“Il Caimano Berlusconi, attore prigioniero del potere”

Elio De Capitani, attore ne “Il Caimano”

Sette anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il Caimano è profeticamente condannato a questa pena da Nanni Moretti nel 2006 prima che dai giudici di Milano l’altro giorno. A interpretare Berlusconi (in una delle sue varianti: anche Moretti prendeva la sua identità nel film) c’era Elio De Capitani, grande protagonista del nostro teatro, guida artistica dell’Elfo Puccini di Milano.

De Capitani, cosa ricorda de “Il Caimano”?
Quando abbiamo iniziato a lavorare sul personaggio, Nanni non faceva che ripetermi “non puoi, non devi identificarti con quello lì!” (De Capitani fa un’imitazione perfetta di una sfuriata di Moretti, ndr). Io però gli rispondevo che avrei dovuto ritrovare i punti deboli di Berlusconi in me stesso. Perché in fondo ha i difetti di un cattivo attore, che continua a recitare “io io io” nell’illusione, nell’ansia di graffiare il mondo, lasciare un’impronta. Il potere è la recita di una menzogna, che cela però la cattiva coscienza di tutto un popolo. Ognuno di noi quanti piccoli Berlusconi ha incrociato, persone che pensano esattamente come lui, senza averne i mezzi, senza averne l’intraprendenza, nemmeno la spregiudicatezza, a qualsiasi livello di comportamento: chi mai andrebbe in giro, anche tra i suoi sostenitori intendo, con tutto quel cerone in faccia, quella capigliatura così smaccatamente finta, chi reggerebbe una manifestazione di sé così spudoratamente falsa? Berlusconi è un’incredibile rappresentazione di auto-indulgenza.

Cosa l’ha colpita di più di lui?
Il modo in cui si è presentato in politica, imparai a memoria subito il suo discorso sull’ “Italia è il paese che amo”. Un pezzo strepitoso, che io leggo come una riscrittura del monologo di Riccardo III quando il sindaco di Londra gli offre la corona: accetta dicendo che “è costretto a farlo”, che deve farlo a prezzo di un sacrificio personale. Anche Berlusconi diceva così. È Shakespeare mascherato molto bene.

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Da un presidente all’altro: lei sta lavorando al primo allestimento italiano di “Frost/Nixon”, il lavoro di Peter Morgan che è stato pure un film di successo. Interpreterà l’ex presidente americano, anche lui travolto dallo scandalo, forse il più celebre scandalo politico del Novecento. Che idea si sta facendo di Nixon?
Che è un italiano mancato! Caratterizzato da una certa logorrea, segnato da una certa idea di impunità legata all’esercizio del potere: Nixon proprio a Frost, cercando di giustificare le sue azioni, dice quella frase grande e terribile: “Se lo fa il Presidente, non è illegale”. Inoltre Nixon vive soprattutto un’ansia davvero patologica di piacere agli altri, col fantasma di Kennedy sempre sulla spalla, “non capisco perché ce l’abbiano tutti con me… Kennedy ha fatto più morti di me nelle guerre, ha lavorato la metà di me, eppure lei è un mito e io un mostro, lui si scopa qualsiasi cosa che si muove e a me suda continuamente il labbro, lui è amato dal mondo intero e io disprezzato da tutti”… Non superò mai questo complesso. Perché si può anche salire al potere massimo, ma ci si arriva con tutti i propri difetti, e non c’è alcuna grandezza nei difetti. Ecco perché ogni potere può essere smascherato, anche il più terribile e assoluto. Ho visto l’altro giorno un documentario su Hitler, una delle figure chiave del Novecento, così indecentemente modesta, piccola, modesta… Un uomo piccolo, quando non è nessuno, può anche fare tenerezza, come Willy Loman della “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller, l’altro testo che porterò la stagione prossima sulla scena. Anche Willy è ossessionato dall’ansia di piacere, di cogliere il successo, di realizzare nella sua esistenza il sogno americano. Ma soccombe: Willy è un uomo piccolo che non ce la fa. Proviamo dispiacere per il suo destino. Però è bene tener presente che un uomo piccolo come lui, se avesse potere, sarebbe capace di compiere cose terribili.

All’estero, soprattutto nel mondo anglosassone, si scrivono e producono molte opere che analizzano il potere trattando di figure reali della politica. Per stare a Morgan, ha scritto addirittura una trilogia su Blair (“The Queen”, “Frost/Nixon” e “I due presidenti”, ndr). Perché in Italia questo non succede?
Al di là di timidezze italiane verso il potere che pure possono esserci, direi che la questione è tecnica: in Inghilterra e negli Stati Uniti c’è una straordinaria e continua produzione drammaturgica, spinta da un’attenzione tradizionale alla scrittura e da un interesse forte del pubblico, che vuol vedere opere nuove allo stesso modo in cui vuole vedere film nuovi. Il teatro è vissuto come arte contemporanea, che è quello che cerchiamo di fare noi all’Elfo: “arte”, e quindi non attività puramente commerciale di vendita di spettacoli, per quanto il nostro botteghino vada benissimo; e “contemporanea”, cioè qualcosa che sta nel proprio tempo e prova a raccontarlo. Il teatro non può essere un rito sociale, un evento mondano; ma dovrebbe essere un rito civile. Non dimentichiamo che il teatro e la democrazia sono pur sempre nati nello stesso luogo, la Grecia, e nello stesso tempo. Dovremmo sempre ricordarcelo, soprattutto noi che facciamo teatro, intendendo la nostra professione come impegno pubblico, concreto nella società.