Banche, moneta, potereLa Merkel ricordi che anche i Fugger fallirono

La fine di una famiglia che era giunta a maneggiare le sorti dell’Europa

Schwaz è una tranquilla cittadina del Tirolo, nella bassa Valle dell’Inn, un tempo importantissima per le sue miniere d’argento. Uno dei capisaldi del potere degli Asburgo. E del legame tra gli Asburgo e il potere finanziario. Infatti, proprio allo sfruttamento delle miniere di Schwaz erano legati i Fugger, la più grande dinastia di banchieri tedeschi. Ancora oggi nell’immaginario del popolo tedesco essi rimangono il simbolo del banchiere, sono sinonimo di ricchezza e potere.

Dalla Svevia i Fugger si trasferirono nel Quattrocento ad Augusta e si affermarono come mercanti. L’apice fu raggiunto da Jakob II, detto il Ricco. Apprese ed affinò i mestieri di banchiere e mercante a Venezia, dove soggiornò per alcuni anni nella seconda metà del Quattrocento. Era l’Italia, all’epoca, la culla dell’ars mercatoria e delle banche. Fin dal Duecento, toscani, lombardi, veneziani e genovesi gestivano i grandi flussi di denaro e di merci in Europa e tra Occidente e Oriente. Per imparare le tecniche dei commerci, le scritture contabili (come la partita doppia) e le lettere di cambio occorreva venire in Italia. Il giovane Fugger dal 1473 al 1478 fece il suo apprendistato nel Fontego dei Todeschi sul Canal Grande, adiacente alla fervida Piazza di Rialto. Prendendo esempio dagli italiani iniziò ad usare la leva finanziaria nei commerci, a gestire e a convivere con “il rischio”.

Cominciò poi a prestare denari ai principi e ai duchi europei sempre bisognosi di liquidità. Uno dei suoi migliori clienti fu l’Arciduca Sigismondo d’Asburgo, reggente del Tirolo e dell’Austria anteriore. L’Arciduca voleva a tutti i costi espandere i propri territori ed entrò prima in contrasto con l’arcivescovo di Bressanone (per questo ottenne la scomunica papale) e poi fece l’errore di scendere in guerra con Venezia: ma per le guerre servivano soldi, tanta liquidità nel più breve tempo possibile. Richiese per questo un prestito a Jakob Fugger che in cambio ottenne la concessione allo sfruttamento delle miniere d’argento tirolesi: Schwaz si affermò come la città dell’argento.

Ma i sovrani erano solo una faccia della medaglia: l’altra era il Papato. Occorreva gestire le finanze vaticane, stringere sempre più stretti rapporti con Roma, sulla scia di quanto avevano fatto in passato i Medici o prima ancora i banchieri senesi. Nel 1508 la banca dei Fugger ottiene la gestione della zecca papale.

Accumulando enormi ricchezze, lo sguardo si volgeva al potere: il banchiere, era già successo più volte in Italia, diventava demiurgo, sostenitore o manovratore dei principi. Jakob Fugger nel Cinquecento approfitta della disputa per la successione al trono del Sacro Romano Impero tra Carlo di Spagna, Francesco I di Francia ed Enrico VIII d’Inghilterra. Carlo, che era già Re di Spagna da tre anni, con la morte nel gennaio del 1519 del nonno paterno Massimiliano I, concorse per la successione asburgica. L’imperatore veniva eletto da sette grandi elettori: i vescovi di Magonza, Colonia e Treviri e i signori laici del Brandeburgo, di Boemia, del Palatinato, della Sassonia.

Si può dire (senza semplificare) che quegli elettori erano sensibili ai denari e vi fu una specie di “asta”, neanche tanto nascosta. Carlo di Spagna fu appoggiato dai Wielser di Augusta, dai Gualterotti di Firenze, da alcune importanti famiglie genovesi che gli diedero un prestito di 300.000 fiorini sotto forma di cambiali. E fu Jakob Fugger a determinare le sorti della contesa dinastica mettendo sul piatto l’ingente somma di 500.000 fiorini. I Grandi Elettori si espressero con voto unanime a favore di Carlo di Spagna, che divenne Carlo V: il 28 giugno del 1519 a Francoforte fu eletto Imperatore del Sacro Romano Impero. I Fugger si legarono in maniera indissolubile agli Asburgo, anche dopo la morte di Jakob il Ricco.

Carlo V lasciò a suo figlio Filippo II un impero vastissimo ma fortemente indebitato. Le finanze pubbliche erano connaturate da “squilibri strutturali”, ingigantiti dalla necessità di sostenere continue guerre: gli eserciti costavano. Le tasse non bastavano a coprire né il costo dell’apparato burocratico, sempre più famelico, né le spese per preparare flotte ed eserciti. Le enormi quantità di argento provenienti dall’America finivano in buona parte a pagare i prestiti o a pagare l’importazione di manufatti e spezie.

