Sentinella, a che punto è la notte? Sullo stato del cinema italiano arriva l’analisi, puntuale come sempre, del “Rapporto sul mercato e l’industria” della settima arte a cura della Fondazione Ente dello Spettacolo, presieduta da monsignor Dario Edoardo Viganò, che è anche direttore generale e segretario del cda del Centro televisivo vaticano. Lo studio, che elabora i dati del 2012, restituisce un quadro indubbiamente di crisi, in linea con l’economia generale del Paese, ma con qualche spunto sorprendente.
Per esempio, l’ultimo anno è stato il più produttivo di sempre: ben 166, di cui 129 opere di produzione interamente nazionale e 37 coproduzioni. Al maggior volume di prodotti corrisponde una raccolta di capitali di investimento molto consistente, pari a 493,14 milioni di euro, il più ricco ammontare degli ultimi cinque anni e il terzo di ogni tempo. Di questo ammontare solo il 5,64 è contributo pubblico (27,85 milioni di euro).
Sono numeri che restituiscono senza dubbio una buona produttività dell’apparato, anche se occorre bilanciarli con il loro controcanto, che segna purtroppo una criticità diffusa: nel 2012 gli incassi nelle sale cinematografiche sono diminuiti del 7,95%, dopo il calo del 17,1% registrato nel 2011; il 41,1% delle aziende del settore ha registrato un calo sia dei ricavi che dell’utile; dal 2008 al 2012 si sono dimezzati gli investimenti dei network tv sulle fiction.
E non va dimenticato il contesto internazionale, che ci racconta di come la Cina sia diventato il secondo mercato cinematografico al mondo, dopo gli Stati Uniti con 2 miliardi di euro di incassi; dell’India che è al primo posto al mondo per presenze (2,7 miliardi) nonostante acceda alle sale solo il 4% della popolazione, mentre Bollywood apre studios anche in Europa a Londra; dell’Australia che entra stabilmente nella top ten degli incassi mondiali, mentre il Brasile irrompe in quella degli ingressi; e di quanto stiano arretrando le cinematografie europee, le quali hanno risultati positivi solo sul parametro delle reti di sale e schermi (la Francia conferma la sua leadership nel Vecchio Continente su tutti i fronti).
Indubbiamente il quadro è complesso. E non aiuta il contesto legislativo, che è sempre basato sulla provvisorietà degli interventi. Giustamente si ricorda come il tax credit sia stato una vera manna per il nostro cinema, dal momento che gli ha dato ossigeno sul fronte degli investimenti. Il fatto è che solo in questi giorni il governo ha disposto il rinnovo delle agevolazioni fiscali fino al 2014-2015, poi si vedrà.
È chiaro che il comparto, che necessita di una strategia a lungo termine, ha difficoltà a radicare la sua ripresa con questa precarietà delle leve offerte. Sarebbe ora, sostiene giustamente Nicola Borrelli, Direttore Generale Cinema del Ministero dei Beni culturali, presentando il rapporto all’Università Luiss di Roma, che l’Italia assumesse una linea chiara da seguire, a partire dal tema della “eccezione culturale”: «Il problema non sono tanto gli strumenti o le risorse da metter in campo, ma la linea. Finora abbiamo scelto un po’ sì e un po’ no, e invece serve chiarezza. Per dire: è importante che un popolo preservi e tramandi la propria identità culturale anche attraverso l’audiovisivo? Io penso di sì, come la pensano anche in Francia. Ma allora bisogna andare fino in fondo. L’eccezione culturale non è statalismo, ma un progetto forte, serio, economicamente efficace. Leggo sui giornali certi soloni che spiegano come al contrario occorra affidarsi solo ai meccanismi di mercato. Bene, ma anche lì allora bisognerebbe agire di conseguenza e creare un mercato davvero libero, senza situazioni di privilegio. Per esempio solo da noi le televisioni hanno queste mini-major che si occupano di produzione e distribuzione. Altrove il quadro è assai più chiaro e semplice: le televisioni finanziano il cinema con il preacquisto».
Dal canto suo, Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema, chiede «maggiore certezza delle forme di finanziamento» e soprattutto «più attenzione al copyright, siamo uno dei pochi paesi al mondo in cui la pirateria non si riesce a combatterla: a questo punto si deve pensare che manchi una volontà politica».
L’impressione è che ci sia una diffusa sottovalutazione delle possibilità offerte dal settore, almeno a giudicare dalle parole di Stefano Antoniozzi, che per Banca Monte dei Paschi di Siena segue i progetti di sostegno cinematografico: «È simpatico ma effettivamente un po’ strano che Mps sia venuta a sapere della possibilità di business nel cinema durante una cena conviviale. La comunicazione non è perfetta e si dovrebbe coinvolgere di più e meglio i privati. Noi dal canto nostro stiamo cercando di sollecitare l’interesse anche di nostri clienti nella produzione, dando loro le opportune garanzie sui progetti da finanziar».
Il 2013 sarà un anno cruciale per il nostro cinema sul versante della distribuzione. Al 31 dicembre prossimo è infatti fissata la definitiva sostituzione della proiezione in pellicola a favore di quella digitale. Finora siamo al 60% di copertura, ma ci sono ancora 800-1.000 monoschermi che dovranno affrontare la digitalizzazione, passaggio evidentemente molto oneroso visti i costi dei proiettori.
E qui potrebbero esserci i problemi. Spiega Lionello Cerri, presidente dell’Associazione nazionale esercenti cinema: «Si tratta per lo più di ditte familiari, cooperative, associazioni di volontariato, che operano nei paesi o nelle piccole città e che hanno un ruolo sociale molto forte». Sarebbe un grave danno culturale se venisse a mancare la loro presenza. In ogni caso va ripensata anche la fruizione della sala. I dati ci raccontano che diminuiscono gli impianti (-148 unità, corrispondenti al 12,43%) ma è cresciuto il numero degli schermi del 6,78% (+177 unità) mentre l’attività di programmazione è più che raddoppiata. La frontiera è puntare sui contenuti aggiuntivi, favorire l’integrazione tra sale e social media coinvolgendo gli utenti nella programmazione, e migliorare l’accessibilità, offrendo servizi ai portatori di disabilità.