Fax, ecco perché non siamo riusciti a liberarci di lui

Resiste negli uffici e in Giappone, dato che è pratico e veloce per inviare ideogrammi

Riporta ai primordi dell’informatica, da anni se ne predice la morte eppure è sempre lì, vivo e vegeto. È il fax, scatola antidiluviana che miscela stampante, scanner e modem ed è in grado di spedire una foglio A4 alla semplice pressione di un tasto. Il suo nome sarebbe telefax ma, come spesso accade in ambito anglosassone, l’abbreviazione lo ha superato.

Il dinosauro continua a vendere tanto che nel 2012 ne sono stati consegnati 37 milioni di esemplari in tutto il mondo. Una cifra enorme se si pensa che negli ultimi venti anni non c’è stato nessun avanzamento tecnologico degno di nota. Il motivo però è presto detto: il fax è un documento più formale dell’email, considerato come una prova documentaria ufficiale e legittima e molti studi di avvocati, medici, ospedali, università richiedono l’invio di documenti in questa forma. C’è poi un secondo aspetto: ancora non c’è un mezzo migliore per inviare pagine firmate: scannerizzarle e inviarle per mail è poco pratico e comporta molti più passaggi che firmare il foglio e premere un bottone.

E non è un caso se a ritardarne la morte annunciata c’è l’impegno del Giappone, paese avanzato tecnologicamente che però trova in questo strumento il sistema più pratico e veloce per inviare ideogrammi, sicuramente molto più rapido che digitarli su tastiera e spedirli da un computer. Non è un caso quindi se l’esplosione mondiale della macchina è partita proprio dal Sol Levante negli anni ’70 quando le tecnologie alla base del fax, modem, stampante e scanner, erano diventate abbordabili.

Per arrivare a quel punto il cammino è stato lungo. Le prime radici affondano nella metà degli anni Quaranta dell’Ottocento quando lo scozzese Alexander Bain sviluppa il telegrafo stampante. Simile a un grammofono, sfruttava una punta metallica attraversata da corrente elettrica per stampare i caratteri ricevuti tramite segnali morse su un disco di carta imbevuto di una soluzione di ferrocianuro di potassio. Uno studio che ha incentivato esperimenti simili in Francia e Germania ed è sfociato nel pantelegrafo, il progenitore del fax ideato dall’abate italiano Giovanni Caselli nel 1860.

Questa macchina elettromeccanica scansionava tramite un pennino il disegno impresso con inchiostro isolante su un foglio di stagno e lo inviava a distanza. La punta metallica che passava sulla placca apriva e chiudeva il circuito elettrico del pantelegrafo ricevente, lasciando passare corrente dove trovava l’inchiostro e interrompendola dove questo era assente. Il ricevente ne ripeteva i movimenti creando quindi una copia conforme del disegno o del messaggio inviato. A coordinare il tutto un pendolo alto due metri circa che ne scandiva l’attività permettendo che i due pennini si muovessero a tempo. Istallato fra Parigi e Amiens nel 1865, l’anno dopo aveva già permesso lo scambio di 4mila 800 dispacci fra le due città e fu usato fino al 1871. È curioso notare come i prezzi dei caselligrammi, come erano chiamati, non fossero a parola come nei telegrammi ma seguivano lo spazio occupato dal messaggio: dieci centesimi per dieci centimetri quadrati. Il bello è che il macchinario può ancora essere visto al Museo delle poste e telecomunicazioni di Roma e al Museo della scienza e della tecnologia di Milano.

 https://www.youtube.com/embed/IaCfs5Xb-EI/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

