Più che di Silvio Berlusconi, i mercati finanziari hanno paura dell’ennesima lotta interna al Partito democratico. Ma guai a sottovalutare la situazione. Il processo Mediaset non può essere derubricato a un evento secondario. No, perché in caso di condanna del Cavaliere è probabile che ci siano degli strascichi, ma è nulla di più. Merito dell’equilibrio, risicato ma forse sufficiente, su cui poggia il governo di Enrico Letta. Fra Quirinale e Banca centrale europea (Bce), passando per Bruxelles, una nuova deflagrazione della politica italiana potrebbe essere gestita con efficienza e arginata ancora prima della sua nascita.
Le possibilità che ci sia una crisi di governo a seguito della sentenza su Berlusconi, dicono gli addetti ai lavori, sono ridotte all’osso. Lo ha detto anche il presidente del Consiglio: «Non penso ci saranno i terremoti che vengono evocati da chi spera, evidentemente, nei terremoti evocati». Ed è questo quello che pensa la maggior parte delle banche d’investimento internazionali. La possibilità di un’interdizione dai pubblici uffici non spaventa. Forse perché, come spiega J.P. Morgan, poco importa di ciò che accadrà domani. Il giudizio della Cassazione è in grado di cambiare il futuro dell’Italia? In teoria no. Certo, uno scossone è possibile in caso di condanna. Ma non tale da far implodere il governo o intimorire gli investitori. La strada dell’Italia è tracciata e la rete di protezione con a capo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è pronta. Consolidamento fiscale da un lato e riforme dall’altro: volenti o nolenti il percorso è questo. E non ci possono essere deragliamenti da questa linea. Se così fosse, la reazione del mondo finanziario potrebbe essere peggiore delle previsioni. Di fronte all’ennesima inazione dell’Italia, potrebbe esserci una nuova perdita di fiducia. E se da un versante potrebbe essere un incentivo per l’attuazione delle riforme che il Paese sta aspettando da 20 anni, dall’altro potrebbero esserci ripercussioni sul costo del finanziamento del debito, che impatterebbe sugli interessi passivi, che attualmente hanno un trend ribassista rispetto alle previsioni iniziali.
Silvio Berlusconi non è però il principale pensiero dei mercati finanziari. Ora come ora a impensierire maggiormente, aldilà dei problemi economici che affliggono il Paese da molti anni, è l’inadeguatezza della classe dirigente. In particolare, del Pd. Non bastano le rassicurazioni di Enrico Letta, reiterate ancora poche settimane fa a Londra, di fronte a una folta platea di investitori. Il bizantinismo delle regole per le primarie del primo partito italiano è sintomo di incertezza, specie perché sono diversi gli osservatori internazionali che domandano in che modo il Pd vuole rinnovarsi. A Linkiesta un diplomatico francese si lascia andare a uno sfogo: «Il Pd ha un grande potenziale, ha persone giovani e preparate, ma continua a legargli le mani». Chiaro il riferimento a Pippo Civati e Matteo Renzi, forse le due anime più innovative del Pd. «Devono arrivare al suicidio politico per comprendere che devono diventare un partito di centrosinistra europeo come in tutti gli altri Paesi?», dice il diplomatico. La battaglia per l’identità del nuovo Pd è ancora tutta da combattere. Ed è elevato il pericolo di una ulteriore perdita di tempo utile.
E poi ci sono le questioni irrisolte in campo economico. Se è vero che la recessione potrebbe essere alle spalle, come ha detto il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni e come ha scritto Francesco Daveri su Lavoce.info, è altrettanto vero che l’economia italiana è in coma profondo. Come ricordato su queste pagine da Umberto Cherubini, l’Italia è tenuta in vita dall’ossigeno e dalla morfina della Bce. E difficilmente ci potranno essere scossoni prima delle elezioni tedesche, previste per fine settembre. Né tantomeno prima del semestre di presidenza dell’Ue che spetta all’Italia, il secondo del prossimo anno. L’obiettivo dovrebbe essere quello di alimentare la domanda interna, e invece se tutto va bene ci sarà solo un rimbalzo delle esportazioni. Troppo poco per pensare di avere la forza necessaria per ristrutturare l’economia italiana per metterla al pari dei competitor europei, specie a fronte di una giustizia intricata, di un carico fiscale fra i più alti della zona euro e di un apparato burocratico degno dei peggiori azzeccagarbugli. Se poi a questo si aggiunge un esecutivo ostaggio di una coalizione così ballerina come quella attuale, la domanda cruciale dovrebbe essere: come può un’impresa investire in Italia? La risposta è nota. Purtroppo.