Nel 1941 i due leader dei Fratelli Musulmani Hassan Al-Banna e Mahmoud Al-Sukkari vennero arrestati, iniziò una mobilitazione popolare senza precedenti in Egitto per il loro rilascio. Con l’arresto del presidente eletto Mohammed Morsi e dei maggiori leader dei Fratelli Musulmani nella notte di ieri si ripete uno schema consolidato di relazione tra stato e islamisti. Dalla sua fondazione, la Fratellanza si è sempre scontrata con l’élite politica che ha manipolato il movimento con concessioni e repressioni, inclusioni ed esclusioni.
Il sogno infranto di un presidente islamista
Da 80 anni i Fratelli Musulmani aspettavano di arrivare al potere. Con la contestata vittoria di Mohammed Morsi del 30 giugno 2012, il movimento semi-clandestino, represso duramente dal regime di Mubarak, ha ottenuto un risultato storico. Ma non è durato molto, poco più di un anno. Un periodo costellato di errori politici. La vittoria alle elezioni parlamentari del novembre 2011 con oltre 45% dei voti (230 su 508 seggi) aveva galvanizzato il movimento. A quel punto la Fratellanza è stata scelta dall’esercito che le ha permesso di estendere il suo controllo sulle istituzioni pubbliche fino al colpo di stato del 3 luglio 2013.
Alle presidenziali e al referendum costituzionale il partito dei Fratelli Musulmani, Libertà e Giustizia, ha iniziato tuttavia a perdere consensi, mantenendo però saldamente la maggioranza dei voti. Negli ultimi mesi, gli islamisti avevano anche subito sconfitte alle elezioni sindacali. Ed hanno iniziato a perdere credibilità agli occhi del grande pubblico.
Da una parte, i Fratelli musulmani si sono dimostrati incapaci di proporre una leadership politica credibile. L’ex presidente Mohammed Morsi, il businessman e leader carismatico Khairat Al-Shater, il medico Essam El-Arian si sono proposti come classe dirigente, in alcuni casi proveniente da zone rurali del paese, in altri senza esperienza politica ma con evidenti interessi economici da difendere, incapace di dialogare e accordarsi con le opposizioni laiche e secolari, interessata ad imporre linee di parte nella stesura della Costituzione. D’altra parte, con il referendum sulla dichiarazione costituzionale del marzo 2011 sono emersi i contrasti e le spaccature tra nuova e vecchia generazione di islamisti e con l’ala riformatrice del movimento confluita nei partiti Wasat (centro) e Tyar Masry (corrente), guidato dal candidato alle presidenziali Monheim Abou El-Fotuh.
A questo si è aggiunta una certa incompetenza nell’approvazione di vari provvedimenti legislativi, prima fra tutti la legge sulle ong. Mentre i Fratelli Musulmani sono stati finalmente riconosciuti come movimento legale e organizzazione non governativa, d’altra parte, hanno imposto controlli stringenti sui finanziamenti a qualsiasi altro movimento organizzato della società civile. Ma a pagare le conseguenze è stato soprattutto il patrimonio pubblico con la legge sull’emissione di sokuk, obbligazioni islamiche, che, permetterebbe la svendita di ingenti quantità di beni pubblici. E più in generale ha suscitato non pochi dubbi la politica economica della Fratellanza, incentrata su diffuse liberalizzazioni, in un contesto di crisi sociale.
I Fratelli Musulmani, manipolatori o manipolati?
Ma i Fratelli Musulmani avrebbero potuto fare di meglio o sono stati manipolati dal potere politico? Negli anni Sessanta e Settanta, i Fratelli Musulmani si opponevano alla formazione di un partito politico. Hassan al-Banna definiva la politica partitica «corrotta e divisa». Con la conquista dei primi seggi in parlamento e l’accordo con il regime di Mubarak, alle nuove generazioni dei Fratelli Musulmani appariva chiaro che l’integrazione nelle istituzioni egiziane minava la capacità di mobilitazione politica del movimento e la sua azione di sostituzione dello stato tra le classi più disagiate. I benefici della partecipazione politica sembravano difficili da valutare.
La politica di conciliazione con i Fratelli Musulmani dei primi anni di governo di Anwar al-Sadat si concretizzò così in varie concessioni: l’amnistia del 1971 che permise a esponenti del movimento di tornare in libertà, l’autorizzazione alla rivista dei Fratelli Musulmani al Dawa nel 1976 e la conquista di 6 seggi in Parlamento da parte di candidati formalmente indipendenti, ma in verità esponenti del movimento ed, infine, nel 1980 l’emendamento all’articolo 2 della Costituzione che definì la sharia (legge islamica) come la “fonte principale” di diritto. Sadat tentò in questo modo di cooptare all’interno del sistema ideologi islamisti e borghesia urbana in cambio di moderazione da parte dei Fratelli Musulmani e di rafforzare così la sua legittimità ideologica attraverso un’islamizzazione di regime.
L’ex presidente Mubarak, negli anni Ottanta, ha agito in continuità con il suo predecessore. Tra alla fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, vari episodi hanno dimostrato la violenza dei movimenti islamisti radicali causando una lunga fase di repressione politica. E così, alle elezioni parlamentari del novembre 2005, l’unico movimento ad aver ottenuto un’importante affermazione elettorale furono i Fratelli Musulmani con 88 seggi su 454. Tuttavia, l’anno successivo almeno 700 esponenti del movimento vennero arrestati e subirono minacce. Tanto che i Fratelli Musulmani hanno affrontato le elezioni parlamentari del 2010, dove non hanno ottenuto neppure un seggio, e le rivolte del 25 gennaio del 2011, nella fase di più grave crisi nella storia del movimento.
Con le dimissioni di Hosni Mubarak, l’11 febbraio 2011, i Fratelli Musulmani sono stati scelti dall’esercito per la gestione politica. Nel momento di maggiore crisi per le istituzioni i militari hanno usato la popolarità del movimento islamista per uscire dall’impasse. Un anno dopo, seguendo uno schema consolidato, alla prima crisi politica in seguito all’ampia mobilitazione popolare del 30 giugno 2013, che chiedeva le dimissioni di Morsi, i militari hanno abbandonato la Fratellanza al suo destino, procedendo con le stesse logiche di sempre: arresti sommari e limitazione alle libertà di espressione degli islamisti.