“Renzi corra e il caos finirà.” Parola di veltroniano

Governo e congresso: gli incubi del Pd

«Tra Pd e Pdl c’è uno scarto di voti del 0.3%, bisogna riequilibrare». Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera, torna sull’argomento «rimpasto», un modo come un altro per tenere alta la tensione all’interno del Pd, e per far emergere le differenze fra le svariate anime dei democratici. A Largo del Nazareno, sede nazionale del Pd, si respira un clima che ricorda i giorni dell’elezione del Capo dello Stato, e dei 101 franchi tiratori che affondarono le speranze di Romano Prodi. Del resto dal voto sulla mozione di sfiducia ad Angelino Alfano i democratici escono a pezzi. Da ieri il segretario del Pd Guglielmo Epifani, prima su Repubblica e oggi su l’Unità, dispensa consigli a Enrico Letta: «Bisogna fare un tagliando all’esecutivo, effettuare i necessari controlli, mettere a punto quello che non va». E Dario Franceschini, Ministro per i Rapporti con il Parlamento, che in questa delicata fase della legislatura funge «praticamente» da vice Premier e «portavoce» di Letta, è sempre lì pronto a gettare acqua sul fuoco: «Nessun rimpasto all’orizzonte. In molti, a cominciare da Epifani, hanno giustamente parlato di una esigenza di rafforzare il governo. Questo lo vogliamo sopratutto noi che ne facciamo parte».

Ma una dichiarazione di Dario Franceschini, di certo «autorevole», non rintuzza i dissidi interni democrat. Sempre più divisi, sempre più lesionati dagli episodi che si susseguono settimana dopo settimana. Prima la sospensione dei lavori su richiesta del Pdl, poi il voto sulla mozione di sfiducia ai danni di Angelino Alfano. E per finire il congresso. Il vero incubo di Largo del Nazareno è proprio l’assise che dovrebbe svolgersi «entro l’anno». Venerdì in una direzione nazionale che si preannuncia «infuocata» e alla quale dovrebbe prendere parte anche il premier in carica Letta, si aprirà «in maniera esplicita la discussione congressuale, che riguarda il ruolo del partito, i compiti del governo, il bilancio di questi primi cento giorni e le sue prospettive, i contenuti su cui rilanciarlo», rassicura dalle colonne de L’Unità il segretario Guglielmo Epifani.

Fra i «governisti» c’è chi lascia intendere che sarebbe opportuno rinviare il congresso al 2015, dopo la fine del semestre europeo di presidenza dell’Ue. E fra questi ovviamente ci sono i lettiani, da Marco Meloni ad Alessia Mosca, passando per la fedelissima del premier Paola De Micheli. I quali, secondo quando scrive oggi Goffredo De Marchis su Repubblica, starebbero pensando di scrivere una mozione congressuale «da sottoporre ai militanti e ai concorrenti per la leadership composta da tre punti». Primo: sostegno all’esecutivo almeno fino alla fine del 2015, come indicato da Giorgio Napolitano nel discorso di apertura del nuovo settennato. Secondo: approvazione delle riforme istituzionale, senza perdere di vista la legge elettorale. Terzo: avvio di riforme sociali ed economiche che rilanciano la crescita. Secondo quanto rivelano a Linkiesta, il documento sarebbe sottoscritto da tutte le anime «governiste» – franceschiani, lettiani, fioriniani e bersaniani – e avrebbe come scopo quello di «blindare» Enrico Letta a Palazzo Chigi, frenare l’ascesa del primo cittadino di Firenze, e far slittare il congresso nazionale. Del resto, uno come Beppe Fioroni, sempre esplicito nella dichiarazioni, stamane al Corriere della Sera l’ha detto senza peli sulla lingua: «Sono preoccupato, temo che il congresso possa diventare un referendum sul governo». Il ragionamento del leader degli ex popolari è il seguente: «Fare prima i congressi di circolo, i provinciali e i regionali e tenere il congresso nazionale quando Letta sarà arrivato a buon punto nel cronoprogramma delle riforme». Pippo Civati, uno di quelli che non condivide la linea del Pd delle ultime settimane, con la solita ironia che lo contraddistingue rilancia con Linkiesta: «Se non fanno il congresso non ci sarà il Pd e ci si iscrive direttamente al governo Letta». Ironico.

Da Palazzo Vecchio nessuna risposta dal primo cittadino di Firenze. Dopo la sbornia di interviste, prima alla Stampa e poi su La7 ad Enrico Mentana, l’ex rottamatore preferisce restare in silenzio. «Vuole vedere cosa succede alla direzione di venerdì», filtra dall’inner circle. Parteciperà? Non è dato sapere, ma sembrerebbe di sì. In queste ore “Matteo” è in costante collegamento con i parlamentari del «primo cerchio magico». Sono loro – Lotti, Bonafé, Boschi, Richetti, Faraone – che guidano il drappello di parlamentari di rito renziano. Fra questi c’è un attivissimo Davide Faraone, uomo di Renzi nella Sicilia governata da Rosario Crocetta. Dal blog il siciliano non le manda a dire ai vertici di Largo del Nazareno: «Forse non si è compreso che oggi è in discussione il bipolarismo. C’è chi nel Pd e nel Pdl vuole trasformare il governo d’emergenza in progetto politico. Naturalmente per costruire una nuova Dc, un nuovo centro, occorre tempo. Quindi serve un governo di legislatura. […] Gli iscritti a questo partito promuovono il rinvio del congresso. Non hanno interesse che il Pd sia forte e che non accetti il continuo ricatto dei nuovi alleati».

Ma una voce di Largo del Nazareno, vicina al primo segretario del Pd Walter Veltroni, rivela a Linkiesta che «da troppi giorni c’è un agitarsi comprensibile ma del tutto eccessivo». D’altronde «quando il congresso si terrà non è che si discuterà di “governo sì – governo no”. In realtà siamo tutti d’accordo che questo governo deve andare avanti. Lo dicono tutti: al questo governo non c’è alternativa!». Punto. E allora, continua la fonte de Linkiesta, «il problema è il congresso, e le regole ci sono già. Ma esiste un solo modo per risolvere le questioni interni al Pd. Se il primo cittadino di Firenze la smettesse di cincischiare e dicesse: ho deciso, mi candido perché vorrei cambiare il Paese. Ma per cambiare il Paese ci vuole un Pd riformista, un Pd a vocazione maggioritaria. E allora come fece Blair, conquisti prima il partito, togliendo la polvere del ‘900. A questo punto Renzi dovrebbe aggiungere: è naturale che essendo segretario sia io il candidato il premier, come prevede lo statuto. Ma se alla conclusione del mandato Enrico Letta volesse giocarsi la partita della leadership faremmo le primarie». In questo modo, conclude il parlamentare veltroniano, «chi cavolo potrebbe cambiare le regole».

Twitter: @GiuseppeFalci 

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