Verità e leggende sull’austerità in Italia

Vero & Falso

Al 31 dicembre 2009 il rapporto deficit/Pil italiano era pari al 5,5%, soprattutto a causa della contrazione-record del denominatore che in un solo anno perse cinque punti percentuali e mezzo. Quattro mesi dopo, con la scoperta delle manipolazioni nei conti pubblici della Grecia, scoppiò la crisi dei debiti sovrani nell’area euro e pochi giorni dopo, il 31 maggio 2010 (con l’approvazione del decreto legge 78) cominciò ufficialmente l’aggiustamento fiscale dei conti pubblici italiani.

I numeri dei bilanci consuntivi 2012 sono stati da poco ufficializzati e quindi possiamo fare un primo bilancio di come si sia effettivamente svolto tale processo di aggiustamento. Prima di tutto, il risultato finale: nel triennio 2009-2012, l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni è diminuito di circa 35 miliardi, realizzando così una manovra di aggiustamento fiscale pari a 2,5 punti di Pil.

Figura 1 – Entità degli aggiustamenti fiscali occorsi nel triennio

Fonte: Eurostat

Possiamo innanzitutto sfatare il mito secondo cui la cosiddetta “austerità” in Italia negli ultimi tre anni sia stata “di gran lunga la più incisiva in Europa”. Come si vede dai dati, l’entità della correzione dell’indebitamento netto nel nostro paese assume il valore mediano tra i 27 stati membri dell’Unione Europea, ed è inferiore al valore medio sia degli UE27 che dei soli paesi dell’area euro.

Ciononostante l’aggiustamento nei nostri conti pubblici è stato indubbiamente pesante. Vale allora la pena andare a verificare chi ne abbia effettivamente sostenuto il costo a consuntivo. Alla luce dei dati ufficiali, proviamo ad esaminare qualche frase comunemente ripetuta. Tra i non addetti ai lavori ma soprattutto – e tristemente – tra gli addetti ai lavori.

«Alla fine dei conti, ai cittadini è stato chiesto un grosso sforzo. Ma comunque la riduzione del deficit è anche frutto di una sostanziale riduzione delle uscite pubbliche»

FALSO: Il deficit della Repubblica è calato di circa 35 miliardi di euro. Le entrate della pubblica amministrazioni sono aumentate di 37,7 miliardi (di cui il 92% aumento di pressione fiscale), che sono servite a ridurre il deficit e in più a finanziare l’aumento di spese finali, pari a 2,4 miliardi. In breve, la diminuzione del deficit è stata interamente coperta dall’aumento di imposte, tasse e contributi sociali; e circa 2,5 miliardi di maggiori entrate non-fiscali hanno finanziato l’aumento di spesa di pari importo.

«Ok, la spesa complessiva sarà anche aumentata… ma almeno è spesa pubblica “buona”, si sarà trattato di investimenti pubblici»

FALSO: L’aumento di spesa complessiva di 2,4 miliardi è il risultato dell’aumento di spesa corrente di 21,47 miliardi, e il crollo delle spese in conto capitale pari a 19,06 miliardi.

«I responsabili di questo aumento di spesa corrente sono, in parti simili, tutti i comparti della Pubblica Amministrazione»

FALSO: L’aumento delle uscite pubbliche correnti (21,4 miliardi) risulta ex-post interamente determinato dall’aumento delle prestazioni previdenziali e assistenziali (circa 21,8 miliardi). Gli altri due comparti della PA si sono comportati in modo opposto: lo Stato ha aumentato le proprie uscite correnti di 3,18 miliardi, le amministrazioni locali le hanno tagliate di 3,6.

«L’aumento di spesa corrente statale non sarebbe stato tale senza l’impennata della spesa per interessi. Se guardiamo alle grandezze primarie, l’asimmetria tra Stato ed enti locali sparisce»

VERO: Le uscite correnti primarie statali sono diminuite di 12,53 miliardi (il 7,64%) quelle degli enti locali solo di 3,54 miliardi (l’1,72%). La differenza rimane – anche se meno marcata – se guardiamo alle uscite primarie totali (quindi comprensive degli investimenti), a testimonianza della maggiore contrazione delle spese in conto capitale a livello locale rispetto a quanto avvenuto a livello centrale. Occorrerebbe però forse anche ricordare che la spesa per interessi – al netto di una componente speculativa e comunque fuori controllo – non è una variabile completamente esogena al set di scelte della politica economica; operazioni di dismissioni dell’ingente patrimonio immobiliare pubblico avrebbero potuto abbattere lo stock di debito e lanciare un incoraggiante segnale ai mercati, abbattendo così il premio al rischio sulle nuove emissioni di titoli.

«Lo Stato ha tagliato i trasferimenti agli enti locali, ma questi si sono rivalsi interamente aumentando la pressione fiscale locale»

FALSO: Nel 2009 lo Stato trasferiva complessivamente 124,5 miliardi di euro alle amministrazioni locali (Comuni, Province, Regioni, Università, Camere di Commercio, etc). Nel 2012 questa cifra è stata pari a 95,5 miliardi, per una decurtazione di 29 miliardi di euro (-23,30% in termini nominali). Durante lo stesso arco temporale, la pressione fiscale locale è salita “solo” di 15,8 miliardi. Esiste quindi un gap di 13,2 miliardi, che gli enti locali hanno reperito per più di tre quarti tagliando le spese in conto capitale.

Allo stato attuale, questo trend risulta in ulteriore peggioramento. La tassazione locale nel 2013 è prevista in aumento di 2,4 miliardi rispetto al 2012, ma a fronte di trasferimenti in ulteriore calo di 10,6 miliardi.

«La spesa degli enti previdenziali e assistenziali sarà anche aumentata, ma il sistema nel suo complesso è stato reso sostenibile dall’aumento dei contributi versati, senza impatto significativo sulla fiscalità generale»

FALSO: Dal 2009 al 2012 le prestazioni previdenziali e assistenziali sono cresciute di quasi 22 miliardi di euro. A fronte di ciò, i contributi sociali sono cresciuti di 4 miliardi, e l’onere a carico della fiscalità generale (tramite trasferimenti statali) è cresciuto di ben 23 miliardi di euro. 

Allo stato attuale, questo trend risulta in ulteriore peggioramento. Nel 2013 le prestazioni aumenteranno di altri 8,3 miliardi rispetto al 2012, di cui solo 3,7 vengono coperti da maggiori contributi, e 4,1 da maggiori trasferimenti statali. 

«Se in questi tre anni lo Stato avesse compiuto, in termini percentuali, lo stesso sforzo di riduzione delle uscite pubbliche che hanno compiuto le amministrazioni locali, si sarebbero liberate le risorse per abolire la componente del costo del lavoro della base imponibile dell’Irap»

VERO: Le uscite pubbliche statali (al netto dei trasferimenti ad altri comparti della PA) sono diminuite dell’1,77%, quelle locali del 5,52%. Applicando lo stesso sforzo percentuale si sarebbero liberate risorse per 9,70 miliardi di euro. Una cifra non lontanissima, secondo molte stime, da quanto servirebbe per eliminare dall’Irap la componente legata al costo del lavoro e dare un’incisiva accelerazione alla competitività e occupazione.

Twitter: @marattin

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