Non c’è pace per le banche italiane. Nonostante le raccomandazioni alla calma da parte della Banca d’Italia, continuano ad aumentare sia le sofferenze sia i crediti dubbi. A tal punto che il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha ricordato all’Italia che sia le prime sia i secondi sono destinati a salire nel corso dei prossimi mesi. Per ora ci sono cifre contrastanti sulle sofferenze, si discute di valori compresi fra i 120 e i 135 miliardi di euro a seconda delle variabili prese in esame. Ma il totale dei finanziamenti deteriorati, secondo la stessa Banca d’Italia, è ben maggiore: quasi 250 miliardi di euro a fine marzo 2013. Una cifra che sarà rivista al rialzo entro breve. In altre parole, un altro problema per l’Italia.
Dopo anni passati a ricordare di come il sistema bancario italiano fosse passato quasi indenne alla crisi del mercato immobiliare statunitense, non si può dire lo stesso con la crisi dell’eurozona. Dal 2007 a oggi, lo ricorda il Fmi, i Nonperforming loans (Npl) sono più che triplicati. E ora iniziano a essere una minaccia per le banche italiane. Secondo Mediobanca i crediti dubbi lordi sono sempre più. Nel 2012 sono stati pari al 13,4% dei crediti lordi totali, circa 125 miliardi di euro. In pratica, quasi il triplo della media europea, che è al 5,4 per cento. E quasi 10 punti percentuali in più nel confronto con l’universo statunitense, che si ferma a quota 3,9 per cento. Le banche italiane sono sempre più in difficoltà e stanno evidenziando quella che gli analisti internazionali stanno definendo come un’anomalia. Ed è proprio per questo che nei mesi scorsi la divisione ricerca di Piazzetta Cuccia ha spiegato che si dovrebbe creare una bad bank per gli istituti di credito italiani, così da ripulire i bilanci dai crediti incagliati e inesigibili. Una soluzione che è contemplata anche dal progetto di risoluzione bancaria discusso in sede comunitaria.
Tuttavia, il problema è duplice: comprendere la reale entità dei Npl e capire come mai si è arrivati a questa situazione.Fra il dicembre 2011 e il febbraio 2012 la Banca centrale europea (Bce) ha lanciato due round di Long-Term refinancing operation (Ltro) a carattere triennale, operazioni di rifinanziamento a lungo termine. Tramite i due Ltro sono stati erogati oltre 1.000 miliardi di euro al settore bancario europeo. Di questi, circa 259 miliardi di euro sono finiti negli istituti di credito italiani. A distanza di un anno e mezzo, l’Italia è la maglia nera dei rimborsi, con meno del 5 per cento a fine aprile, secondo i calcoli del Credit Suisse. La riluttanza a ridurre le finestre di liquidità, dice la banca elvetica, è il segnale maggiore dello stress patito dagli istituti di credito italiani. E il peggio potrebbe ancora arrivare. Più si stringe il credito verso le imprese e le famiglie, più queste faticheranno a ripagare i debiti bancari, più i crediti considerabili dubbi aumenteranno. Secondo l’opinione di Lombard Street Research è un cane che si morde la coda: «Il picco non è ancora arrivato e forse solo a fine 2014 si potrà avere un quadro quasi completo dei Npl nelle banche italiane».
Capire il numero dei crediti inesigibili e dubbi in pancia alle banche italiane non è facile. Le possibili fonti, ovvero Associazione bancaria italiana (Abi) e Banca d’Italia, forniscono cifre che sono messe in discussione dagli investitori. Secondo l’Abi, in aprile le sofferenze nette hanno toccato il loro massimo storico, 66,4 miliardi di euro, mentre le sofferenze lorde hanno superato di slancio i 130 miliardi di euro, attestandosi a 133,3 miliardi. Se si volesse paragonare questi sofferenze con gli impieghi totali, i valori sono molto diversi da quelli forniti dalle istituzioni internazionali e dalle unità di ricerca delle banche d’affari. Nello scorso aprile le sofferenze nette sono state pari al 3,5% del totale degli impieghi, mentre erano al 2,6% un anno prima. Allo stesso tempo, le sofferenze lorde sono state il 6,8% degli impieghi complessivi, in crescita netta rispetto al 5,5% dell’aprile 2012.
