Per un pugno di dollari. Quando nacque il verdone

Link Young

Correva l’anno 1785 e fino ad allora, se in un saloon di Chattanooga o di Omaha volevi offrire un caffè a qualcuno, dovevi poi pagare in talleri spagnoleggianti. Ma dal sei di luglio di quell’anno non più. Da quel giorno esistono i dollari, i centesimi, verdi, d’argento, di carta, come vuoi tu, con le tasche piene o con le tasche vuote, ma in questo caso il caffè lo dovrà offrire qualcun altro… La banconota da un dollaro più famosa, invece, quella con Giorgione Washington nel centro, è solo del 1963, ma per molti è come se fosse sempre esistita, un po’ come la musica di Morricone in sottofondo, nei film del Far West.

il racconto

PER UN DOLLARO IN PIÙ
Il giovane Isaac si trovava un pomeriggio a pisolare beatamente nel fresco del frutteto, con la schiena poggiata lungo il tronco di un melo e le gambe allungate tra i fili dell’erba, per lo sfrizzolo di qualche ardita formica a scalare il ginocchio o la suola dello stivale. Dove avesse trovato un frutteto, disperso in Inghilterra, questo non si sa, ma sono tante le cose che non sappiamo al mondo e viviamo bene lo stesso.
Il giovane Isaac – dicevo – pisolava placido e assorto in qualche sogno, quando da un ramo lassù un pomo truffaldino pensò fosse l’ora di prendere il volo, neanche fosse un passerotto. Dapprima dondolò un po’ di qua e un po’ di là, per prendere le misure senza dare troppo nell’occhio, poi si lasciò andare nell’aria, precipitando però in verticale e colpendo in piena fronte l’appennichellato, che si ridestò di sobbalzo. Fosse successo a me sarei rimasto per tre giorni di cattivo umore.
Isaac, invece, rimessosi in piedi all’istante e verificata l’integrità dei pantaloni da piega alcuna, si chinò con fare intrigato e incuriosito verso il frutto caduto, rimbalzato poi quattro passi più in là. Lo avvicinò al naso per annusarne il profumo, poi lo avvicinò agli occhi per osservarne l’ammaccatura, quindi lo avvicinò alla bocca per addentarne il gusto, invece no.
«Idea!», urlò, entusiasta, dentro di sé. Poi corse in casa, prese carta e matita e scrisse in fretta un appunto, che le idee come vengono se ne vanno ed è sempre il caso di fissarle in qualche modo prima di dimenticarsi ogni cosa.
«Porto la mela al mercato – pensava e scriveva – la vendo a un passante e mi compro due arance».
«Poi vendo le arance – meditava – oppure le spremo e vendo la bevanda e con il ricavato mi compro un’anguria».
«L’anguria la faccio a fette, – escogitava – le vendo una ad una e mi compro un pollo».
«Aspetto che il pollo sforni il suo uovo, poi uno al dì lo vendo alle mamme per i loro pargoli, quindi mi compro un ombrello. Quando piove noleggio l’ombrello agli sprovveduti che non abbiano il loro e con l’incasso mi compro…»
Oh, Isaac, e io che pensavo tu avessi intuito la forza di gravità…
«E mi compro una sega, – continuava a pensare e a scrivere – torno al frutteto dal melo farlocco e beffardo e lo taglio di netto alla base, tié!»
«Raccolgo la legna – continuava a meditare – e vado alla cartiera, per farne fare dei grossi fogli di carta».
«Già che ci sono ci faccio un disegno – continuava ad escogitare – e vendo pure quello e con quei soldi d’oro e d’argento mi compro dell’altra carta. Tanta altra carta, che un mio disegno lo vendo bene senz’altro a un collezionista o a un museo; allora compro pure l’inchiostro e una pressa per la stampa, che non ne fanno più, di presse belle così».
«Poi mi metto lì e stampo una banconota da un dollaro. O da una sterlina, come piace agli inglesi, ma un dollaro mi stuzzica di più. La stampo e la metto ad asciugare, quindi la rifilo in forma rettangolare che ci stia comoda nel mio portafogli e con quella ci compro ciò che mi pare: una mela, se mi va, o due arance, una fetta di anguria o un uovo al dì.”
Furbacchione di un Isaac, ne sapevi una più del diavolo, tu, altro che attrazione gravitazionale. Mi pari molto più attratto dalla ricchezza e dai talleroni, che dal centro della Terra!
Però, se qui di gravità vogliamo parlare, sappi che mettersi a stampar banconote nel sottoscala non è cosa bella da farsi, anzi, è grave, gravissima! Molto più grave di una mela che cada sulla zucca, poi non dire che non t’avevo avvisato.
A questo pensiero Isaac si fece serio, ripose in un cantuccio la sua bella pressa di quel dì, accese il camino con una banconota appena azzeccata, quindi afferrò un pomo dalla fruttiera con tre polpastrelli della mano sinistra e con un paio di quelli della destra prese una penna d’oca, la intinse nell’inchiostro e scrisse sulla sua carta una effe, una gì e una emme e non chiedermi cosa volesse dire.
Però quell’idea lo arricchì, altroché, più della mela al mercato e più della banconota nel sottoscala.

