A Locarno trionfa “Manakamana”: quando vince la qualità

Si chiude il Festival: i giudizi

Sia lodata “Manakamana”, sempre sia lodata. Il nostro tifo sfegatato espresso qui e qui trova ultima soddisfazione nel verdetto della giuria della sezione Cineasti del Presente, che l’ha premiata col Pardo d’Oro come opera migliore: gran colpo per i due giovani americani Stephanie Spray e Pacho Velez. Eccellente la scelta di indicare, sempre in questa sezione che è la più sperimentale e che quest’anno ha offerto le proposte senz’altro più interessanti, il galiziano Lois Patiño come miglior regista emergente con il documentario “Costa da Morte”. Completano il quadro di CdP i riconoscimenti per il buono “Mouton” dei francesi Gilles Deroo e Marianne Pistone, cui va il premio speciale della giuria (oltre a un riconoscimento come miglior opera prima) e la menzione speciale per il thailandese “Sai Nam Tid Shoer” di Nontawat Numbenchapol, film ecologista di splendida fattura.

Quanto al Concorso Internazionale, sulla carta il principale ma come detto surclassato in qualità da Cineasti del Presente, il Pardo d’Oro va a “Historia de la meva mort”, gioco intellettuale autoriale-spinto del men che quarantenne catalano Albert Serra, il quale immagina l’incrocio di destini (e di desideri) tra Casanova e Dracula. Cinema da prendere o lasciare. Dopotutto Serra dei suoi film dice che sono “unfuckable”, ficcante espressione per intendere che non si discutono: o li ami o li odi. Assai probabile che il pubblico non farà la fila, ma a Serra peraltro questo interessa poco o nulla.

Premio speciale a un altro iberico, il dolente portoghese “E agora? Lambra-me”, di Joaquim Pinto. La miglior regia è stata considerata quella del sudcoreano Hong Sangsoo per “U ri Sunhi”, fin troppo lieve commedia sentimentale su tre uomini intorno a una ragazza. Premiata la interpretazione del grande Fernando Bacilio per il peruviano “El mudo” dei fratelli Daniel e Diego Vega (http://www.linkiesta.it/el-mudo-festival-locarno). Miglior attrice Brie Larson per “Short Term 12” di Destin Cretton, film americano su un centro di accoglienza per adoloscenti a rischio, film che riceve anche una menzione speciale insieme a “Tableau noir” di Yves Yersin, anch’esso incentrato su un gruppo di giovani, anzi di giovanissimi: gli alunni di una scuola sperduta tra le montagne svizzere.

Per la sezione Piazza Grande, vincono “Gabrielle” di Louise Archambault, film su amore e malattia, e “Two Guns” di Baltasar Kormákur con Denzel Washington, storia piena d’azione ma non corriva su poliziotti alle prese con il narcotraffico.

Assolti i doveri della cronaca (non senza considerare che per l’Italia è andata indiscutibilmente male, a parte un premio minore per il pessimo “Sangue”), questa è la nostra personalissima proposta degli imperdibili film di Locarno 2013. Dodici tracce: dodici come gli apostoli, come i segni zodiacali, e soprattutto come quella sporca dozzina. Senza classifiche, in rigoroso ordine di proiezione pubblica.
 

I FILM IMPERDIBILI
 

E AGORA? LEMBRA-ME – Struggente opera autobiografica del cineasta portoghese Joacquim Pinto. Viaggio nell’inferno della malattia, la dura battaglia, insonne e devastante, contro l’Aids e l’epatite. Avendo al fianco, fedeli e testardi nel loro amore, i tre cani e soprattutto il compagno Nuno, figura quasi letteraria, riflesso speculare ringiovanito e sano di Pinto, dal momento che fisicamente sembra il Pinto di vent’anni fa, prima che nel sangue cominciassero a correre i maledetti virus. L’incubo della sofferenza ma senz’ombra di pietismi, tra cure dolorose, viaggi iberici, ricordi in pellicola. E con lo stupore che non smette di lavorare negli occhi del cineasta, incantandosi dentro la natura piena di dettagli. Bassissimo costo, altissima resa.

