È talmente parte del paesaggio intricato di strade che ci pare sia sempre esistita, la mitica Fiat Cinquecento – il cinquino, per gli amici – piccola come una nave spaziale, dove c’è più spazio fuori che dentro, ma dentro c’è sempre lo spazio per te. Cinquecento con la maiuscola, piccola grande automobile che, dall’inizio di luglio del 1957, gira l’Italia e il mondo sulle sue ruote e, piccina com’è, si parcheggia facilmente. Nuova, Jolly, Coupé, Giardiniera, Lucertola, Abarth, Giannini… c’era una Cinquecento per tutti e chi non l’aveva faceva autostop.
il racconto
ERAVAMO IN CINQUECENTO
Mi son sempre chiesto se si sta più comodi in cinquecento su una Uno o in uno su una Cinquecento. In certi casi – credi a me – meglio soli che troppo accompagnati, che se poi ti fermano a un controllo ci si impiega mezza giornata a trascrivere le generalità di tutti, patente e libretto, in ordine alfabetico.
Certo non viaggiavano in Cinquecento e nemmeno sferragliando su qualche altra vettura, i Mille del Garibaldi a cavallo, che per altro erano mille, appunto, che è cinquecento per due, ma mille non erano. Alla fine, automobile o no, quando si è in metà di mille non si può che viaggiare in cinquecento e si prende pure ottimo in matematica. E se il cavallo del generale era bianco di sicuro, la Cinquecento può essere rossa rossa, nero chiaro, bianco scuro oppure giallo ocra, come quella della zia, che di cavalli ne ha tredici a vapore.
Che poi, a essere pignoli, quella piccola Cinquecento era in realtà una quattrocentosettantanove e i ventuno mancanti chi lo sa… Ma vallo a spiegare a Peppino, che mille diviso due fa quel numero lì e tanti saluti all’ottimo in matematica. Con i suoi Mille che, ripeto, proprio mille non erano nemmeno loro, davvero! Si dice così, per arrotondare un po’…
Però anche lui, per la sua spedizione da Nord a Sud, non avendo l’autostrada a disposizione divise i Mille in due: cinquecento a bordo di una nave, cinquecento a ondeggiare sull’altra e se fosse ancora vivo oggidì, con la sua giubba rossa rossa, Garibaldi avrebbe due belle Cinquecento, mille in tutto, del colore che gli va. E la sua spedizione, come tutte le avventure che partono qua e arrivano là, sarebbe stato un viaggio da mille e una notte, che proprio mille non sono nemmeno loro, perché son milleuno, ma non conosco nessuno che se ne faccia un problema.
Piuttosto, se lo si fa in Cinquecento, quel viaggio da fiaba, si arriva solo a metà strada e non è detto che ci sia un autogrill a darti il benvenuto e offrirti un caffé. A meno che le mille notti e i mille giorni del viaggio non si intendano andata e ritorno, come i biglietti del treno e allora sì, che a cinquecento c’è l’arrivo e se ci si giunge per primi tanto meglio per noi.
Ci si andava a cento all’ora, in Cinquecento, per trovar la fidanzata per mille e una notte e cento per cinquecento fa girar la testa più di lei e del suo sorriso. Fa cinquantamila, lo so che lo sai, ma chissà se esisterà mai un’automobile che si chiami Cinquantamila… E se di fidanzate ne avevi cinque, non ci andavi certo a cinquecento all’ora, ma in Cinquecento sì, una alla volta, però, altrimenti son guai… Come eran guai già nel Cinquecento o giù di lì, quando il Cristoforo Colombo, per andare a trovare la sua di fidanzata – sarà vero? Chi lo sa – si inventò questa storia di andare di qua per andare di là, perché la bella se ne stava alle Canarie e se vai in India, quando la vedi, la fidanzata?! Ah, l’amore… Ti fa scoprir l’America!
Ma tra scoperte e innamoramenti, nel Cinquecento non c’era ancora la Cinquecento né di là né di qua: tutta questione di maschile e femminile, come Colombo e la sua piccioncina, e chissà se lo sapeva, quel geniaccio di Leonardo da Vinci – del Cinquecento, ma senza Cinquecento pure lui – che bastava cambiare l’articolo a un numero per mettersi per strada?! E chissà se lo sapeva Nostradamus, cinquecentino e cinquecentone, che anziché strillare Mille e non più mille bastava far di conto, cinquecento per due? Altrimenti chi glielo andava a dire a Garibaldi?