Secondo la Banca d’Italia a marzo 2013 le sofferenze totali erano pari a 125,888 miliardi di euro, una cifra basata sui dati della Centrale rischi, con un incremento su base annua del 22 per cento. Ma andando a controllare l’ultimo bollettino statistico di Palazzo Koch, uscito pochi giorni fa, si arriva a una tabella che racconta una realtà differente. Secondo le varie segnalazioni di vigilanza pervenute a Banca d’Italia, le sofferenza complessive sono 130,951 miliardi di euro, a cui vanno aggiunti gli 81,597 miliardi di partite incagliate, i 13,934 miliardi di esposizioni ristrutturate e i 21,710 miliardi di esposizioni scadute o sconfinanti. Nel complesso, 248,192 miliardi di euro che potrebbero essere a rischio. Il motivo lo spiega UBS in un’analisi dello scorso dicembre. Il 70% dei crediti incagliati, secondo le serie storiche, diventano sofferenze nell’arco di 18-24 mesi, mentre il 55% delle ristrutturazioni dei debiti entra in sofferenza nuovamente entro 18 mesi dalla revisione e il 45% delle esposizioni scadute e degli sconfinamenti può avere la stessa sorte nello stesso orizzonte temporale. «Tutto dipende, però, da quanto è profondo il credit crunch», avverte la banca svizzera. Considerando che l’Italia «è fra i primi Paesi dell’eurozona» per questa poco onorevole classifica, le banche italiane non possono dormire sonni tranquilli.
E poi c’è la versione del Fondo monetario internazionale. Durante l’ultima missione all’interno del Financial sector assessment program (Fsap), che monitora periodicamente la condizione del sistema finanziario dei singoli Paesi. Una sonora bacchettata è giunta all’Italia proprio durante l’ultimo rapporto, che ha certificato l’esistenza di metodologie di calcolo dei non-performing loans molto più conservative che altrove. In altre parole, il Fmi ha messo in guardia dalla possibilità che i Npl possano essere di più. E secondo un report della Banca d’Austria di inizio anno, l’Italia è l’unico Paese fra Austria, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Portogallo, Spagna e Regno Unito a usare «una discrezionalità a rialzo nel calcolo dei Npl». Traduzione: si forniscono in genere cifre più positive di quelle reali. Secondo i calcoli della Banca d’Austria, a fine 2011 i Npl delle banche italiane calcolati in base agli standard del Fmi (IMF Financial soundness indicator, o Fsi) sono stati pari all’11,8% degli impieghi totali. Tuttavia, scorrendo gli ultimi dati del Fmi si può scorgere che questi crediti hanno superato quota 13,5%, allineandosi con le stime di Mediobanca. Allo stesso modo, la Banca d’Austria ha monitorato anche i Npl delle banche italiane secondo i dati della Bce (ECB Consolidated banking data, o CBD18). Ne è emerso che a fine 2011 sulle banche italiane pesava circa il 9,2% di crediti dubbi. In questo caso, tuttavia, è la stessa banca centrale di Vienna a ricordare che i dati analizzati dalla Bce sono molto conservativi poiché «armonizzati per tutte le banche della zona euro».
Di fronte a dati così diversi e così «conservativi», come ricordato dal Fmi, è lecito chiedersi se le banche italiane hanno bisogno di un aiuto esterno per ripulire i propri bilanci, come proposto da Mediobanca. E qui subentra il problema maggiore: come sostenere gli istituti di credito italiani? È possibile farlo attraverso il fondo European stability mechanism (Esm). ma a patto di forti condizionalità, come è stato nei mesi scorsi per le banche spagnole. E queste solo un governo forte, stabile e duraturo può mantenerle. Mentre si discute di IMU, Iva e prossima legge di bilancio, la sofferenza del sistema bancario italiano continua.