Dice il saggio…
Dodici “esperti” del mondo della sanità sono stati incaricati dalla regione Lombardia di valutare il sistema socio-sanitario lombardo, e suggerire interventi per migliorarlo. Questa nuova commissione di saggi, chiamata ancora una volta a sorreggere la politica e l’amministrazione, stavolta a livello regionale, rappresenta davvero un gesto di umiltà, come ha commentato il vicepresidente e assessore alla salute della regione?
Ognuno di noi ha un “saggio” (se fortunato, più di uno) a cui rivolgersi nei momenti di difficoltà, per un consiglio, un sostegno, un parere. I governi fanno sostanzialmente la stessa cosa. Da sempre. Basti pensare, senza andare lontano da casa, alle origini del Senato romano.
Eppure non sfuggirà che negli ultimi tempi il ricorso alla competenza e all’esperienza dei cd. saggi sia diventato una quasi stucchevole pratica di temporeggiamento e di illusionismo democratico. Se è vero che la virtù sta nel mezzo, il ricorso massiccio e quasi fanatico a commissioni di esperti, saggi, anziani, specialisti svela non più l’umiltà di chi governa ad ascoltare il parere di coloro che, per competenza e esperienza, possono insegnare qualcosa. Svela piuttosto due possibili degenerazioni nell’arte del governo.
La prima è una forma di furbizia, che consiste nel nascondere ogni decisione dietro il paravento dell’opinione di un esperto esterno. Incapace di seguire un indirizzo politico autonomo e definito e di mantenere il piede fermo rispetto alle onde emotive dell’elettorato e dei partiti, chi governa, a qualunque livello, ha bisogno di poter dire che le proprie scelte recano il sigillo dei savi.
La seconda degenerazione si chiama attendismo ed è, per certi versi, peggiore della prima. Nell’incapacità di assumere scelte, chi governa si limita ad acquisire pareri, accogliere informazioni, ascoltare relazioni, ordinare indagini, chiedere suggerimenti dando l’illusione di un dinamismo che cela in realtà il suo esatto contrario. Il “facite ammuina” non è più un’esclusiva borbonica.Ma attenzione. Questo correre da poppa a prua può indebolire anche una nave solida.
La Lombardia è fra le regioni che riescono meglio a garantire il diritto alla salute non solo ai lombardi, ma anche agli assistiti di altre regioni che vi si recano appositamente per curarsi. Il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza e i risultati di bilancio dimostrano che essa ha il più basso tasso di inefficienza sui costi totali positivi rispetto alla media nazionale e il miglior rapporto spesa sanitaria/Pil. Ciò in larga misura in ragione del fatto che il sistema sanitario lombardo, dal ’97, consente una per quanto larvata forma di concorrenza, lasciando che le strutture private affianchino quelle pubbliche nell’offerta di servizi sanitari. Un limite del sistema è ravvisabile nella sostanziale stabilità dell’offerta, in un equilibrio pubblico-privato che non si evolve nel tempo.
C’è quindi proprio bisogno che 12 esperti rispondano a domande come “È garantita la libertà dei cittadini lombardi rispetto alla salute? Quale modello ospedaliero pensare per affrontare le sfide del futuro? Quale ruolo affidare al tema della prevenzione?”
Il segreto del successo del modello lombardo è stato proprio, a un certo punto, lasciare spazio ai tentativi di una pluralità di diversi operatori, privati e pubblici, di soddisfare al meglio le esigenze sanitarie dei suoi cittadini. Questo ha dato alla Lombardia la migliore sanità del Paese. Non una commissione di esperti.
*Editoriale pubblicato su www.brunoleoni.it