Alla fine tocca ad un “vecchio arnese” della sinistra italiana come Alfredo Reichlin dare il giusto timing al Partito democratico. Perché all’iniziativa del gruppo Fare il Pd, che si è tenuta ieri pomeriggio nella sede nazionale dei democratici a Largo del Nazareno, e che ha raccolto gli ex-Ds e gli ex-Dc, è proprio il “compagno Reichlin” a prendersi gli applausi scroscianti dello stato maggiore e dei sostenitori della “nomenclatura”. Lui, “Alfredo”, non è «venuto per aggregarsi ad un correntone contro Renzi». Questo si sappia. Lui si è più semplicemente recato al Nazareno per dire che «il Pd è un partito contendibile ma non scalabile». E non è dato sapere a chi faccia riferimento l’editorialista de L’Unità. Renzi “sì”, Renzi “no”, l’ex Pci è «meravigliato che il Pd non abbia ancora definito a un tema per il congresso». «Ha ragione», sussurra Anna Finocchiaro all’orecchio del suo successore come capogruppo al Senato, Luigi Zanda.
I dirigenti, da Massimo D’Alema a Beppe Fioroni, passando per Franco Marini, l’ex segretario Pier Luigi Bersani, Cesare Damiano, Vincenzo Visco, Michele Ventura, il capogruppo alla Camera Roberto Speranza e il segretario Guglielmo Epifani, sono lì ad ascoltarlo come quando gli studenti pendono dalla labbra di un maestro o un professore autorevole. «È meglio sentirlo che leggerlo», mormora la vice Presidente della Camera Marina Sereni, parlamentare vicinissima a Dario Franceschini. A dire il vero c’è anche chi plaude ma riflette: «Pensa te come sta messo il Pd se siiamo ancora qui ad applaudire Alfredo Reichlin».
C’è la sala piena al terzo piano di Largo del Nazareno. Prime e seconde linee di bersaniani, dalemiani, franceschiani, fioriniani e lettiani non hanno mancato l’appuntamento che rilancia “il primato del partito”. C’è anche Giacomo Portas, leader di una delle forze della coalizione di centrosinistra, “I Moderati”, convinto che «il Pd sia l’unico partito capace di gestire i problemi del Paese». Portas è seduto affianco di Massimo D’Alema. In settima fila il lìder maximo sfoglia L’Unità, guarda l’iPhone ma senza farsi accorgere, e in alcuni casi annuisce restando sempre composto. Ogni intervento dura un massimo di dieci minuti, e alla fine anche uno come l’ex segretario Pier Luigi Bersani decide di prendere la parola togliendosi qualche sassolino dalla scarpe: «Se continuiamo a fare dei congressi per cercare dei candidati quando è che troviamo il partito?». Insomma è la tregua del cosiddetto “patto di sindacato dei democratici”.
E nonostante il Ministro per i Rapporti con il Parlamento provi ribadire che «non esiste alcuna alleanza contro qualcuno né tantomeno contro Renzi», l’obiettivo è sempre e comunque l’ex rottamatore. In tutti gli interventi si scorge un passaggio critico sull’atteggiamento fin qui mostrato dal sindaco di Firenze, e un’altro di sostegno all’attuale Presidente del Consiglio del governo italiano. Come a dire, “Matteo dovrà vedersela con Enrico”.
Ciò trova conferma quando uno come Marco Meloni, giovane lettiano di ferro, dice che «l’attuale governo durerà fino al 2018, e non dobbiamo preoccuparci di candidati per la premiership». Un modo come un altro per sottolineare che il patto di sindacato del Nazareno resterà fedele fino all’ultimo minuto al governo Letta. Del resto, sussurra un franceschiniano, «se il governo supera i 18 mesi, Letta terminerà la legislatura». In sostanza al netto delle parole spese sulla forma partito e sul congresso la strategia del documento politico “Fare il Pd” tiene il punto su Enrico Letta come candidato premier per le prossime politiche, e su un segretario che stimoli e non faccia il controcanto all’attuale governo. E le parole del popolare Beppe Fioroni, presente e raggiante all’iniziativa “Fare il Pd”, sintetizzano al meglio il sentiment del “correntone”: «Questo è il nostro governo. Non esiste un partito che scriva regole contro il proprio presidente del consiglio in carica, tipo tutti possono candidarsi meno Letta. Sarebbe un po’ come dire: domani lo sfiduciamo…». Ma non è finita.
Perché la strategia dei presenti, spiegano a Linkiesta, «vuole che sia Guglielmo Epifani il candidato alla segreteria. All’ultimo momento, un minuto prima della chiusura delle candidatura, Cuperlo farà un passo indietro, e magari andrà a fare il vice di Guglielmo». In questa fase l’attuale segretario smentisce categoricamente di scendere in campo in virtù del ruolo di “garante” ricucitogli addosso: è il presidente “di fatto” della commissione congressuale, quella che dovrà stabilire quali saranno le regole. Ma in una seconda fase sarà proprio il “patto sindacato” del Pd a chiedergli di candidarsi e lui, “Guglielmo”, non potrà esimersi dall’accettare la proposta. “Non potrò che dire di sì”, avrebbe già riferito a chi di dovere. Del resto Epifani lavora in tandem con Enrico Letta, tutela il governo ma cerca di salvaguardare anche la “ditta”. «È uno che ha ricoperto il ruolo di segretario generale della Cgil per diversi anni, conosce i meccanismi, è quello che fa per noi…».
Sul fronte opposto si segnala l’assenza di tutti parlamentari renziani («perché avremmo dovuto esserci?») e dei veltroniani, gli unici fra gli ex-Ds a declinare l’invito. Walter Veltroni resta in silenzio. Mentre prima di cena il sindaco di Firenze interviene dai microfoni del Tg5: «Il Pd si dia una mossa e la smetta di seguire le mie mosse. Se uno si candida o non si candida non è che chiede il permesso a D’Alema». L’ex rottamatore lo descrivono «nervoso e combattuto», e a Montecitorio c’è già chi fra i suoi più stretti collaboratori sostiene che «alla fine Matteo non si candiderà. Vogliono e sperano così? Vuol dire che si accontenteranno di perdere un’altra volta». Amen.
Twitter: @GiuseppeFalci