Ecco, quando si era in Cinquecento si era così, in metà di mille o in quattrocentosettantanove là dentro si stava in quattro gatti andava bene lo stesso. Batti il cinque! Anzi, battine cinquecento!
la fotografia
Oltre che come ultrautilitaria, la Cinquecento fu subito proposta come piccola vettura ideale, offrendo a uno, due, tre o quattro passeggeri una bella vista dal suo tetto apribile. La tecnologia modernissima si trovava nelle leve per l’avviamento, nel cambio a quattro velocità più la retromarcia, nella leva del freno a mano, nella ventilazione e nel riscaldamento. Il cofano anteriore conteneva il serbatoio carburante, la ruota di scorta, la batteria, la borsa utensili e persino un po’ di spazio per il bagaglio; il gruppo motore posteriore era un due cilindri in linea a quattro tempi, raffreddato ad aria, con 479 centimetri cubici di cilindrata e tredici cavalli vapore di potenza. Una bellezza, per sfrecciare fino a ottantacinque chilometri all’ora, con meno di cinque litri di consumo ogni cento chilometri, per la modica spesa di quattrocentonovantamila lire chiavi in mano!
il video
Sarà perché è facile da disegnare, sarà perché con le sue linee rotonde pare uscita da un fumetto, fatto sta che alcuni personaggi del mondo dei cartoon in Cinquecento hanno viaggiato volentieri. Esiste, per esempio, la nerissima 500 Diabolika, forse per sfuggire a qualche inseguimento. È invece gialla la Cinquecento di Lupin III, targata R-33, lanciata anche lei all’inseguimento degli inseguitori di un’inseguita e se vuoi sapere il seguito, non hai che da guardarti Il castello di Cagliostro e buon divertimento.
la pagina web
Prima della mitica Fiat Cinquecento, esisteva la Fiat Cinquecento, solo che nessuno la chiamava Fiat Cinquecento, bensì con il familiare nome di Topolino, un po’ come quello di campagna, un po’ come quello di carta, che già era una superstar dei fumetti.
Progettata nel 1936 dallo stesso Dante Giacosa, che poi disegnò anche quella nuova nel Cinquantasette, divenne l’automobile per tutti, per le gite in campagna e le commissioni in città, per portare al cinema la fidanzata e per ogni altra cosa che ti passava per la mente.
i nostri eroi
La prima, primissima Cinquecento non fu quella presentata il primo di luglio del Cinquantasette, né la sua nonna Topolino. Nell’estate del 1931, infatti, il giovane progettista Oreste Lardone se ne uscì con uno splendido prototipo di vetturetta con un motore di 500 ciccì posto lì davanti e quattro comodi posti nell’abitacolo: una bellezza.
Per il primo giretto di prova si accomodarono il collaudatore, il Lardone e nientemeno che il senatore Agnelli in persona, gran capo di tutta l’azienda.
Tutto bene, per un paio di chilometri, ma all’improvviso, forse per una goccia di carburante persa per strada, forse per una di olio motore, una fiammata interruppe ogni cosa sul più bello. I tre si lanciarono fuori senza paracadute, che se fossero stati su un aereo li avremmo visti precipitare. Invece finirono rotolando nell’erba, mentre il prototipo andava alla griglia. Che peccato…
Poco importa che il problema fosse minimo e il progetto davvero bello: pulito l’abito dalla polvere, il senatore imbufalito si infilò il cappello, poi guardò il povero Oreste negli occhi e lo licenziò senza pensarci tanto su. L’idea della Cinquecento finì in un cassetto fino a qualche anno più tardi, quando Dante Giacosa quel cassetto lo aprì…
Prendi un’automobile, parcheggiala in mezzo al garage, cambiale le ruote, sostituisci i paraurti, modifica il cruscotto, sfrizzola gli ammortizzatori, romba il motore, brugola una vite, aggiungi una marmitta, croma di qua, vernicia di là, ecco che avrai sempre un’automobile, ma non più la stessa e dal garage te ne uscirai a bordo di un gioiello.