La bilancia commerciale dell’Impero spagnolo era fortemente deficitaria. Di fronte a questi squilibri, la scorciatoia fu..non pagare i debiti e dichiarare il default. Avvenne nel 1557: il colpo fu pesantissimo per la banca dei Fugger. La concentrazione del rischio presso gli Asburgo fu un errore fatale. Un impero così ricco e vasto era ritenuto affidabilissimo. Ma non fu così, né bastò la fedeltà alla Corona a renderli immuni ai fallimenti della politica: Filippo II sapeva benissimo quanto suo padre doveva ai Fugger per l’elezione a imperatore ma la ragion di stato non li risparmiò. Anche per i banchieri genovesi il colpo fu duro, ma riuscirono a riprendersi, a resistere ai successivi e ricorrenti default, rimanendo fino al terzo-quarto decennio del Seicento i dominatori delle finanze dell’Impero spagnolo.

Nel regno di Carlo V, la nobiltà spagnola fu sempre ostile ai Genovesi, alle vertiginose ricchezze che accumulavano. Questa ostilità crebbe sotto Filippo II. Il sovrano ed il suo entourage furono preoccupati del loro crescente potere. Nel 1573 vi furono Actas de la Cortes de Castilla contro i genovesi ma il colpo più duro, un vero e proprio blitz – che puntava alla loro estromissione – venne messo in atto nel 1575 con il decreto regio del primo settembre (promulgato in dicembre): tutti gli asientos – contratti molto diffusi per anticipi a breve termine rimborsabili con i preziosi in arrivo dalle Americhe – stipulati dopo il 1560 furono annullati, quindi si cancellò con un colpo di spugna gran parte delle obbligazioni tra il governo spagnolo e i banchieri genovesi.

Filippo II voleva in questo modo sostituire i genovesi con i banchieri spagnoli, portoghesi e soprattutto tedeschi, confidando nella fedeltà asburgica dei Fugger che subito sostennero le finanze spagnole. Il piano contro i genovesi era ben articolato: aveva un braccio normativo, uno finanziario con l’individuazione dei banchieri di supporto e un terzo politico, alimentando la rivolta e le divisioni all’interno della Repubblica genovese.

Un ciclone finanziario pesantissimo colpì Genova ma, soprattutto, la città fu sconvolta dalle lotte intestine: i nuovi mercanti si ribellarono contro l’aristocrazia finanziaria, che fu cacciata dalla città (non pochi storici vedono la mano spagnola dietro lo scoppio della rivolta). L’alleanza tedesco-spagnola sembrava vincente, i Fugger colpiti duramente dalla bancarotta del 1557 tornavano in auge, veniva premiata la loro fedeltà all’Impero.

Ma i genovesi seppero bloccare il flusso dell’oro dai porti mediterranei verso le Fiandre e soprattutto interruppero il “sistema delle lettere di cambio”: l’infrastruttura finanziaria dell’Impero fu bloccata. Ben presto le truppe spagnole impegnate nelle Fiandre rimasero senza soldi e si ammutinarono, saccheggiando Anversa nel 1576. Dopo poco tempo ci si accorse che i portoghesi non avevano capitali a sufficienza, che i finanziamenti dei tedeschi servivano all’Impero a prendere tempo ma non risolvevano il problema del blocco dei flussi perché non governavano le piazze finanziarie, che i banchieri castigliani non erano depositari delle raffinate tecniche contabili e bancarie dei genovesi.

Si incepparono dunque gli scambi tra le varie piazze finanziarie europee. Ma con il “default per decreto” Filippo II ed i suoi consiglieri fecero un altro grave errore, sottovalutando i meccanismi di circolazione dei titoli che avevano condannato al default e dei titoli connessi: i juros de resguardo – che i genovesi avevano venduto in tutt’Europa perché pagavano una buona rendita – venivano rimborsati al momento della liquidazione dell’asiento, ma se saltava uno saltava l’altro. Pensando di colpire i banchieri della Superba, con il default si infiammò invece l’Europa e si colpirono anche mercanti e risparmiatori spagnoli.

Filippo II fu costretto a trattare di nuovo con i genovesi. Si arrivò ad un accordo sul debito, il “medio general” del novembre del 1597 tra i ministri della Corona imperiale e i rappresentanti dei banchieri genovesi: il nuovo accordo riconosceva loro maggiori prerogative e la loro presa sulle finanze dell’Impero divenne sempre più forte, sempre più esclusiva. I Fugger furono definitivamente tagliati fuori.

Nel 1579 i genovesi riuscirono a spostare le fiere da Besançon a Piacenza: il loro dominio “sul sistema delle lettere di cambio” divenne totale. Controllarono in questo modo i flussi finanziari dell’Impero, governarono – come ha sottolineato il grande storico Fernand Braudel – le ricchezze dell’Occidente. La Merkel rilegga la storia dei Fugger e del loro rapporto con gli Asburgo: a volte pensare di governare i mercati finanziari con il cinismo della politica può provocare disastri.

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