Non è mai stato particolarmente difficile aggirare i divieti sulla pornografia: basta produrla in un Paese dove non sia reato, e il gioco è fatto. Accade oggi, succedeva mezzo millennio fa. Lo sapeva bene Pietro Aretino che per pubblicare il primo libro pornografico della storia va, nel 1527, nell’unico luogo al mondo dove gli sarebbe stato concesso farlo: Venezia.
È una vicenda arzigogolata quella dei Sonetti lussuriosi. Giulio Romano, allievo prediletto di Raffaello, realizza alcuni disegni sessualmente molto espliciti, oggi si direbbe pornografici. Siamo attorno al 1525 e l’incisore Marcantonio Raimondi da quelle raffigurazioni ricava sedici xilografie oscene che possono essere stampate e replicate. Le autorità papali, com’è ovvio che sia, non gradiscono e sbattono Raimondi in carcere. A questo punto interviene Aretino che è già sufficientemente famoso e riesce a far liberare l’incisore. Qualsiasi persona sana di mente sarebbe rimasta soddisfatta del risultato ottenuto. Ma non Aretino che invece rincara la dose e compone sedici sonetti, una sorta di didascalia alle immagini. Non cosette da nulla, ma versi tipo: «Fottiamoci anima mia, fottiamoci presto,/ poiché tutti per fotter nati siamo;/ e se tu’l cazzo adori, io la potta amo». Piuttosto espliciti anche per i canoni attuali.
Troppo per Papa Clemente VII che, pur essendo un Medici di larghe vedute, caccia Aretino da Roma (per questo Pietro accoglierà con entusiasmo la notizia del Sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi tedeschi e degli spagnoli, nel 1527). Aretino approda in riva alla laguna per quello che dovrebbe essere un soggiorno temporaneo e invece diventerà definitivo, visto che morirà a Venezia nel 1556. La Serenissima in quel periodo è l’indiscussa capitale editoriale: vi si pubblica la metà dei libri stampati nell’intera Europa, e soprattutto vi si stampa di tutto, compresi i testi protestanti vietati dalla chiesa cattolica. Figuriamoci se un po’ di pornografia possa metter paura. E così escono i Sonetti lussuriosi. Luogo e anno di stampa (Venezia, 1527) sono tuttavia soltanto presunti dagli studiosi, perché l’unico esemplare sopravvissuto del volume ci è giunto mutilo del frontespizio e dei due sonetti pubblicati nella carta corrispondente.
Questo libro (ne esiste una copia microfilmata di non grande qualità alla British Library) era posseduto da Walter Toscanini (figlio di Arturo, il direttore d’orchestra) ed è stato messo in vendita a New York, da Christie’s nel 1978, sette anni dopo la morte del proprietario. Rilegato assieme ad altri tre lavori (anch’essi osceni, in stile aretiniano, ma molto probabilmente non dell’Aretino), viene battuto a trentaduemila mila dollari Usa. La casa d’aste non rivela chi sia stato l’acquirente.
Non conosciamo gli esiti commerciali della tiratura veneziana dei Sonetti, ma si suppone siano stati molto buoni, visto che il nuovo filone editoriale non viene abbandonato, anzi. Questo primo libro pornografico è soltanto un assaggino di quel che Pietro ha in mente. Una ventina d’anni prima un altro Pietro, Bembo in questo caso, aveva reso celebre il dialogo amoroso componendo gli Asolani. Aretino decide di fargli il verso dando vita al dialogo puttanesco: alla fin fine sempre di amore si tratta, anche se fisico anziché spirituale. Le protagoniste non saranno le eteree donzelle del Rinascimento che suonano il liuto cantando versi soavi, ma le ben più materiali donne che usano il proprio corpo per guadagnarsi da vivere. Nascono così il Ragionamento (1534) e il Dialogo (1536), fusi nelle Sei giornate. I dialoghi, che si dipanano per un totale di sei giorni, sono divisi in due parti.
Nelle prime tre giornate – Ragionamento della Nanna e dell’Antonia – immaginate in un giardino di Roma, la Nanna, ex meretrice, spiega all’amica Antonia i tre stati delle donne: monache, maritate e prostitute. Si tratta di scegliere quale stato sia migliore per Pippa, la giovane figlia di Nanna, e alla fine si conviene che «la carriera di cortigiana è la più sicura e, in fondo, la più onesta». Nello spiegare al lettore il mestiere di prostituta, Aretino non si risparmia le scene sadomaso, per esempio nella seconda giornata: «Lo facea porre in terra carpone e accomodatogli una cinta in bocca a modo di un freno, salitagli a dosso, menando i calcagni, gli facea fare come faceva lui al suo cavallo», oppure fa spiegare alla Nanna come debba comportarsi una meretrice: «E messomelo in mano, diceva: “Fa da te stessa, che io non mi moverò punto”, e io quasi piangendo rispondea: “Che cotal grosso è questo? Gli altri uomini hannolo così grande?”».
Le seconde tre giornate, pubblicate nel 1536, hanno un titolo piuttosto esplicito che deve aver scandalizzato ancora di più moralisti e benpensanti: Il dialogo di messer Pietro Aretino nel quale la Nanna [..] insegna alla Pippa sua figliuola a esser puttana dove la madre dà alla ragazza saggi consigli: «E preso che gli arai il pistello con mano, stringegnelo tanto che si finisca di imbizzarrire: e infocato ch’egli è, ficcatelo nel mozzo». Normale che di fronte a simili composizioni, si alzasse più di un sopracciglio.
Il successo è clamoroso: le ristampe clandestine si ricorrono, le autorità ecclesiastiche non sanno più che pesci pigliare per vaporizzare quella robaccia. Nasce «l’infame Aretino», il primo autore-scandalo della storia delle letteratura. Dà vita a un vero e proprio filone che vede la pubblicazione di numerose altre operine di genere: dalla Puttana errante (1530) alla Zaffetta (1531), dalla Tariffa delle puttane (1535) al Ragionamento tra Zoppino frate e Ludovico puttaniere (1539).
Il successo che ha in vita, lo sconterà però da morto. Non appena l’Inquizione romana riesce a insediarsi a Venezia, a metà Cinquecento, le opere di Aretino vengono messe all’indice e cominciano un’esistenza clandestina non del tutto venuta meno neanche ai nostri giorni. Nel secolo più bacchettone della storia, l’Ottocento, i suoi libri saranno addirittura tenuti sotto chiave nelle biblioteche, accessibili solo a pochi e selezionati studiosi. Ma nemmeno oggi Aretino ha recuperato il posto che gli spetterebbe nella storia della letteratura italiana. L’etichetta di «infame» non è ancora stata del tutto rimossa.