Deve aver pensato qualcosa di simile, l’intraprendente Carlo Abarth, quando a metà del secolo scorso aprì la sua officina lungo una via di Torino e cominciò a maneggiare carrozzerie, pneumatici e spinterogeni.
Va da sé che a pochi mesi dalla nascita della nuova Cinquecento, il modello Abarth era già bell’e pronto, per sfrecciare sulle strade e soprattutto in pista, conquistando qualche decina di primati di velocità: da qua a là in men che non si dica.
A cinquant’anni dalla nascita della Cinquecento, nel 2007 i simpatici sposini australiani Lang e Bev Kidby hanno pensato di farsi il giro del mondo con la loro macchinetta d’epoca rossa rossa. Da Vladivostok, nella Russia orientale, a Irkutsk, nella gelida Siberia; da Novosibirsk, che in cirillico si scrive Новосиби́рск, a Ekaterinburg, negli Urali; da Kazan ad Amburgo alla danese Odense; da Chevetogne, in Belgio, a Torino, per un salto a casa Fiat, fino a Garlenda, in Liguria, al raduno del cinquantenario. Poi di nuovo per strada, da Parigi a New York, ma in nave, dall’Ohio al South Dakota, da San Francisco a Vancouver fino alla fredda Anchorage, nella gelida Alaska per il taglio del traguardo. Bravi! Mandatemi una cartolina.
quattro domande a…
… Marsala, il cavallo bianco Garibaldi
Signor cavallo bianco, ma lei di che colore è?
Questa intervista comincia con lo zoccolo sbagliato. Non ne posso più, davvero. Sono centocinquant’anni che sento questa sciocchezza del colore del cavallo bianco e, siccome quel cavallo sono io, mi sento punto nell’orgoglio, bianco pure lui, e mi viene il cattivo umore. Passiamo alla prossima domanda.
Le chiedo scusa, non mi imbizzarrisca così. Allora mi dica: se fosse un’automobile, quanti cavalli avrebbe?
Ohibò, ma che domande… Ma uno, perbacco! Me stesso! Non crede che basterebbe? Al generale fu sufficiente, altroché. Però più che un’automobile sarei una carrozza, che ai miei tempi c’eran quelle, anche se ho sempre prediletto la sella sulla groppa, con Peppino a cavalcare, infatti anche lui prediligeva me.
Però, dai, non mi dica che non invidia il nostro bel mondo asfaltato, con gli ammortizzatori, lo spinterogeno e il servosterzo… Non le sarebbe piaciuto viaggiare comodamente in Cinquecento?
Beh, un po’ sì. Però con il tettuccio apribile. Sa com’è, noi cavalli abbiamo un collo piuttosto lungo e sarei stato scomodo. Infilandolo attraverso il tettuccio, invece, mi ci vedrei davvero, con la criniera al vento, bianca e fascinosa. La Cinquecento mi sarebbe piaciuta rossa, come il mantello di Garibaldi, sì da poter andare in giro a chiedere di che colore è la mia Cinquecento rossa…
Secondo me è rossa!
Ultima domanda: se anziché Marsala l’avessero battezzata con un numero, quale le sarebbe piaciuto?
Forse Uno, ma uno è lui, il generale. Oppure Nessuno, ma anche lì c’è già quella vecchia volpe di Ulisse. Allora Centomila! Sì, Centomila mi sarebbe piaciuto un sacco. Però lo so che avrebbe preferito che avessi risposto cinquecento, allora le dirò proprio Cinquecento, così mi lascia in pace e se ne va.
ti consiglio un libro
Daniela Bastianoni – LA SEICENTO DI PAPÀ– il Castoro
Pare che chi non aveva la Cinquecento, in quegli anni avesse la Seicento e, cento più, cento meno, andava bene lo stesso. Ce l’aveva anche il babbo di Daniela, bambina milanese negli anni Sessanta, che racconta in un libro le sue avventure di quando era alta così, il cielo azzurro e le ginocchia sbucciate. E tra tante avventure non poteva mancare un viaggio in automobile, da Milano a Roma, che non è come andarci oggi, che in treno ci arrivi prima di pranzo se parti a colazione, o prima di cena se parti dopo pranzo… Un viaggio in Seicento che è una vera traversata, un piccolo giro del mondo o, per lo meno, del suo piccolo mondo.