A dirlo chiaro e tondo per la prima volta era stato, nel 2010, il Financial Times: « La dura realtà è che il destino dell’Italia appare sempre più legato a quello della Spagna». Negli ultimi tempi le sorti economiche dei due Paesi hanno vissuto percorsi paralleli, tra febbrili aumenti del differenziale di rendimento fra i loro titoli di stato e quelli tedeschi e sorpassi e controsorpassi nell’andamento delle proprie emissioni obbligazionarie.
Certo, alla Moncloa, sede del governo spagnolo, le cifre sono più pesanti che a palazzo Chigi. E i tagli alla spesa pubblica sono parecchio ingenti. I mercati continuano a tenere Madrid sotto pressione, tant’è che ogni passo fatto verso la stabilità sembra comunque troppo corto, nonostante il riordino delle strutture socioeconomiche dettato dall’Ue.
Cause diverse
In Spagna la recessione è arrivata sotto forma di ladrillo (mattone). La bolla del mercato immobiliare che, dal 2004 al 2008, ha vissuto una grande espansione. Sgonfiatasi rapidamente, l’onda ha investito i prestiti in uscita delle banche, trascinando i loro bilanci in rosso e costringendo il Paese ad attingere dal Frob (Fondo di ristrutturazione bancaria ordinata) 41,3 miliardi a fronte dei 100 che l’Eurogruppo aveva messo a disposizione quasi un anno fa. Da allora Madrid è alle prese con una crisi che si avvita: forte recessione, tasso di disoccupazione più alto d’Europa e un rapporto deficit/Pil al 6,7 per cento.
In Italia il problema riguarda, oltre alla spesa, l’enorme debito pubblico che giusto un paio di giorni fa ha segnato un nuovo picco: 2.041,3 miliardi di euro. L’andamento dell’economia e la recessione ha travolto giovani, occupati e piccole e medie imprese.
Conseguenze simili
Se le cause della recessione nascono e si sviluppano in maniera diversa, non c’è dubbio che Madrid e Roma siano invece accomunate dalle conseguenze. La prima fonte di preoccupazione è diventata la disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Il premier Enrico Letta lo ha detto lo scorso venerdì ai ministri Ue: «Non c’è più tempo». Al vertice di Roma (fra Italia, Spagna, Francia e Germania) si è parlato di lavoro, formazione e mobilità per migliorare l’incontro tra domanda ed offerta. Ma la discussione alla fine è stata focalizzata sulle imprese, che nella stretta creditizia fanno fatica ad offrire occupazione e a mantenere quella che c’è.
La disoccupazione tra i ragazzi aumenta giorno dopo giorno: a fronte della Spagna che registra un 56,4 per cento di giovani disoccupati (il tasso complessivo ha raggiunto quota 27% con sei milioni di senza lavoro, anche se negli ultimi tre mesi il dato è calato), l’Italia corre dietro a Madrid con una crisi lavorativa giovanile che ad aprile – lo dicono i dati dell’Istat – sale ai massimi da 36 anni, con un tasso di senza lavoro che si conferma sopra quota 40 per cento. L’Italia si attesta dunque come il Paese dell’Eurozona – eccetto la Grecia – più vicino ai tassi di disoccupazione giovanile iberici.
D’altra parte il fallimento della piccola e media impresa è un tema con cui i due Paesi stanno facendo i conti già da parecchio tempo. La lenta perdita dell’industria made in Spain ha toccato i minimi storici: dal 2007 hanno chiuso oltre 234 mila aziende, cioè 180 ogni giorno, secondo le ultime stime del ministero del Lavoro. Il mercato nel Paese iberico è crollato, lasciando a casa ogni giorno in media duemila persone. E la chiusura delle imprese, a causa della recessione sempre più incisiva, non sembra voler cessare. Nemmeno per le grandi multinazionali.
In Italia il 2012 è stato l’anno più difficile per le aziende: tra fallimenti e liquidazioni sono state 104 mila le imprese che hanno chiuso battente dall’inizio della crisi, secondo gli ultimi dati diffusi da Cerved-Group. Ventimila solo nel Nordest, con un picco dei fallimenti che supera del 64 per cento il valore registrato nel 2008, l’ultimo anno pre-crisi.
Nel grafico l’andamento del rendimento dei titoli di stato decennali di Italia e Spagna fra il Novembre 2011 e il Dicembre 2012 (Fonte: lavoce.info)
Tra i problemi sociali più discussi,accanto al lavoro, a Madrid c’è senza dubbio la casa. Tra il 2008 il 2012 in Spagna sono state sfrattate per morosità oltre 400mila famiglie. Una cifra che continua a crescere e un dramma che ha spinto diverse persone a togliersi la vita. Le vicende legate al problema casa sono molto complesse e costituiscono una delle questioni più spinose in Spagna. Tant’è che, per arginare parzialmente la cifra record di pignoramenti, lo scorso 10 marzo è entrato in vigore un decreto legge del governo Rajoy che paralizza per due anni gli sfratti delle famiglie più deboli e limita gli interessi di mora.