WRONG COPS – Quando polizia fa rima con idiozia. Un racconto grottesco e politicamente scorretto di splendida scrittura, in cui Quentin Dupiex orchestra le sue uniformi sbagliate alle prese con ogni genere di sballo: marijuana, musica techno, denaro (la dipendenza più deformante), sesso in varie declinazioni. Una Pasadena alienata fa da teatro eternamente soleggiato al gruppo di personaggi, in un pastiche di stili e di situazioni, in cui ognuno sembra perseguire un destino che appartiene a tutti quanti gli altri: dare il peggio di sé, sempre e comunque.

 https://www.youtube.com/embed/q7zlCqlvU30/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

UNE AUTRE VIE – Che magnifico melodramma, così pieno di mare mosso, di taxi in attesa, di ariosa orchestrazione per archi. Il regista Emmanuele Mouret assembla un trio piuttosto originale con una pianista, un elettricista e una venditrice di scarpe. Lui lei e l’altra in Costa Azzurra. L’amore che nasce grazie un allarme domestico è agitato come il Mediterraneo che batte Tolone fuori stagione. Si ama, ma non per sempre: spesso è affetto, talora abitudine, e anche la classe sociale e il lavoro hanno un ruolo non secondario. Jasmine Trinca suona, e in certi punti recitativamente stona. Ma è impossibile non adorare questo film, sempre che si sia provvisti di cuore.

FEUCHTGEBIETE – Non si può evitare di parlare di queste “Zone umide” a firma di David Wnendt, anche perché faranno parlare molto di sé presentandosi sui mercati d’Europa. Le peripezie erotiche di Helen prevedono un ampio ventaglio di attrezzeria sessuale, dal canonico pene alle carote fredde di frigorifero, passando per vari oggetti di uso più o meno comune, applicati nei differenti orifizi (non sgradita l’opzione omosessuale, neh). A ciò si aggiunge un’insana passione per il putrido e un fastidio emorroidale assolutamente nodale sul piano drammaturgico. Comunque il vero problema della ragazza è sentimental-familiare, cioè il divorzio dei genitori. Cercasi sicurezze, che hanno il sembiante di un placido infermiere biondo e tranquillo. Alla fin fine, un film di buoni sentimenti, per quanto sporcaccioni.

 https://www.youtube.com/embed/mtQDKDw6JNo/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

COSTA DA MORTE – Siamo in Galizia, dove i Romani facevano terminare il mondo. Acquatico e selvaggio è questo luogo, dove la nebbia aggredisce i boschi e il mare le scogliere. La violenza del paesaggio ha un’inquietudine misteriosa, assorbe in sé ogni cosa e anche la presenza degli abitanti diventa un punto mobile perso nei campi lunghi che segnano le scelte di regie di Lois Patiño. La voce umana è come le altre voci del mondo: più che per le parole e i pensieri che veicola, importa perché suona il suo spartito nel più vasto concerto della natura. Navi solcano le onde, scampano alle bufere, il cielo si mangia l’orizzonte, il fuoco illumina di rossi chiarori la notte. Questo è lo spettacolo più grande, Costa da Morte, più grande di tutti gli sguardi che lo possono guardare.

 https://player.vimeo.com/video/31892682?autoplay=0 

MANAKAMANA – Un Frammartino nepalese. Il miglior film di tutto il festival.

 https://www.youtube.com/embed/l2dysc8Fo0A/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

L’EXPERIENCE BLOCHER – Accolto assai freddamente dal pubblico svizzero (anche giornalistico), questo documentario è una sorta di road-movie politico su uno dei personaggi più controversi della Confederazione elvetica: Christoph Blocher. Nato in una famiglia modesta, guadagna una fortuna come imprenditore grazie a un fiuto eccezionale che lo porta prima degli altri a capire che il mercato si sposta a oriente, in quella Cina comunista con cui da fiero anti-comunista fa affari d’oro. Con lo stesso intuito implacabile entra in politica. Nel ’92, l’apoteosi: cavalca il no al referendum per l’ingresso della Confederazione in Europa. E vince. Da padrone assoluto, con un gran senso della scena anche un po’ guitto, fa del Partito del Popolo svizzero il primo partito del paese con un terzo dei voti globali in carniere. Anti-tasse, anti-Ue, anti-immigrati. Un modello di destra popolar-populista in anticipo sui tempi continentali (e italiani). Jean-Stéphane Bron subisce forse il fascino del personaggio, ma è assai meno conciliante di quanto si dica. E ha uno stile di racconto strepitoso.

