Dallo scorso febbraio la European Banking Authority (Eba) sta discutendo la possibilità di introdurre un tetto ai piani di stock option (1) per i manager dell’industria bancaria nei 27 paesi dell’Unione. L’accordo sembra essere prossimo nonostante l’opposizione dei rappresentanti degli executive bancari.
In concreto l’Eba prevede di limitare il peso della remunerazione variabile per i manager fissando un tetto per le stock option pari al 100% della remunerazione fissa per compensi superiori a 500.000 euro. Il limite potrebbe al massimo raddoppiare (200%) nell’ipotesi in cui gli azionisti approvassero uno schema per la remunerazione differente.
Come è facile immaginare, i manager accettano malvolentieri questa misura. Martin Wheatley – il capo della Financial Conduct Authority (agenzia che regola il settore dei servizi finanziari) – ha già paventato la possibilità di un incremento sostanziale della componente fissa della remunerazione dei manager per “compensare” i mancati introiti della parte variabile. In sostanza, i manager non intendono rinunciare alla loro remunerazione che potrebbe trasformarsi da variabile in fissa.
La domanda di fondo resta: quanto è utile porre un limite alla remunerazione dei dirigenti? Per giudicare l’efficacia del tetto che intende imporre l’Eba è necessario analizzare le prime evidenze empiriche. Senza dover attendere tanto, appare evidente che la questione meriti una riflessione per valutare quali siano gli interessi in gioco e i potenziali rischi.
Storicamente la teoria economica ha sostenuto il principio di pay-for-performance, secondo il quale gli incentivi monetari servono motivare gli agenti a fare meglio. Purtroppo l’evidenza empirica e una serie di aneddoti – specie nel periodo post crisi finanziaria del 2008 – non supportano appieno queste teorie.
Infatti, se questa predizione fosse sempre corretta, i manager con incentivi finanziari più elevati avrebbero maggiore interesse a creare valore. Quindi, in teoria remunerazioni superiori dovrebbero riflettere una migliore performance aziendale – ma non sempre è così. “Pay without Performance” , il libro di Lucian Bebchuk e Jesse Fried, documenta ampiamente le distorsioni nella remunerazione dei manager, indicando tra le cause principali il potere incontrastato dei Ceo, a cui spesso si contrappongono board deboli (2).
Negli ultimi anni numerosi studi aiutano a comprendere meglio le dinamiche dei meccanismi di remunerazione: come funzionano? In quali circostanze falliscono?
Ricerche in psicologia, economia sperimentale e management aiutano a sfatare miti consolidati sul tema della remunerazione degli executives. Innanzitutto è fuorviante ritenere che un gruppo ristretto di manager sia il principale responsabile della performance di imprese enormi, impegnate in diverse linee di business e altrettante aree geografiche, e spesso soggette a forte regolamentazione; più frequentemente di quanto non si creda i risultati dipendono in realtà da variabili non necessariamente controllabili dai manager.
Inoltre i numerosi lavori di Bruno Frey dimostrano che il meccanismo degli incentivi monetari non è efficace in tutte le circostanze: la motivazione intrinseca ed estrinseca sono entrambe rilevanti per migliorare la performance individuale – e soprattutto funzionano in maniera opposta. Gli incentivi monetari (estrinseci) sono meno rilevanti quando la funzione ricoperta è difficile o molto stimolante poiché il senso di realizzazione rappresenta già una importante remunerazione per l’individuo (motivazione intrinseca); viceversa lo diventano di più quando il lavoro è noioso e insoddisfacente.
Infine, il ruolo simbolico della remunerazione e dello “status” dei top manager è spesso ignorato quando si cerca di comprendere le dinamiche ai vertici delle aziende. Oltre 15 anni di ricerca dimostrano che i meccanismi di nomina e remunerazione dei manager hanno una forte componente simbolica anziché riflettere unicamente il reale legame con la performance aziendale. In altri termini, vista l’accettazione sociale con cui si consente ai manager di ottenere guadagni notevolmente superiori a quelli di altri lavoratori, il compenso elevato diventa un “segnale” di appartenenza a un certo gruppo di potere: quello che Myles Mace nel 1972 definì con straordinaria efficacia Old Boys’ Club.
Alla luce di questi studi, sorgono dubbi circa la necessità e sulla reale efficacia dei meccanismi di remunerazione largamente diffusi. Se da un lato bisogna stare attenti a liquidare le stock option come un meccanismo inefficace (ad esempio, nelle imprese imprenditoriali, come le start-up o quelle che operano nel settore dell’Ict il mix di remunerazione fissa, variabile ed equity, sembra garantire risultati migliori), dall’altro appare evidente che tali compensi possono talvolta rivelarsi eccessivi e immeritati.
Come arginare questo problema? É percorribile una strada alternativa rispetto alla proposta recente dell’ Eba? Negli ultimi 18 mesi in Svizzera e in Australia – due democrazie liberali – hanno fatto scelte simili: incrementare il potere di vigilanza degli azionisti, riducendo simmetricamente il potere del CdA.
A marzo in Svizzera un referendum votato da 68% dei cittadini ha attribuito agli azionisti un potere di veto sulla remunerazione dei propri manager (e del CdA). L’Australia si è spinta addirittura oltre introducendo – a partire dal 2012 – la two strikes rule una legge che consente al 25% degli azionisti (una minoranza dunque) di rigettare il piano di remunerazione dei top manager, seppur precedentemente approvato dal CdA. Nell’ipotesi di due ‘rifiuti’ consecutivi, il CdA stesso sarebbe sottoposto a un voto di fiducia con cui il 50% degli azionisti potrebbe licenziare l’intero consiglio.
Infine, uno sguardo all’Italia: cosa succederebbe ai compensi dei manager bancari se fosse introdotto il tetto? A giudicare dalla struttura dei compensi degli amministratori delegati dei primi 10 istituti di credito (per totale dell’attivo al 31.12.2012), l’effetto sarebbe quasi nullo: infatti su un compenso medio percepito di 1,3 milioni, meno del 15% (circa 192.000 euro) sono stati erogati sotto forma di remunerazione variabile.Fonti: Relazioni sulle remunerazioni
Qual è la scelta migliore dunque? È più efficace una regolamentazione hard, come imporre un tetto alla parte variabile dei compensi, sulla falsariga dell’Eba? Oppure si dovrebbero attribuire maggiori funzioni di controllo agli azionisti svuotando di potere i CdA? In realtà, come sembrano suggerire gli studi recenti, entrambe le soluzioni rischiano di essere inefficaci, almeno fin quando la sovrapposizione e la commistione tra (grandi) azionisti, i consiglieri di amministrazione e i manager sarà così estesa: si tratta rompere il “tetto di cristallo” prima, e poi si potrà parlare di regole efficaci.
Note:
(1) Le stock option rappresentano la componente variabile del compenso dei manager (bancari e non). Sono strutturate in modo da legare la remunerazione degli executives all’andamento del titolo o della performance aziendale (ROI, ROE o EBIT)
(2) Più recentemente il lavoro di Bell e Van Reenen mostra che tra il 1979 e il 2007 i top manager bancari hanno fatto la parte del leone nel garantirsi i maggiori incrementi nelle paghe dei CEO del Regno Unito.
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