essere la leader del movimento dell’ex comico in una fra le città più “rosse” d’Italia. Dove ancora oggi è impensabile che ci si schieri per il centrodestra, ma per il M5s “sì”. Infatti, sopratutto, fra i giovani pisani il grillismo è diffuso. Basta frequentare le aula studio, che hanno caratterizzato la storia degli studenti dell’Ateneo pisano. All’aula “Pacinotti”, a pochi metri dalle facoltà di Matematica e Fisica e frequentatissima da studenti di diversi indirizzi, si respira un clima anti-casta. Guai a parlare di Pd, o del candidato sindaco dei democratici, l’uscente Marco Filippeschi. Uno «che non accetta mai il confronto», lamenta un giovane pisano con i rasta e con la media del 30 a matematica. E a lamentarsi non sarebbero soltanto i giovani studenti, ma anche i liberi professionisti avrebbero da ridere sull’atteggiamento del sindaco Filippeschi in questi quattro anni.

E allora non basta la mobilitazione dei vertici del partito del Nazareno. Roberto Speranza è stato in città a metà mese per un’iniziativa a sostegno del sindaco uscente. Il presidente della Regione, Enrico Rossi, molto legato alla cittadina toscana per via delle sue origini, è stato molto presente. E anche l’ex sindaco Paolo Fontanelli, oggi parlamentare, e fedelissimo di Massimo D’Alema, ha mobilitato tutto gli sherpa ex diessini per dare una spinta propulsiva ad una campagna elettorale che non è mai decollata.

Una campagna elettorale che si è giocata sui temi della sicurezza e della cementificazione perché, lamentano i più, Filippeschi non avrebbe saputo gestire «la questione dei campi Rom e quella dell’urbanistica». Ecco perché sarebbe dietro l’angolo il ballottaggio. Un ballottaggio che al Nazareno leggerebbero come uno sconfitta, anche perché dall’altra parte ci sarebbe una destra divisa, e una candidata del M5s che i sondaggi interni al Pd quoterebbero intorno al 20%. Ma nel segreto dell’urna i voti di protesta potrebbero crescere, e non è da escludere che il movimento di Grillo possa alla fine superare il 25%, già ottenuto alle politiche di due mesi fa, e sognare il ballottaggio.

La storia potrebbe ripetersi anche ad Imola. Un’altra roccaforte di “sinistra-sinistra”, mai contaminata dal berlusconismo. «L’unica roccaforte che ancora può dirsi tale», sbottano. Il sindaco uscente Daniele Manca, sostenuto da un’alleanza eterogenea che va da SeL a Scelta Civica di Mario Monti, rischia grosso. E fra gli otto competitors Manca teme più proprio quello del M5s, Claudio Frati, laureato in economia ed imprenditore. Uno che vuole cambiare lo statuto comunale «per introdurre referendum propositivi senza quorum» e «aumentare le tematiche da sottoporre a consultazione popolare», ed è consapevole che il ballottaggio in quel di Imola sarebbe davvero un’impresa: «Siamo consci dei rischi anche perché in questi ultimi anni abbiamo visto tentativi di condizionamenti, più o meno velati, nei confronti di persone a noi vicine, che mal si conciliano con una città che si fregia della medaglia d’oro per la Resistenza». Amen.

Twitter: @GiuseppeFalci 

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