Era il giorno otto del mese di giugno del lontano 1887, quando l’intraprendete Herman Hollerith, giovane ingegnere, si presentò all’ufficio brevetti con un cartoncino in mano, grande come una banconota da un dollaro, ma con dei buchi sparsi qua e là. Era una scheda perforata e quei buchi erano le risposte a molte domande da porre alla sua avveniristica macchina tabulatrice, inventata per rendere veloci e snelle le operazioni del censimento negli Stati Uniti d’America.
Era, quella macchina, il primo esemplare di computer, tanto che la piccola azienda che mise in piedi, per perforare schede e far di calcolo, allora si chiamava Tabulating machine company, ma ben presto cambiò nome in International business machine corporation, vale a dire l’Ibm.
il racconto
L’INVENTORE DELLE TABELLINE
Pitagora, quando era bambino, era un marmocchio felice e spensierato come capita a pochi. Pochissimi, direi.
Correva sorridente per i pascoli e le spiagge della Magna Grecia, cantando e recitando filastrocche. Andava a scuola tanto volentieri che la domenica gli pareva di annoiarsi. Follia!
Teneva incredibilmente in ordine la sua cameretta senza farselo dire mille volte dalla mamma e dopo cena aiutava persino a sparecchiare. Doppia, tripla follia!
Com’è questa storia? O c’è sotto un trucco oppure c’è qualcosa che non va.
Beh, mille e mille anni fa, quando Pitagora era bambino – tieniti forte – non esistevano le tabelline. Già, niente sette per otto e quattro per nove e credo che sarei stato altrettanto felice anch’io!
Poi, però, diventò grande un po’ troppo in fretta e, dimenticandosi ancora più in fretta della sua allegra giovinezza, da impertinente matematico le inventò lui, le malefiche tabelline.
Tutte. Nessuna esclusa. Anzi, semmai pure qualcuna di più. Ma non aveva proprio altro cui pensare?! Non poteva trovarsi una fidanzata?!! Non ho parole.
Non cominciò, però, dalla semplicissima tabellina dell’uno che – figurati – conosco pure io, per procedere con ordine via via con quella del due, del tre, del quattro, fino a quella del dieci, facile, facilissima pure lei. Pensò innanzitutto a una tabellina che ormai da anni non si studia nemmeno più. Non la sa la maestra né i professori coi baffi arricciati. Non la sanno all’università e nemmeno i più grandi premi Nobel. È l’incredibile, insospettabile, incalcolabile tabellina del niente.
Sì, dico sul serio, proprio la tabellina del niente! Nientemeno.
«Niente per zero fa niente!» Sentenziò, per cominciare col piede giusto. La cosa – parliamoci chiaro – pare un po’ truffaldina, perché lo sanno tutti che qualsiasi numero moltiplicato per zero fa zero tondo tondo pure lui, altro che niente!
Tutti, ma non Pitagora, né i suoi concittadini, visto che a quel tempo lo zero non era ancora stato inventato, fatto sta che nessuno intorno osò dargli torto, ma secondo me è proprio per questo che ormai questa tabellina si è estinta per bene.
«Niente per tre?!» Continuò lui, ispirato, mettendo in moto tutti gli ingranaggi del cervello. E di ingranaggi nella zucca ne aveva più di una locomotiva!
Certo, niente per tre non poteva fare tre, che quello è già tre per uno, ma non poteva fare nemmeno niente, perché quello era il risultato di niente per zero…
«Niente per tre fa…»
«Un po’!» Stabilì. E di nuovo nessuno si sognò di dire alcunché. Pitagora ormai aveva preso il via e in questi casi non lo si fermava più. Inutile, quindi, provare a cambiare discorso.
«E niente per quattro? Dunque… vediamo… ecco… ci sono!»
«Niente per quattro fa un po’ di più di un po’! – esclamò Pitagora – e niente per due, non si può sbagliare, fa un po’ di meno di un po’!»
Bravo Pit! Bravo davvero!
Allora niente per uno immagino faccia davvero pochino.
«E niente per cinque?! – si rabbuiò – potrebbe fare un po’ di più di un po’ di più…?» Nooo!
Come, no?!
«Beh, niente per cinque fa di sicuro abbastanza, perché è sempre bello sapersi accontentare!»
Caspita, Pitagora, ne sai una più del diavolo! E allora… niente per otto?
«Tanto! – Esclamò al volo, prendendo tutti in contropiede. – Molto! Assai!!!» E com’era bello trovare tre risultati diversi, eppure uguali!
