Spesso c’è bisogno di qualcuno che fa un altro mestiere per mettere a fuoco una questione. E’ una sensazione che abbiamo avuto stamattina leggendo sul Corriere della Sera una letteradel segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, dal titolo «Quel vuoto della politica colmato dalla magistratura». Un po’ spiazzando, Bonanni ha svolto un ragionamento sul ruolo dilatato che i poteri giudiziari hanno assunto da anni nella vita del paese. Di solito quando si parla del protagonismo della magistratura il discorso cade subito su Berlusconi e i suoi processi, tutto si politicizza e finisce in vacca, scatenando la logora e stucchevole lotta di trincea tra berlusconiani e antiberlusconiani.
Bonanni invece ha il merito di tenersi alla larga dai processi penali e dalle sorti del Cavaliere affondando il coltello sull’anomalia di un paese dove «la debolezza, la latitanza e le storture della politica hanno prodotto sempre più in questi anni una vera e propria supplenza della magistratura, ben oltre la sua indispensabile funzione istituzionale in un Paese democratico». Il riferimento è all’eccesso di pronunce dei tanti Tar italiani, della Corte dei Conti, della Consulta passando per le singole scelte delle Procure, su temi sensibili come il lavoro o l’attività di impresa. «Anche sulle materie del lavoro – continua Bonanni – c’è una discutibile tendenza a sollecitare l’intervento salvifico dei magistrati con il risultato di mettere a rischio l’autonomia negoziale delle parti sociali e non dare più certezza agli investimenti e all’occupazione». In particolare il segretario della Cisl porta due esempi. Uno. «Nel caso della recente sentenza (della Consulta, ndr) Fiat sulla rappresentanza, bisognerebbe ricordare che fu proprio la Fiom a “cacciare” nel 1995 la Costituzione dalle fabbriche contrastando il referendum (voluto dai Cobas) sullo stesso articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori. Perché quello che andava bene 18 anni fa non va più bene oggi?».
Naturalmente nella lettera di Bonanni non c’è alcun pregiudizio anti magistratura, anzi. «La stragrande parte svolge il proprio ruolo in maniera asettica, con un impegno ed un coraggio straordinario. Ma, a volte, con questa ansia di coprire il vuoto lasciato dalla politica, una parte della magistratura mette a rischio la funzione di equilibrio tra i poteri dello Stato, financo sfidando, con alcune decisioni discutibili, le scelte del governo e del Parlamento». E qui il sindacalista porta il secondo esempio. «Lo abbiamo visto nel caso emblematico dell’Ilva di Taranto, dove la giusta esigenza di tutelare la salute pubblica si è scontrata con l’altrettanto legittima richiesta di difendere il lavoro di migliaia di famiglie. La giustizia deve essere “pronta”, come diceva San Paolo, ma va esercitata con responsabilità, coerenza e capacità di equilibrio. La ricchezza economica di un Paese va salvaguardata, senza per questo alimentare scontri ideologici o populismi distruttivi. Altrimenti si producono solo danni irreversibili al sistema-Paese su cui poi nessuno è chiamato a rispondere. Non esistono diritti astratti a prescindere dai doveri. Vale per tutti, anche per la magistratura…».
Ecco, su questo punto della «responsabilità» l’Italia deve fare un passo in avanti culturale. La sacrosanta autonomia della magistratura non significa potersi ritrarre dal contesto in cui si vive e lavora, essere avulsi dal sistema paese come se si scrivessero sentenze sottovuoto, come se le decisioni dei tribunali non avessero ricadute economiche e sociali. Conclude Bonanni: «Nessuno verrà ad investire in Italia se non affronteremo i problemi irrisolti della nostra economia (costi troppo alti dell’energia, tasse eccessive, trasporti, infrastrutture), dando anche certezza ai necessari accordi sindacali per favorire gli investimenti. Non possiamo delegare, insomma, il destino del Paese solo ai magistrati e alla Consulta. Sarebbe una resa. E chi si autoproclama riformista farebbe bene a misurarsi subito su questo tema così decisivo per il futuro del nostro Paese…». Condividiamo in toto.