Tutto quello che c’è da sapere sul Giro d’Italia

I protagonisti storici del Giro d’Italia, raccontati dall’autore della Pecora Nera

Parte il quattro di maggio da Napoli, la novantaseiesima edizione del Giro d’Italia e, dopo tremilaquattrocentocinque chilometri e trecento metri, centimetro più, centimetro meno, i corridori arriveranno stanchi e soddisfatti al traguardo finale di Brescia il giorno ventisei, a metà pomeriggio, tra scatti e cadute, forature e colpi di pedale, fughe solitarie e arrivi in volata. È un appuntamento fisso da più di un secolo, ormai, quello del Giro, che torna anche quest’anno a portarci a spasso in bicicletta, in salita e discesa, attraverso grandi città e paesini minuscoli, su strade larghe e rettilinee o tortuose e strette.

QUANDO SCAPPA, SCAPPA

Era leggero e scattante, soave e veloce, in piedi sui pedali della sua bicicletta, Il lussemburghese Charly Gaul, che se si trattava di andare in salita era felice e beato, come quando tu e io andiamo in discesa. Sulle Alpi e i Pirenei era il più forte di tutti, agile com’era, e vederlo arrampicarsi sui tornanti di montagna era uno spettacolo, come se si stesse ammirando un cerbiatto o un camoscio. Solo che un camoscio in bicicletta non lo ha mai visto nessuno, mentre Charly Gaul in cima a qualche colle sì.

Tanto forte era, il nostro campione, che a volte arrivava talmente primo, da fare in tempo a prendersi un tè e due biscotti frollini, in attesa del secondo e del gruppo, via via fino all’ultimo. Ovvio che più spesso che no finiva anche per acchiappare la maglia rosa, che gli dava pure un aspetto a dir poco elegante. Accadde anche durante il Giro d’Italia del 1957 quando, al mattino del sei di giugno, si apprestava a cominciare la quart’ultima tappa da capoclassifica. Si partiva da Como, lungo le fresche acque del lago, per raggiungere a sera il monte Bondone, in Trentino, dopo salite e discese, discese e salite, salite, salite e ancora salite. Una pacchia.

Accadde però che, ai piedi di una splendida montagna, Charly sentì il bisogno… del bisogno. Ci siamo capiti, vero? Proprio quel bisogno lì. Solo che il traguardo era di là da venire e difficilmente avrebbe resistito fino allo striscione d’arrivo. E il sellino della bicicletta non è certo un trono del vicì! Che fare? Gaul si guardò a destra e a sinistra: c’erano avversari di qua e di là, che gli pedalavano accanto senza staccarsi di un centimetro. Poi si guardò indietro e anche lì un nugolo di pedalatori lo seguiva senza perderlo di vista. Non ti dico l’imbarazzo… Davanti invece non c’era nessuno, ma la strada si faceva stretta e cominciava a salire, verso il passo lassù.

A quella vista un sospiro di sollievo rasserenò il campione, tuttavia il bisogno era ancora impellente e il problema pure. Finché, dopo una curva, lungo la strada non scorse una bella trattoria, affollata di tifosi festanti che, nell’attesa del Giro, aveva ordinato antipasto per tutti, primo, secondo, contorno, dolce, caffè e ammazzacaffè. Charly sorrise e prese una decisione strategica: frenò improvvisamente la sua bicicletta e si fermò proprio davanti all’entrata. La appoggiò al muro, chiedendo a un avventore di badarla un po’.

Poi entrò nel locale e si fece indicare il bagno, che dev’essere stato in fondo a destra, come tutti i bagni del mondo. Lì dentro si chiuse e, fischiettando, il bisogno svanì. Era tranquilla, la maglia rosa: ora avrebbe potuto affrontare la salita libera da ogni impiccio. E che impiccio! Si lavò per bene le mani; già che c’era si sciacquò la fronte dal sudore di tre quarti di tappa, poi si fermò al bar: si lasciò servire un bicchiere fresco di acqua e limone e, perché no, un caffè. Firmò un autografo a un marmocchio tifoso, si lasciò fotografare dallo zio di non so chi e alla fine tornò dalla sua bicicletta, che lo aspettava lì fuori.

Salutò la folla festosa e si rimise a pedalare solo che, guardandosi a destra e a sinistra non c’era più nessun avversario di qua e di là. Si guardò alle spalle e anche lì il vuoto. Si guardò avanti e i suoi avversari erano ormai talmente lontani che non si riuscivano a scorgere, nemmeno aguzzando la vista. Tanto è in salita, deve aver pensato, e in salita tutti sapevano che il più forte era lui. Già, lo sapevano però anche e soprattutto i ciclisti avversari, il secondo, il terzo e il quarto in classifica, che a vederlo in trattoria non credettero ai propri occhi e, moltiplicate le forze, scattarono con più energia che mai e ciao ciao, Charly. Al traguardo, sul monte, il campione venuto dal Lussemburgo arrivò con dieci bei minuti di ritardo. Ma quanta pipì gli scappava?!

