Quelle scuole senza soldi che devono chiudere il sabato

La distanza fra gli istituti senza soldi per il riscaldamento e lo sfarzo della burocrazia

Aule fredde o calendari accorciati? Meglio un litro di cherosene o un compito in classe in più? La scuola stringe di nuovo la cinghia per effetto della crisi, e si inventa una nuova soluzione da regime di austerità: ridurre le giornate di frequentazione per abbattere i costi.

Domanda: se si comincia a realizzare questo tipo di economie di scala in una regione ricca e opulenta come la Lombardia, che cosa potrà mai accadere al resto d’Italia? Chiamatela, se volete, “la guerra del calorifero” e provate immaginare gli effetti le declinazioni che potrebbe produrre nella vita di tutti noi.

Ce la presentano – infatti – come una grande e necessaria opera di razionalizzazione dei tempi, degli spazi delle risorse, ma la notizia in realtà è di quelle che dovrebbero farci riflettere: la provincia di Milano, quest’anno “chiede” (ma sarebbe più opportuno dire prescrive) a 160 istituti scolastici presenti sul suo territorio di restare chiusi il sabato mattina, e di istituire un calendario che preveda la cosiddetta “settimana corta”, per risparmiare sulle spese di riscaldamento. È ovvio che si possono trovare molte giustificazioni, e che ci sono tante possibilità per sostenere questa scelta.

Si può anche fare di necessità virtù, e immaginare una possibile utilità del provvedimento: ma resta il fatto che le famiglie dal prossimo anno dovranno arrangiarsi anche per sistemare i figli il sabato mattina, e che una rivoluzione così importante delle abitudini scolastiche osservate fino ad oggi, non viene indotta non per l’effetto di un calcolo o di una programmazione strategica, ma per colpa di uno stato di indigenza istituzionale: che poi, detto in parole più asciutte, significa semplicemente una cosa: stiamo diventando più poveri. Saranno sicuramente contenti gli studenti di fare un giorno in meno di scuola: ma molto meno lo saranno i genitori, costretti a fare qualche nuovo salto mortale per coprire quel vuoto. Anche in questo dilemma, è racchiusa la cifra di un paradosso: infatti, nel tempo in cui aumenta la precarietà, aumenta anche il valore dei servizi. Se bisogna lavorare di più, infatti, è sempre più necessario uno stato che ti sostenga nella necessità, e questo vale – a maggior ragione – per le madri lavoratrici.

Se serve dunque un’immagine, per raccontare la nuova Italia nel tempo della crisi, la settimana corta e i termosifoni vuoti della provincia di Milano sono un ottimo contrappunto agli squilli di fanfara con cui nelle stesse ore si vara l’ennesima commissione, quella dei 35 saggi che dovrebbero cambiare la faccia delle istituzioni italiane, Il contrasto tra l’eterno sfarzo delle nostre burocrazie, e la nuova povertà delle nostre amministrazioni rende benissimo l’idea di che cosa ci aspetta. E spiega, se mai fosse necessario, che non possiamo permetterci nessuna abolizione dell’Imu, ma che continuiamo a vivere al di sopra dei nostri mezzi, come quei nobile decaduti che dissipano la vita nel gioco d’azzardo.

Certo, c’è l’arida e geometrica potenza delle cifre: grazie a questo sabato corto, infatti, il bilancio della provincia di Milano sarà sensibilmente alleggerito: l’anno scorso servivano 37 milioni di euro per riscaldare tutte le scuole della prima provincia lombarda, nel bilancio del prossimo anno, ne sono stati messi in preventivo solo 34. Però è un esercizio pericoloso: Perché quando si comincia a tagliare servizi, non c’è mai un limite invalicabile entro cui ci si deve fermare: oggi già si tagliano gli insegnanti di sostegno, nella prossima primavera magari si fará una moratoria sulle gite, domani – chissà – qualcuno potrebbe proporre di rinunciare a un giorno di mensa, che poi un po’ di digiuno fa anche bene. La scelta della Provincia di Milano, fra qualche anno, ci sembrerà uno spartiacque: sta iniziando la stagione della decrescita infelice.  

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