Il bello è che non solo nessuno osava contraddirlo ma, al contrario, la gente cominciava ad appassionarsi e tutti stavano a bocca aperta in fremente attesa della prossima genialata. Niente per otto faceva tanto davvero, come dimostrato inconfutabilmente dal niente per nove che – è chiaro – fa tantissimo.
«Niente per dieci fa tutto! Non ci sono dubbi!!»
Pitagora ormai non stava più nella pelle, era esaltatissimo e trasmetteva in tutti un tale entusiasmo che si pensò di festeggiare per tre giorni e tre notti. Ma di tempo da perdere non ce n’era proprio, quindi Pitagora continuò come un fiume in piena, dimostrando carte alla mano che niente per undici fa…
Indovina?
«Troppo!!!» E lo strillò con tre punti esclamativi, messi in ordine uno accanto all’altro.
Decisamente Pitagora in matematica era il migliore della classe.
D’un tratto, però, si azzittì e si fermò a guardare nel vuoto. Il silenzio fu immediato. Anche il sole in cielo venne velato da una nuvola. Forse qualcosa non andava? Nessuno, davvero, voleva rovinare la splendida giornata resa storica dalla favolosa intuizione della tabellina del niente, però…
Però Pitagora intanto si era fermato e stava pensando a non so cosa.
«E… – si chiese – e niente per niente?»
Già, e niente per niente?
Tra la gente intorno a lui nessuno pareva in grado di abbozzare una pur minima soluzione e già ogni proposito di festeggiamento era stato rimesso nel cassetto.
Orpo, peccato!
«Niente per niente – borbottò infine Pitagora – fa…»
«nessuno!»
Ma il silenzio intorno a lui non si incrinò minimamente, che davvero la soluzione trovata era assai difficile da capire. Come sarebbe: nessuno?! Che numero è, nessuno?!
«Certo – spiegò lui con pazienza – niente per niente fa nessuno, perché nessuno, non c’è dubbio, fa niente per niente!»
«Ma questa – continuò – non è matematica: è filosofia!»
la fotografia
© NASA
Parrà strano, ma il cosmonauta Yuri Gagarin, primo uomo a volare nello spazio, non aveva un computer a bordo della sua navicella. Però non doveva nemmeno farsi una passeggiata spaziale o agganciarsi lassù con qualche altro mezzo orbitante: un giretto e nulla più e per quello erano sufficienti i comandi manuali.
Non così fu per gli astronauti del progetto Gemini, nel 1965, che per primi portarono in orbita un vero e proprio computer. Ma i computer di allora erano grandi come armadi… la sfida fu realizzarne uno talmente piccolo, da entrare nella navicella senza ingombrare troppo. Sfida vinta con un aggeggio di diciannove pollici e una memoria di 159.744 bit. Gli astronauti Grissom e Young avevano comunque l’ordine di non badare al computer di bordo, se i loro calcoli a mano fossero risultati sensibilmente diversi. Per questo, al ritorno, caddero sulla Terra a sessanta miglia dal punto stabilito… avessero dato retta al marchingegno sarebbero arrivati puntuali nel punto giusto.
il video
Non ce n’è uno, dotato di pollice e polpastrello, che non abbia trascorso almeno un minuto a giocare a un videogame. E di giochi elettronici ormai ce ne sono chissà quanti, iperrealisti, spettacolari, stracolmi di effetti speciali. Ma mezzo secolo fa non era del tutto così e i giochi sul monitor parevano mirabolanti e funambolici anche se in bianco e nero e con pochi, semplicissimi elementi. Ma vorrei essere stato io, nei panni di Ralph Baer, a raccontare al mondo il funzionamento del suo futuristico ping-pong, uno dei tanti giochi che ideò per la sua invidiabile console.
la pagina web
C’è chi pensa che il computer sia il simbolo stesso del futuro e che un museo sia quello del passato e non è detto che abbia torto, finché non si scopre il museo del computer e si va in corto circuito. Ma la scintilla che s’accende accende subito anche te e tra il passato del futuro e il futuro del passato non resta che perdersi a metà strada tra nostalgia e immaginazione, tra tecnica e fantascienza. E il fatto che il museo del computer lo si visiti proprio attraverso un computer è solo la ciliegina sulla nostra torta digitale, fatta di panna e byte.
i nostri eroi
Si chiamava Eniac il primo computer multifunzione della storia e la sigla stava per Electronic numerical integrator and computer. Era da poco finita la seconda guerra mondiale e gli scienziati J. Presper Eckert e John Mauchly, dell’Università della Pennsilvania, lavorarono alacremente per più di settemila ore a testa per portarlo a termine ma, il giorno della presentazione in pompa magna, quel trespolo vinse ogni record e moltiplicò un numero di cinque cifre per se stesso la bellezza di cinquemila volte in meno di un fantasmagorico secondo. Non è chiaro se qualcuno si sia mai assunto l’ingrato compito di fare la prova del nove, anche perché l’energia spesa fu talmente tanta e tutta insieme, da causare un black out nell’intera città di Philadelphia.
