Egitto, tutti gli uomini del presidente (ad interim)

Il potere dopo Morsi

Il Cairo – Il nuovo governo egiziano è già al lavoro: e nessun islamista o salafita fa parte dell’esecutivo. Nasce un’inedita coalizione di centro tra il partito del vice-presidente Mohammed El-Baradei (Dostour), i nasseristi all’interno del Fronte di salvezza nazionale delle opposizioni e qualche conferma di ministri, parte del governo uscente di Hesham Qandil. «Certamente l’esercito ha capito che in questa grave crisi economica, con gli aumenti dei prezzi e la crisi del grano, è necessario allargare i diritti sociali. Ma non direi che il nuovo governo va in questa direzione», è il primo commento del Professore di Storia del Medio Oriente all’Università di Stanford, Joel Beinin. «L’esecutivo di Hesham Beblawi sembra vicino ad una corrente che potremmo definire di centro. È frutto dell’accordo tra giovani dei movimenti, il partito liberale Dostour di Mohammed El-Baradei e i nasseristi di Hamdin Sabbahi: non si può definire un governo di sinistra», aggiunge Beinin.

Il nuovo governo ad interim dell’ex ministro delle Finanze, il liberale Hesham Beblawi, ha giurato nelle mani del presidente ad interim Adli Mansour. Sono 34 ministri contro i 35 dell’ultimo rimpasto voluto da Morsi lo scorso maggio. Ci sono tre donne: la presentatrice Doriya Sharaf El-Dine al ministero dell’Informazione, la copta Laila Iskandar all’Ambiente e Maha Zeneddin alla Sanità. E tre sono i ministri copti: insieme a Iskander, Mounir Abdel Nour a Commercio e industria e Ramsi George alla Ricerca scientifica. Proprio ieri, dopo Kuwait, Emirati e Arabia Saudita, il tycoon cristiano Naguib Sawiris aveva annunciato di voler investire in Egitto «come mai prima d’ora», a conferma del forte sostegno al colpo di mano militare, venuto dai copti egiziani. Mentre il giudice Mohammed Amin Mahdi, che aveva fatto parte della Corte penale internazionale, sarà il nuovo ministro della Giustizia.

A rendere evidente il controllo diretto che i militari vogliono esercitare sul nuovo governo arriva la conferma e l’estensione dei poteri del capo delle Forze armate, Abdel Fattah al-Sisi, che resta alla guida del ministero della Difesa e diventa anche vice-primo ministro, insieme al social-democratico Ziad Bahaa-Eddin e al leader del partito liberale, Hossam Eissa. Nabil Fahmy, ambasciatore egiziano negli Stati Uniti, è invece il nuovo ministro degli Esteri. Agli Interni, a conferma del precario controllo degli islamisti sulla polizia, resta Mohamed Ibrahim, contestato da molti attivisti che ne hanno spesso chiesto la sostituzione.

La svolta liberale si nota soprattutto tra i ministeri economici. Alle Finanze va Ahmad Galal, economista per molti anni della Banca mondiale. Mentre il ministro di Commercio e industria è il businessman Abdel Wahab. Confermati anche Osama Saleh, che ritorna al ministero degli Investimenti e il ministro del Turismo Hisham Zaazou.

Due nomine interessanti sono il nuovo ministro dello Sport, Taher Abuzeid, centravanti negli anni Ottanta della prestigiosa squadra egiziana dell’Al-Ahly, i cui sostenitori sono stati tra i protagonisti delle rivolte del 2011. E poi il sindacalista Kamal Abu Eita, nuovo ministro del Lavoro. Appena è stato confermato il suo nome è iniziato un assembramento di suoi contestatori di fronte al quartier generale del sindacato in via Galaa al Cairo. Eita ha dichiarato di accettare l’incarico «anche se potrebbe essere un suicidio politico, per le difficoltà di questa fase di transizione», ha detto. E per la svolta centrista del nuovo esecutivo, si potrebbe aggiungere.

A cancellare ogni dubbio sono gli stessi partiti della sinistra egiziana. «È un governo liberale che taglierà ulteriormente lo stato sociale, ma composto da politici che hanno a cuore la democrazia», è il commento dell’Egyptian Center for Economic and Social Rights, guidato dall’ex candidato socialista alle presidenziali Khaled Ali. «Sarà dipendente dai militari perché non è frutto di un processo elettorale o rivoluzionario. Baradei e Beblawi si sono più volte espressi a favore della cancellazione dei sussidi e per la privatizzazione dell’alta educazione pubblica», aggiunge Nadim, braccio destro di Khaled Ali.

Il giovane rivela che quest’ultimo ha rifiutato una proposta di Beblawi di essere il nuovo ministro del Lavoro, prima della conferma di Eita. «Eita è un nasserista, non un socialista. Basta leggere il suo primo commento dopo l’offerta della carica: «I lavoratori devono diventare eroi della produzione – prosegue il Professor Beinin – Per i nasseristi non devono esserci scioperi: l’economia nazionale deve migliorare al punto in cui tutti devono avere un salario adeguato per vivere bene. Per questo Eita è stato duramente criticato dalla sinistra. Per esempio da Fatma Ramada, rappresentante del consiglio dei sindacati indipendenti, che ha usato dure parole verso il sindacalista».

Le critiche più dure al nuovo esecutivo sono arrivate però dai Fratelli Musulmani. Il portavoce del movimento, Mahmoud Ghozlan ha bocciato il nuovo governo, definendolo «illegittimo», aggiungendo che la nomina del presidente ad interim Adli Mansour è «nulla» e rifiutando ogni forma di dialogo nazionale. Il portavoce della presidenza della Repubblica, Ahmed al-Moslemany, ha confermato invece contatti in corso con tutte le forze politiche, inclusa la Fratellanza.

Insomma, in Egitto nasce il primo governo liberale di centro. Dovrà affrontare due nodi fondamentali per il futuro del Paese: la normalizzazione dei movimenti islamisti a partire dall’inclusione dei Fratelli musulmani nelle istituzioni nazionali e la grave crisi economica. In base alla tabella di marcia, stabilita dalla presidenza, non avrà molto tempo per farlo (non oltre sei mesi) ma dovrà senz’altro fronteggiare le urgenti richieste sociali dei contestatori che manifestano da oltre due anni e sono tornati in piazza il 30 giugno scorso.

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