Non è più l’epoca di Massimo Cruciani, fruttivendolo, ed Alvaro Trinca, ristoratore, i detonatori dello scandalo del calcio-scommesse del 1980, il famigerato “Totonero”. Anche nell’inchiesta avviata nel 2011 dalla procura di Cremona non mancano le comparse di provincia, ma il fenomeno, trent’anni dopo, ha assunto caratteri del tutto diversi, riflettendo la globalizzazione dei rischi e delle opportunità.
Le cronache sportive mettono in prima pagina il capitano della Lazio, Stefano Mauri, deferito assieme ad altri sei calciatori – Massimiliano Benassi, Mario Cassano, Stefano Ferrario, Carlo Gervasoni, Omar Milanetto, Antonio Rosati e Alessandro Zamperini – per un presunto illecito legato a due partite, Lazio-Genoa (14 maggio 2011) e Lecce-Lazio (22 maggio 2011). A livello di giustizia ordinaria si è ancora fermi alla fase preliminare e il procuratore capo di Cremona, Roberto De Martino, ha chiesto una proroga delle indagini. Sarebbe scorretto anticipare giudizi di tribunali e corti sportive, né al momento vi sono gli elementi per distribuire patenti di responsabilità. Ciò che interessa, qui, è sottolineare come il settore delle scommesse abbia ormai ramificazioni così fitte da superare abbondantemente i limiti economici dei confini nazionali.
L’Italia è uno dei tanti Paesi ad essere al centro delle attenzioni del crimine organizzato. L’inchiesta più grande degli ultimi anni, quella della procura di Bochum, in Germania, che portò a una serie di condanne nel 2011, prese in esame più di 330 partite in ben dodici campionati europei e in Canada. Turchia e, in tempi recenti, Ungheria sono state il teatro di indagini analoghe. E il calcio non è la sola disciplina a muovere gli interessi dei clan. Ci sono stati casi che hanno coinvolto il cricket – vedi l’Indian Premier League – il wrestling, addirittura il sumo.
Perché negli ultimi anni i crimini economici legati alle scommesse sono aumentati così tanto nel mondo dello sport? David Forrest, professore alla Salford Business School e al Macau Polytechnic Institute, esperto di economia applicata ed econometria, specializzato proprio nei settori dello sport e del gioco d’azzardo, è intervenuto a giugno al Festival dell’Economia di Trento, analizzando il fenomeno secondo la classica legge della domanda e dell’offerta. «L’evento sportivo», sostiene Forrest, «deve essere considerato alla stregua di una qualsiasi commodity. L’offerta viene da parte dei giocatori o degli arbitri. Nel calcio, ad esempio, sono i difensori, e soprattutto i portieri, a poter incidere di più sul risultato». Le motivazioni che spingono a vendersi sono di varia natura, ma spesso nascono dal rancore nei confronti del datore di lavoro: «I giocatori non pagati, o pagati solo in parte, si vendicano in questa maniera. C’è una correlazione tra le mazzette e l’assenza di stipendio. Non a caso gli episodi sono aumentati negli anni della crisi, soprattutto nelle serie inferiori. E non a caso ci sono molti scandali nei college americani, dove i giocatori non ricevono alcun compenso per le loro prestazioni, anche se le università guadagnano coi diritti televisivi delle partite».
Ovviamente questa spiegazione non risolve affatto la casistica. Ma il punto è che un’offerta c’è e ci sarà sempre. E la domanda? La domanda viene dal mondo del crimine, che vuole speculare. «È un po’ come avere informazioni riservate sul mercato ed agire di conseguenza», dice Forrest. La criminalità investe sulle scommesse sportive come su qualsiasi altro prodotto. L’inchiesta di Bochum, per fare un esempio, è nata indagando su un giro di prostituzione.
È dal lato della domanda che bisogna guardare per comprendere l’aumento vertiginoso del fenomeno. Il diffondersi delle scommesse on line ha avuto un effetto dirompente. Spiega l’economista britannico: «È aumentata la competizione. Prima le scommesse erano in regime di monopolio statale, adesso i bookmaker operano oltreoceano, in Paesi dove non si pagano le tasse. Si è espanso in maniera considerevole il mercato asiatico, anche per effetto della crescita cinese». Alcune cifre? Le vincite dei bookmaker di scommesse sportive sono triplicate dal 2000 al 2010, raggiungendo quota diciannove miliardi di euro annui di profitti. Europei e asiatici hanno reciproco accesso al mercato, per via della globalizzazione. È l’alta liquidità ha determinato la moltiplicazione degli episodi di corruzione sportiva.
Thomas Feltes, professore di criminologia, politica criminale e scienza delle Investigazioni alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università della Ruhr, a Bochum, anch’egli ospite a Trento, ha aggiunto ulteriori dati. Il giro d’affari annuale delle scommesse sportive, legali ed illegali, è di 300 miliardi di euro. Quello legato alle puntate on line è passato da 16,3 miliardi di euro del 2004 a 50,7 miliardi di euro del 2012. A rendere ancora più difficili i controlli contribuisce il fatto che il settanta per cento delle scommesse sul calcio e il novanta per cento di quelle sul tennis vengono fatte durante la partita. Così, mentre la criminalità organizzata guadagna, a farne le spese sono i giocatori d’azzardo incalliti, la cui malattia produce un indebitamento molto più elevato rispetto ad altre dipendenze, come quelle da cocaina o alcool.
Scorrendo i brogliacci di polizia e i provvedimenti di custodia cautelare del gip di Cremona, ci si imbatte in una realtà romanzesca, fatta di vecchie glorie del calcio, improbabili mediatori, sottobosco criminale balcanico e uomini d’affari orientali. Il centro di questa connection è Singapore, il che fa della Scommessopoli italiana un paradigma perfetto.
Se il problema è globale, ripete Forrest, anche la soluzione deve essere globale, per arginare un dramma che «al tempo stesso è economico e culturale, perché manda in frantumi un tradizionale luogo di costruzione dei sogni». Occorre intervenire tanto sulla domanda quanto sull’offerta. Lo sport deve fornire incentivi di tipo economico. Il professore fa l’esempio di una squadra macedone che aveva venduto per 300.000 euro una partita di Champions League. Se avesse passato il turno, avrebbe incassato 30mila euro. Ci vorrebbero, dice Forrest, fondi più consistenti per le pensioni degli sportivi, che fanno parte della fascia salariale medio-bassa. Si dovrebbe creare un’agenzia mondiale ad hoc, sul modello della Wada, la struttura che si occupa di lotta al doping. Sarebbe necessario uno scambio più rapido delle informazioni sui profili dei criminali, attraverso le banche dati. E bisognerebbe esercitare una pressione diplomatica, minacciando l’esclusione dalle competizioni internazionali, su quegli Stati che, soprattutto in Asia, non regolamentano il mercato, facendo un danno all’intero mondo dello sport. Ante Sapina, il protagonista dell’inchiesta tedesca, a un certo punto spostò i propri interessi verso l’Oriente, proprio perché non c’erano limiti al business.
Se non è impossibile perseguire penalmente i responsabili, quando si tratta di episodi locali, a livello globale è difficile tracciare con precisione i flussi finanziari. L’Europa da sola può fare poco. Le scommesse hanno molto a che vedere con il mercato internazionale dei capitali, e soprattutto con le regole e i controlli interni dei singoli Stati. La gang di Bochum è il simbolo di questa ragnatela: formata da criminali croati, residenti in Germania, otteneva profitti in Asia truccando partite in Europa e in Nordamerica.