Vincitore di tappa fu lo spagnolo Poblet e la maglia rosa, cronometro alla mano, passò sulle spalle di Gastone Nencini, che la accettò volentieri e in albergo trascorse mezz’ora davanti allo specchio, perché non ci credeva nemmeno lui. E Gaul? Al traguardo di Milano, che concludeva il Giro intero, fu solamente quarto, poveretto. Ma una cosa quel giorno l’aveva imparata e difficilmente l’avrebbe mai più scordata: quando scappa, scappa, questo lo sanno anche i bambini, ma se si va in bici, quando scappa va a finire che poi scappano anche gli avversari e chi li piglia più?!

LA FOTOGRAFIA

Il quattro di luglio del 1952, non durante il Giro, ma sulle strade del Tour de France, lungo la faticosa salita che porta al passo del Galibier, Fausto Coppi era al comando e il suo amico e rivale Gino Bartali lo seguiva da molto vicino. Con il dito pronto e lesto, fu il fotografo Carlo Martini a scattare quella che diventò ben presto una delle più celebri fotografie nella storia del ciclismo. Chi fu, dei due, a passare la borraccia all’avversario, in un gesto a dir poco cavalleresco? Gino a Fausto o Fausto a Gino?
Non dirmelo! Non lo voglio sapere. Il bello della foto sta proprio in quel dubbio.

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Con i suoi duemilasettecentocinquantotto metri di altitudine, il passo dello Stelvio è uno dei passaggi più classici del Giro d’Italia. Quest’anno, neve e tempeste permettendo, il gruppo lo scalerà venerdì ventiquattro maggio, nel corso della diciannovesima e penultima tappa, che da Ponte di Legno arriverà in val Martello.

Il primo corridore ad arrampicarsi fin lassù, durante il Giro del 1953, fu nientemeno che il campionissimo Fausto Coppi, il ciclista più ciclista di tutti, in una delle sue tante eroiche imprese. Al traguardo conquistò la maglia rosa, che mantenne fino alla fine per trionfare al suo quinto e ultimo Giro.
Da molti anni ormai, per ricordarlo, il passo più alto del percorso del Giro d’Italia si chiama proprio Cima Coppi, che quest’anno coincide quindi, a sessant’anni di distanza, proprio con lo Stelvio.

LA PAGINA WEB

Il Giro d’Italia è organizzato dalla Gazzetta dello Sport, il quotidiano sportivo con le pagine rosa ed è per questo che chi conduce la classifica indossa proprio una maglia di quel colore. In questa pagina web trovi il percorso del Giro 2013, le date tappa per tappa, i percorsi e l’altimetria.
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I NOSTRI EROI

Il pavese Giovanni Rossignoli fu corridore all’inizio del secolo scorso, quando le biciclette pesavano venti chili, le strade erano fangose e sterrate, le tappe più lunghe e faticose che mai, al punto che tra una e l’altra c’erano tre giorni di riposo. Partecipò al primo Giro d’Italia, nel 1909, e nella classifica finale si classificò terzo, ma in realtà arrivò primo.
Come sarebbe, terzo ma primo?!
Il fatto è che la classifica che vide vincere Luigi Ganna, con i suoi baffi arricciati come il manubrio da corsa, era calcolata sommando i punti conquistati al traguardo di ogni tappa. Tenendo invece conto del cronometro, sommando i distacchi e i ritardi come si fa oggi, le cose sarebbero cambiate di molto e il Rossignoli avrebbe trionfato e conquistato il suo bel pezzetto di storia.