In Italia la questione entra in agenda forse per la prima volta con il “decreto del fare”, approvato dal penultimo consiglio dei ministri. Tra i provvedimenti adottati l’impignorabilità della prima casa e la possibilità di beneficiare della rateizzazione del debito contratto con Equitalia in maniera più estesa rispetto al passato.
Perfino sulla crisi dell’editoria Spagna e Italia hanno registrato lo stesso trend. Proprio quando a Roma tornava in auge il dibattito sul finanziamento pubblico ai giornali, la stampa iberica vacillava. E i due colossi dell’informazione El País (Prisa) ed El Mundo, (Rcs/Recoletos) chiudevano il bilancio in rosso.
Solo a Madrid nel 2011 sono stati licenziati 2.663 giornalisti e chiuse 51 aziende editoriali. L’anno dopo il quotidiano d’opinione Público dichiarava bancarotta. I dati dell’Osservatorio della Fape sono in costante peggioramento: 10mila giornalisti inattivi e più di 6mila licenziamenti, a cui si devono aggiungere i prepensionamenti e le migliaia di «mileuristas», redattori stipendiati a non più di mille euro.
Anche l’editoria italiana, già in crisi profonda, dava segni di cedimento. Il quadro è stato presentato pochi giorni fa dal rapporto La stampa in Italia 2010-2012 della Fieg: calano ricavi, pubblicità, copie vendute e per la prima volta anche i lettori (calcolati in modo disgiunto rispetto alle copie vendute). L’occupazione giornalistica è in forte flessione. Nel 2012 nei quotidiani è diminuita del 4,6 per cento, nei periodici dell’1,4 e nelle agenzie di stampa del 9,6. Senza contare lo stato di crisi in cui versano i più grandi quotidiani nazionali e la delicata situazione di Rcs, alle prese con una ricapitalizzazione da una parte e la vendita di una parte dei periodici dall’altra.
Le emergenze rimbalzano da un Paese all’altro. Se lo scorso ottobre era la Cruz Roja a lanciare per la prima volta nella storia del Paese iberico una campagna per combattere la crescente povertà, adesso perfino Emergency, dopo Palermo e Marghera, raddoppia gli ambulatori in Italia per i più bisognosi.
«In entrambi i Paesi l’economia reale è peggiorata», spiega a Linkiesta Stefano Gatto, bocconiano di formazione e diplomatico Ue, legato alla Spagna – dove ha vissuto a lungo – e autore di Italia-Spagna: destini paralleli? L’insopportabile leggerezza dell’essere latini nel mondo globalizzato.
«I disagi sono chiari: il circuito bancario si è bloccato, le imprese licenziano e chiudono, i giovani hanno contratti di lavoro precari. Ma questa crisi ha solo accentuato una situazione che già esisteva. Inserirsi nel mondo del lavoro per i giovani spagnoli e italiani è sempre stato difficile a causa delle strutture sociali sottostanti. In fondo, come dico sempre, l’Italia è una Paese che funziona ancora in verticale in un mondo che è diventato totalmente orizzontale».
La Spagna, racconta Gatto, «ha saputo approfittare meglio dell’Italia della sua collocazione europea e dei relativi fondi,ma ha commesso l’errore di trasformarsi esclusivamente in un’economia di servizi». «Il punto di forza dell’Italia, che invece è meno esposta alla congiuntura finanziaria internazionale, è l’esistenza di una base produttiva da cui ripartire, ma ciò sarà possibile solo nel momento in cui riesca finalmente a riformare un sistema di rappresentanza politica».
Insomma non solo ci sono troppe persone sbagliate al posto sbagliato ma, a differenza della Spagna, in Italia non c’è stato alcun boom economico che abbia poi generato speculazioni o errori di mercato: «Noi siamo in decadenza da trent’anni e l’attuale crisi l’ha solo reso evidente a tutti», conclude il diplomatico.
«Di certo ogni crisi si manifesta in maniera diversa in ogni Paese», spiega a Linkiesta Juan Ramón Rallo, professore all’università Rey Juan Carlos e all’Isead business school di Madrid, che da sempre ha contestato il prestito concesso alle banche spagnole secondo l’assioma «più debiti, più squilibrio».
«Non credo che l’Italia stia bene, gli squilibri sono evidenti. Spagna e Italia hanno molto in comune in questo, ma credo che economicamente l’Italia abbia ancora un punto a favore. La Spagna ha certo meno debito pubblico, ma se non verranno prese delle misure politiche diverse – e finora non è successo – tra tre o quattro anni le casse di Madrid saranno indebitate tanto quanto quelle di Roma». Il punto però è sempre lo stesso. E vale per entrambi i Paesi: «i governi stanno perdendo tempo», ribadisce l’economista iberico. Anche in questo, Italia e Spagna vanno a braccetto.
Twitter: @daenerys14