la fotografia

Il simbolo del dollaro, con la sua grande esse maiuscola e le due barre verticali, è in realtà il simbolo del peso, moneta del Messico. Tanto veniva usata, questa moneta, nel continente nuovo, che gli yankee decisero di farla propria, chiamandola appunto dollarone e mantenendo il simbolo, che pare provenga da uno stemma araldico spagnolo. Le barre verticali rappresentano le colonne d’Ercole e la esse sta al posto di un nastro sinuoso, che sullo stemma porta incisa la frase «non plus ultra». Che poi ultra si è andati di molto, sia geograficamente, sia economicamente, con tutti quegli ultraricchi, ultramiliardari, ultra invidiati ricconi.

il video

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Qui comincia l’avventura di uno che, quanto a ricchezze inusitate, più di ognun ne sa: il Signor Bonaventura, spilungone in giacca rossa e pantaloni bianchi, nato nel Diciassette dalla matita e dalla fantasia di Sergio Tofano e apparso di settimana in settimana sulle belle pagine del Corriere dei Piccoli. Un milione a settimana, cinquantadue settimane all’anno per quarant’anni o giù di lì. Il bello è che tutto, lui, cercava, fuorché la ricchezza, che gli capitava così, per caso, subito dopo aver combinato un guaio. Ecco, se a ogni guaio causato ci fosse un premio saremmo tutti ricchissimi!

la pagina web
Con un dollaro posso comprarmi un elefante? E un armadillo? Un paio di stivali? Un gatto? Una giraffa? O tutto questo e altro ancora? Magari sì, se il dollaro è di carta. Anzi, di più, posso fare da me. Con l’origami del dollaro, un po’ di pazienza e tanta precisione nelle pieghe, posso fare questo e chissà cos’altro. C’è un sito dedicato che spiega tutto: le parole sono in inglese, ma le immagini non hanno lingua e basta seguirle per arricchire la tua fantasia.

i nostri eroi
Una vecchia canzone, molto in voga ai tempi della nonna, diceva che con mille lire al mese, senza esagerare, si era certi di trovare tutta la felicità. Sarà stato davvero così? Questo non lo so, ma so che la banconota da mille lire è stata in Italia per molto tempo una vera e propria superstar.
La prima risale addirittura al regno di Sardegna, nella seconda metà del Settecento, più o meno quando in America nacque il dollaro. Per quella italiana bisognerà aspettare un secolo, dopo i Mille di Garibaldi, l’Unità e tutto il resto. Una di queste banconote, ad averla oggi, vale molto di più di mille lire, ma al bar non ti ci puoi prendere nemmeno un caffè, perché ormai si accettano solo gli euro. Sono le stranezze della vita.
Una mille lire popolare circolava nella prima metà del Novecento ed era una sorta di lenzuolone di carta. Una meraviglia, credi a me! In tempi più recenti, invece, le mille lire che in molti ricordano con nostalgia erano più piccine e portavano su un lato il ritratto di Giuseppe Verdi con la cravatta a papillon. Il loro valore era già piuttosto basso e con quelle mille lire si doveva esagerare molto, ma molto, per trovare la felicità e chissà se anche qualche nipote di Verdi, magari sotto la doccia, ha mai canticchiato la canzoncina tanto cara alla nonna…