Era soprannominato il cinese, Luigi Malabrocca, per via dei suoi occhi neri e allungati. Ed era corridore ai tempi di Bartali e Coppi, poveretto, quando più che terzo non riuscivi mai ad arrivare, tanto erano forti quei due. E chi ti considera, se arrivi tra gli altri nel gruppo? Chi ti intervista per il giornale della sera? Chi ti consegna un premio, ancorché di consolazione?
Beh, pare che all’arrivo di una tappa qualcuno lo intervistò, il nostro Luigi, quando era nientemeno che ultimo in classifica. Come ci si sente laggiù? E qualcun altro, colto da compassione, pensò di regalargli un grosso pezzo di formaggio o un salame. Ultimo sì, ma sazio e satollo, altroché!
Ecco che il cinese ci trovò gusto e nel Giro del 1946 arrivò ultimo anche al traguardo finale, dove indossò con orgoglio una bella maglia nera, che non sarà stata rosa, ma era stirata di fresco anche lei.
L’anno successivo l’ultimo posto fu per lui il vero traguardo da inseguire e per raggiungerlo si fermava spesso a fare pipì, o al bar per un caffè e una partita di briscola, o fingendo di aver forato e di non essere capace di cambiare la camera d’aria. E alla tappa finale eccolo di nuovo lì, con i suoi occhi neri e la maglia, nera pure lei, sulle spalle.
Durante il Giro del 1949, però, Malabrocca esagerò e a una tappa arrivò tanto ultimo, ma così ultimo, che non arrivò affatto e al traguardo se ne erano già andati via tutti, giudici compresi. E il giochino finì.

Tra i concorrenti al via del Giro d’Italia del 1924 ce n’era uno… anzi, una con gli occhi fascinosi da cerbiatta e la grazia femminile, che in bicicletta se ne andava a spasso che era una bellezza. Si chiamava Alfonsina e i maschietti dell’epoca non erano così convinti di lasciarla partire con i campioni del pedale.
Eppure partì, tra gli sguardi dei novanta maschioni, suoi concorrenti. Partì e raggiunse il traguardo, tappa dopo tappa, sulle strade d’Italia, tra gli applausi, i sorrisi e gli sguardi sorpresi del pubblico lungo la via. E al traguardo finale, eccola lì con i trenta corridori sopravvissuti, stanca, stravolta e felice: Alfonsina Morini, prima e unica donna a correre il Giro d’Italia.

QUATTRO DOMANDE A… GIUSEPPE GARIBALDI

Generale, lei che ha unito l’Italia, che mi dice del Giro d’Italia?
Non le dico nulla. Sono un vecchio marinaio, io. Al massimo possiamo farci un giro in pedalò intorno a Caprera e per cena due triglie alla griglia. Quando feci il mio, di giro, da Nord a Sud e ritorno, preferivo la sella al sellino e un cavallo bianco a trottare sotto di me: meno fatica e più portamento.
Si, ma al Giro mica per forza bisogna fare il corridore. Si può anche starsene lungo la strada e lasciare che sia il Giro a girare intorno a noi. Si chiama Giro per questo!
Allora ne penso bene, del Giro d’Italia e di qualsiasi cosa che non mi obblighi a far fatica. Certo che un po’ di fatica ti assale lo stesso, a guardare questi che arrancano in salita. E, a proposito di giri e giramenti, un giorno magari chiamo mille amici e ci provo davvero a girare l’Italia. Nel senso letterale del termine: il Nord a Sud e il Sud al Nord. Con il Centro al centro, ma a testa ingiù.
Ma non pensa che il Giro d’Italia sia un bel modo per rendere l’Italia più bella?
Questo sì. Come minimo si asfaltano le strade, che è un grande progresso. Avessi avuto io autostrade e ferrovie, sarei arrivato a Marsala molto prima, altroché. Però mi lasci dire che è la bella Italia il luogo migliore per rendere bello anche il Giro, concorda? Vede che la pensiamo allo stesso modo? Solo che ognuno lo fa a modo suo!
Già. E chi possiamo considerare, se qualcuno, il Garibaldi del pedale?
Questa la so! Quel toscanaccio d’un Bartali, vecchio brontolone anche quando era giovane e non c’era nulla da brontolare. Le svelo un segreto: quando a Teano incontrai Vittorio e gli consegnai l’Italia unita, pensai in cuor mio che qui era già tutto da rifare, come pensava Ginettaccio ogni volta che scendeva dalla bicicletta e buonanotte.

TI CONSIGLIO UN LIBRO

Com’era la tua prima bicicletta? Grande, gialla, rossa, vecchia, nuova, impolverata, sgonfia, cromata, con il cestino, cigolante, bella, bellissima e anche di più?
Margherita deve aver sognato di arrivare fin tra le stelle, pedalando senza fretta; il mio amico Darwin la chiamava in portoghese: bicicleta, con una tì soltanto; Gianni non dimenticava di portarsi dietro un panino da sgranocchiare alla prima sosta e Paolo un blocchetto e una penna per appuntarsi tutto ciò che gli capitava intorno.
Non manca mai il ricordo di una pedalata, tra le memorie di bambino di chi bambino non è più e chiunque sia stato bambino e adesso è un po’ grande e un po’ goffo, basta dargli un manubrio e un sellino e vedrai, che un po’ bambino lo è ancora.

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