Fu quello il primo computer superstar della storia e – va detto – era anche difficile non notarlo, grande e grosso com’era: pensa che occupava una stanza grande come un’area di rigore e pesava come una enorme balena megattera.
Si chiama Michael Okuda il creatore di un computer celebre e popolare, fascinoso e desiderato, che nessuno mai ha posseduto né utilizzato, se non nei sogni, a occhi chiusi o aperti poco importa.
Era il direttore artistico della superserie televisiva Star Trek, Okuda, e a lui dobbiamo una piccola parte della nostra immaginazione, soprattutto quando si tratta di fantascienza. A lui e alla sua, di immaginazione, dobbiamo quindi anche l’esistenza di Lcars, computer comparso a bordo della Enterprise dalla serie Star Trek – the next generation in poi e beato il capitano Kirk, che ci poteva giocare…
Qualche smanettone ci provò comunque, a ricreare schermate come quelle e qua e là nella rete si trovano anche delle interfacce molto spaziali, funzionanti anche sul pianeta Terra, che i trekker più incalliti chiamano okudagrammi.
Nessun dubbio che sia Walt Disney l’inventore del topo più famoso della storia, ma c’è anche un tal Douglas Engelbart, che quanto a topi arguti e intriganti non era certo da meno. Ma non di un topo di carta, si tratta, né di un roditore in pelliccia, bensì del mouse, quello del computer, che magari stai utilizzando anche tu in questo momento.
E cosa sarebbe un computer senza mouse? Come faremmo a muovere i puntatori a forma di freccia, di mano o di quello che vuoi? Come faremmo senza pulsante destro e sinistro e senza doppio click?
Grazie a Disney, quindi, per la sua fantasia, ma supergrazie all’ingegner Engelbart, grazie al quale dal 1967 anche noi possiamo folleggiare a ritmo di mouse!
quattro domande a…
… Leonardo Fibonacci
Signor Fibonacci, lei che con quel suo nome altisonante passa per essere uno dei padri delle cosiddette scienze esatte, matematica compresa, come faceva, che non aveva il computer?
Effettivamente mancavano quei settecento anni all’invenzione del calcolatore elettronico e non mi andava di aspettare così a lungo, quindi ho fatto da me. Ma la vera domanda è come avrebbero fatto a inventare il computer, senza le mie belle scienze esatte, matematica compresa, non crede?
Domanda esatta, è il caso di dirlo. E se avesse avuto un computer già allora, chissà quante ne avrebbe combinate…
Probabilmente mi sarei appassionato al Pac-Man e avrei trascorso pomeriggi interi a inghiottire puntini e a scappare dai fantasmi. E se non avessi avuto il Pac-Man credo proprio che lo avrei inventato. Che mondo sarebbe senza?!
Un po’ come un mondo senza la sua sezione aurea, immagino.
Le svelo un segreto: questa cosa della sezione aurea all’inizio per me era arabo. Non ci capivo un cavolo. Un po’ come la radice quadrata di un numero grande così. Il trucco, allora, fu di utilizzare i numeri arabi, anziché quelli romani, e il gioco funzionò che era un piacere. Tutti, dall’uno al nove, più quello zeffiro d’uno zero.
Già. Senza numeri, oggi saremmo senza computer…
E la tastiera avrebbe dieci tasti in meno. Comunque è vero: con i numeri e senza computer in qualche modo ce la caviamo. Senza numeri no. Che ore sono? Quanti anni hai? Quanto dura l’intervallo? Quanti merli sono sul ciliegio se gli altri volano via? No, no, molto meglio averli, i numeri. Meglio averli che darli, questo è sicuro. E al giorno d’oggi è anche molto meglio avere il computer!
ti consiglio un libro
Lewis Carroll – UNA STORIA INGARBUGLIATA – Astrolabio
Non ebbe bisogno di computer, Lewis Carroll, quando scrisse la sua magnifica Alice nel paese delle meraviglie, ma se ce l’avesse avuto chissà se le meraviglie sarebbero state diverse oppure no… Da bravo matematico, oltre che scrittore, avrebbe forse gradito una meraviglia di computer ultramoderno e, chissà, magari avrebbe poi intrigato e tramato racconti numerici e logaritmici. E probabilmente si sarebbe anche ingarbugliato un po’, come in questi dieci racconti, che sono dieci meravigliosi garbugli dove ingarbugliarsi in allegria.