Tra le banconote false che chiunque ha preso in mano almeno una volta, ci sono quelle del Monopoli. Bellissime, come è bellissimo il gioco! E non dire che anche tu non hai mai sognato di comprarti qualcosa di vero, con quelle, magari un cappello, o un’automobile, o una villa con piscina dalle parti di Parco della Vittoria. A me anche in bastioni Gran Sasso andrebbe bene, ti dirò…
A proposito di vie, lo sapevi che nella versione originale – quella americana – le strade sono quelle di Atlantic City? Pensa che, presi dall’entusiasmo per il successone del gioco, nella stessa Atlantic City hanno fatto i cartelli delle vie in tutto simili alle tessere del Monopoly, che da quelle parti si scrive con la Y. Per l’edizione italiana, invece, a parte vicolo Stretto e vicolo Corto, si sono prese in prestito le vie della vecchia Milano e da qualche anno la Y è comparsa anche nel gioco di qui.

Quanto a dollari e ricchezze, chi ne sa più di Paperon de’ Paperoni, con tutte le sue esse barrate incise in ogni dove e il forziere al posto della casa?! Chiamalo Scrooge McDuck oppure zione, sempre un vecchio tirchissimo miliardario, rimane, con la Banda Bassotti a provare un colpo a settimana.
Senza alcun dubbio stiamo parlando del papero più ricco dell’universo intero. Ma anche tra i personaggi dei fumetti in genere è lassù, ai primissimi posti. Tutto a partire da quell’ormai mitico nichelino, che nel 1953 diede inizio all’accumulo di ricchezza e per tutti si chiama Numero Uno. E pensare che un nichelino vale appena dieci centesimi di dollaro e si chiama così, perché è fatto proprio di nichel, metallo simile al ferro, ottimo per coniare monete.

quattro domande a…

… re Mida
Sua maestà, lei che trasforma in oro tutto ciò che tocca, non potrebbe fare le cose semplici e trasformare direttamente in denaro sonante?
Potrei, ma l’oro ha un altro fascino. Ce la vedrebbe, lei, una regina sul trono, con la corona di banconote spiegazzate? L’oro, caro mio, non passa mai di moda. Come l’alloro, ma se avessi il potere di tramutare in alloro tutto ciò che tocco, probabilmente finirei arrosto.
Sì, ma provi lei a girare con tre lingotti nel portafogli… mica si chiama portalingotti! Le banconote hanno la loro praticità, creda a me.
Sarà, ma io sono un re e della praticità non so che farmene. Anzi, se me ne porta mezzo chilo la trasformo in oro e gliela regalo volentieri. Volendo fare una via di mezzo potrei mettermi qui e tramutare in oro le monete che ha in tasca. O forse mi trova da ridire anche sulle monete d’oro?
Certo che no, mio re. Mi permetto soltanto di metterla in guardia dai pirati: quelli, quanto a monete d’oro, ne assaltano forzieri interi. Faccia attenzione!
Ecco, anche un pirata non ce lo vedo proprio, con una banconota da cinquanta euro infilzata nell’uncino. Si perde il fascino dell’avventura. Se lo immagina Long John Silver con la carta di credito?! E comunque, volesse il caso che ci fosse un arrembaggio di pirati, li toccherei appena con un polpastrello e questi rimarrebbero stecchiti, tramutati in oro. Le piacerebbe una statua del Corsaro Nero alta un metro e novanta?
Certo! La terrei accanto alla libreria. Oppure la scambierei con una banconota da un milione di sterline.
Come vuole. Lei mica è un re, cosa vuole saperne di ricchezze sconfinate… immagino che l’intervista sia finita, quindi. Grazie per la visita. Qua la mano… anzi no, non vorrei tramutare in oro anche quella!

ti consiglio un libro

Mark Twain – LA BANCONOTA DA UN MILIONE DI STERLINE
Come sarebbe avere una banconota che più di così non si può? Qualcosa tipo una banconota da un milione di sterline, che è meno ingombrante di un milione di banconote da una sterlina… Come fai a comprarti il giornale? L’edicolante avrà il resto? E magari, se vai al ristorante, finisci per vederti offerto il pranzo, perché i ricconi – si sa – sono quelli che non pagano mai, altrimenti mica sarebbero così ricchi… Mark Twain l’ha immaginata, una banconota così, e in un bel racconto l’ha infilata nella tasca di un ragazzino squattrinato, poi si è messo lì a osservare quel che capitava.

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