A cavallo tra Otto e Novecento l’Europa è in fermento: la neonata fotografia dà impulso alle ricerche per l’invio di immagini a distanza e spuntano perfino delle macchine che riproducono le firme, così da poter stipulare contratti a distanza senza doversi imbarcare in lunghi e pericolosi viaggi. Per arrivare a un primo sistema completo si deve però aspettare il 1929 quando in piena crisi l’inventore e ingegnere tedesco Rudolf Hell svela la sua Hellschreiber. Questa macchina robusta ed economica, suddivide ogni carattere di testo in pixel e li trasmette partendo dal pixel più basso seguendo il principio per cui un pixel nero dà luogo a un segnale sonoro, un pixel bianco a un silenzio. Una i, per esempio, dà luogo a una serie di segnali sonori che ne definiscono l’asta, si interrompe per segnare lo spazio tra l’asta e il puntino e riprende per segnare il puntino stesso. Poi s’interrompe di nuovo per passare allo spazio o alla lettera successiva. La ricezione è quindi sonora, una sinfonia composta dalla sequenza dei caratteri che vengono stampati dalla macchina ricevente su un nastro.

 https://www.youtube.com/embed/YLhWSb8pcB8/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

L’avvento dell’elettronica però sconvolge questo quadro e la protagonista è la Xerox, azienda americana che al tempo stava studiando tutti gli oggetti che avrebbero cambiato il panorama informatico come il computer desktop, l’interfaccia grafica a finestre e il mouse. Nel 1964 lancia sul mercato la Long Distance Xerography, o LDX, e due anni più tardi la più economica Magnafax Telecopier, una macchina di venti chili di peso che si connetteva alla presa telefonica e spediva un foglio formato A4 in sei minuti.

La relativa velocità e la qualità della riproduzione spingono i futurologi di allora a dipingere scenari che oggi fanno sorridere. Con l’avvento del fax, si diceva, non sarebbero più servite le enormi macchine da stampa, i distributori e le edicole. I quotidiani sarebbero dovuti arrivare nelle case, puntuali come un orologio. Ognuno poi avrebbe avuto un giornale personalizzato: visto che si abbattevano i costi per le infrastrutture, le redazioni avrebbero potuto investire di più sui giornalisti, sulla ricerca e il trattamento delle notizie. Eppure è curioso notare come c’è stato chi ha saputo sfruttare il fax come mezzo di comunicazione e proprio qui in Italia.

Negli anni ’90 del secolo scorso tra uffici, scuole, università e privati aveva iniziato a circolare minimum fax (scritto rigorosamente in minuscolo), rivista culturale fondata da Marco Cassini e Daniele di Gennaro che poi avrebbe dato i natali all’omonima casa editrice.

Ma torniamo agli anni ’70. Il macchinario che spedisce testi a distanza fa passi da gigante, negli anni ’80 diventa il simbolo di yuppie e dell’economia che va sempre più veloce ma la macchina rimane essenzialmente la stessa. Uno scanner ottico rileva i toni della pagina da inviare e tramite la linea telefonica li spedisce a una macchina simile posta dall’altra parte del mondo o nell’ufficio dietro l’angolo. Chi ne possiede uno può dire di essere arrivato in cima alla scala sociale e nell’ambito accademico lo scambio di studi e ricerche è diventato così dinamico da far pensare che il fax sia la risposta a tutte le domande. Con il calo dei prezzi si arriva a una diffusione virulenta tanto che dal 1983 al 1989 nei soli Stati Uniti i fax crescono da 300mila a 4 milioni e procedono a balzi da gigante.

Unico cambiamento di un certo rilievo avviene negli anni Novanta quando dalla stampa su rotoli di carta sensibilizzata al calore, simile a quella degli scontrini fiscali, si passa alle stampanti laser e a getto d’inchiostro che utilizzano carta comune. La rivoluzione non è da poco se si pensa all’abbattimento delle spese e alla più facile gestione degli uffici che così ordinano risme di A4 per ogni macchinario.

Contemporaneamente però nascono le prime minacce. Nel 1985 quando la californiana GammaLink svela Gammafax, una scheda per computer che permette ai calcolatori di comunicare con i fax, poi ci mette lo zampino l’email e infine le centinaia di applicazioni per smartphone che scansionano pagine A4 e le inviano attraverso decine di canali. È insomma l’inizio di una fine annunciata da tempo ma che dopo trent’anni sembra non essere ancora arrivata. 

Twitter: @AlessioLana

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter