Se i lettori distribuiscono il giornale (guadagnandoci)

Novità editoriali

Per rendersi sostenibile, il magazine olandese di architettura Works that work ha chiesto l’aiuto dei lettori: chi vuole può, anziché semplicemente abbonarsi alla rivista, diventarne sostenitore. In cambio di una cifra a sua scelta, riceverà copie fisiche di WTW, una grande stampa in edizione limitata di una fotografia inedita, e vedrà il proprio nome pubblicato sulle pagine del giornale e sul sito in qualità di finanziatore.

Fin qui, nulla di strano. Sono numerosi i giornali che hanno deciso di ricorrere a forme di finanziamento ed abbonamento flessibili e creative, negli ultimi anni, cercando di far sentire il lettore non solo fruitore, ma anche “contributor”, parte attiva del progetto di cui condivide non solo la qualità del lavoro, ma anche l’impostazione editoriale. Dal Fatto Quotidiano a – per restare in Olanda – De Correspondent, testata online che grazie al crowdfunding ha raccolto 990mila euro e da fine settembre cercherà di costruire un modello di giornalismo digitale incentrato sulle inchieste.

A differenza di De Correspondent, Works that work – pur disponendo di un bel sito internet – punta molto sull’edizione cartacea patinata, dove viene dato grande spazio alle foto e poco alla pubblicità. L’idea, dichiarata, è quello di abolirne completamente la presenza. Come, dunque? Puntando sul coinvolgimento attivo dei lettori nel processo distributivo della rivista, secondo un meccanismo che il fondatore del magazine ha ribattezzato “social distribution”.

Funziona così. I lettori possono acquistare un certo numero di copie di WTW ad un prezzo ridotto rispetto a quello di copertina (8 euro anziché 16); in cambio, devono però convincere la loro libreria preferita a metterle in vendita. La differenza d’incasso superiore alla cifra spesa inizialmente resta in tasca del lettore e della libreria, che potranno decidere autonomamente su come dividersi l’introito. Così, i lettori possono diventare distributori, incassare piccole somme e promuovere – questa, almeno, è la speranza – il loro giornale preferito.

Il magazine ha cominciato in punta di piedi. La seconda uscita, quella di luglio, è stata stampata soltanto in 3500 copie. Di queste, però, ben la metà sono state vendute attraverso la social distribution, finendo in bella mostra sugli scaffali di 32 librerie in Europa, America e Asia. E c’è anche chi si è spinto più in là: Bebel Abreu, un designer brasiliano, ha organizzato un evento a San Paolo in cui è riuscito a venderne più di quaranta copie. Un piccolo record, che Abreu cercherà di bissare in un secondo evento ad agosto.

La strada verso la completa sostenibilità è ancora lunga – rinunciare alla pubblicità è difficile e, come riporta il Nieman Journalism Lab, le donazioni e gli acquisti coprono all’incirca la metà delle spese. Questo mese, il direttore Bil’ak ha deciso di rinunciare allo stipendio, riuscito in compenso a pagare i collaboratori. Ma le indicazioni sono positive: con prodotti d’elite e costosi come WTW, il meccanismo della social distribuition, se prenderà piede, potrebbe davvero portare risvolti interessanti.

*Valerio Bassan è autore dell’ebook “Tutta un’altra notizia. Spunti e strumenti per il giornalismo del domani” (goWare, 2013).

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