Il Vaticano ha i bilanci in attivo, e non perché siano aumentate le offerte e le donazioni – anzi queste ultime sono in calo ormai da alcuni anni – ma per il «buon rendimento della gestione finanziaria». Insomma Oltretevere avranno pure i loro problemi con lo Ior, ma intanto gli investimenti li devono saper fare se sono riusciti ad uscire dal passivo abbastanza pericoloso in cui si trovavano lo scorso anno. È questo uno degli aspetti emersi dall’ultimo rapporto sullo stato delle finanze vaticane appena pubblicato. Nei giorni scorsi, infatti, si è riunita la commissione dei cardinali che si occupa dei problemi economici e finanziari; una dozzina di porporati in tutto provenienti da ogni parte del mondo che di questi tempi, ogni anno, si riuniscono per ascoltare le relazioni dei vari capi dicastero e responsabili di strutture economiche del Vaticano e discutere sullo stato delle cose.
Fra l’altro i cardinali
«hanno incoraggiato la necessaria riforma finalizzata a ridurre i costi attraverso un’opera di semplificazione e razionalizzazione degli organismi esistenti, nonché una più attenta programmazione dell’attività di tutte le amministrazioni».
Un modo diplomatico per dire: ora bisogna tagliare e snellire uffici gli apparati. Anche il Papa è intervenuto, il suo discorso non è stato diffuso, ma a sentire il cardinale sudafricano Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, presente all’incontro, Francesco ha insistito fortemente sul tema della riforma della Curia, quindi, ha precisato Napier, il Papa ha spiegato che «molto deve essere ancora aggiustato, o notevolmente migliorato per ripristinare la credibilità. In primo luogo servono una reale trasparenza e una vera accountability». C’è stata anche una relazione del presidente dello Ior Ernst Von Freyberg alla quale è seguita «un’ampia riflessione con opportuni chiarimenti».
C’è poi il dato che riguarda lo Ior. Anche quest’anno la banca vaticana ha contributo in modo decisivo a salvare il bilancio della Santa Sede da un profondo rosso: lo Ior ha infatti contribuito con circa 55 milioni al bilancio complessivo. Per la prima volta poi, sono state rese note, oltre ai bilanci per così dire “amministrativi” di Santa Sede e Governatorato, anche altre importante voci di spesa – la carità, l’attività pastorale – in tal modo si è cominciato a dare un quadro più articolato dei movimenti finanziari vaticani.
Il quadro generale allora è il seguente. La Santa Sede per le spese di Curia ha avuto circa 250 milioni di entrate e 248 milioni di uscite, in tal modo ha fatto registrare un attivo di poco più di due milioni. Il Governatorato (spese amministrative) ha registrato poco più di 261 milioni di entrate e circa 238 in uscita per un attivo di 23 milioni di euro. Il fatto nuovo è costituto dal bilancio relativo alla carità: qui si parla di 276 milioni di euro in entrata e di 274 in uscita, insomma quasi tutto è stato speso per Caritas internationalis, obolo di San Pietro, Pontificie opere missionarie e altri voci. Infine c’è il bilancio della Santa Sede per l’attività pastorale, (basiliche maggiori, parrocchie pontificie, altre istituzioni) dove a quasi 74 milioni di entrate corrispondono 72 milioni di uscite. Un primo dato interessante è allora il seguente: se si sommano le voci dei diversi bilanci della Santa Sede (Curia, carità, pastorale) si arriva circa a quota 600 milioni di euro di entrate, se si somma poi il Governatorato siamo a 861 milioni. Naturalmente le uscite raggiungono una cifra simile e alla fine ne risulta un leggero ma significativo attivo. In tale contesto cosa accadrebbe se dovessero venir meno i 55 milioni di contributi dello Ior? La Santa Sede, le sue strutture, i suoi stessi investimenti caritativi, sprofonderebbero in un passivo pesante, da qui una considerazione inevitabile: lo Ior non può chiudere, e anche una sua trasformazione dovrà tenere conto di questi numeri.
Ancora significativa la flessione delle offerte: l’ “Obolo di San Pietro”, cioè le offerte dei fedeli a sostegno della carità del Papa, è passato da poco meno di 68 milioni di dollari del 2011, a circa 66 milioni di dollari. Il contributo delle chiese di tutto il mondo «per il mantenimento del servizio che la curia romana presta alla Chiesa universale», è sceso da 32 milioni di dollari del 2011, a 28, con un calo dell’11,91 per cento. Anche in calo i contributi delle congregazioni religiose di tutto il mondo alla Santa Sede. Chissà se in queste ultime due voci oltre ai sintomi della crisi economica mondiale vadano registrati anche i segnali di insofferenza verso i gravi problemi che hanno attraversato la curia romana negli ultimi anni.
Va detto in ogni caso che quest’anno la pubblicazione dei bilanci ha avuto un elemento di trasparenza in più, una moltiplicazione di voci e quindi anche di cifre che hanno reso più credibile le notizie relative a spese ed entrate della Santa Sede. In questo ha giocato un ruolo positivo il fatto che la Prefettura degli affari economici (cardinale Giuseppe Versaldi), uno dei dicasteri finanziari del Vaticano, abbia svolto un ruolo di raccordo e coordinamento della rendicontazione, una decisione che fu presa nell’ultimo scorcio di pontificato di Benedetto XVI e che trova ora, nello sforzo verso la trasparenza intrapreso da Francesco, un riscontro positivo.