REAL – Un thriller sul mistero della creatività e dell’amore con approccio neurologico. Kiyoshi Kurosawa (non è parente) allestisce un film in linea col suo standard: cioè altissimo. Lei, disegnatrice di fumetti manga, è in coma; lui, grazie a una macchina e sotto controllo medico, può entrare nel suo subconscio. Per scoprire perché ha cercato di ammazzarsi. I mostri dell’anima prendono forma e trattandosi di artisti del disegno giapponese non possono che avere tratti fumettistici: si chiama coerenza, ma i sedicenti puristi non condividono. Gran senso del racconto e della tensione. La lezione di un maestro.

 https://www.youtube.com/embed/WnpHKIjV_OM/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

YUAN FANG – Un altro film dell’Estremo Oriente. Non una storia, ma tredici lunghe particelle di storie, ognuna ripresa in pianosequenza con camera fissa, che esplorano la solitudine dei personaggi amplificata dalla distanza di ripresa. I soggetti entrano in scena, compiono il loro destino quasi sempre minimo, poi escono. Alcune azioni capiamo che accadono in contemporanea dal risuonare identico di un tuono. La modernità fa capolino sotto forma di rumore di un qualche motore in azione (auto, navi, robot per piscine…). Nella circolarità del tempo e della vita. Ostico, forse pallosissimo, ma affascinante questo primo lungometraggio del cinese Zhengfan Yang.

 https://www.youtube.com/embed/1ycoKQr0Gic/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

FORTY YEARS FROM YESTERDAY – Un piccolo capolavoro di misura da parte del giovane duo Robert Machoian e Rodrigo Ojeda-Beck. La morte improvvisa della moglie sconvolge la vita di Ben. Il film è per gran parte il racconto delle sue prime annichilite ore vedovili. Intorno a lui, il lavoro discreto dei necrofori e il resto della famiglia che deve fare i conti con la perdita. Il finale regala due scarti inattesi e bellissimi della storia: la ferita emotiva che si fa parola e un richiamo alla vita che nonostante va avanti nel suo destino. Molto bello.

 https://player.vimeo.com/video/64408859?autoplay=0 

BLUE RUIN – Non sapevamo che dalle parti della Virginia si aggirasse una reincarnazione (appena più longilinea) di Peter Lorre alle prese con una vendetta familiare, la cui oscurità oscilla tra la tragedia e la black comedy. Lo sceneggiatore, regista e operatore Jeremy Saulnier ha dalla sua un copione semplice e compiuto come un teorema e soprattutto un attore eccelso che risponde al nome di Macon Blair. I due sono amici dall’infanzia e hanno giustamente pensato che valesse la pena dar fondo alle personali carte di credito e farsi prestare (senza rientro) la macchina vecchia di papà Saulnier, pur di realizzare “Blue ruin”. Grandissimo film.

 https://www.youtube.com/embed/d42NF70cUak/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

ABOUT TIME – Dopo aver visto “About Time”, e adeguatamente considerando che dalla sua penna sono venute fuori cose come le avventure di Mr. Bean, “Notting Hill”, “Quattro matrimoni e un funerale”, “Love actually” e “I love Radio Rock” (queste ultime due le ha pure dirette), c’è forse solo una parola per definire Richard Curtis: maestro. Alcune stanche vestali della cinefilia rabbrividiranno, ma pazienza. Il commercialissimo cineasta britannico allestisce una sbalorditiva commedia sui viaggi nel tempo per riflettere senza sociologismi di maniera sulla famiglia con le sue ansie, le sue tempeste, la sua irrinunciabilità. Personaggi e dialoghi perfetti. Per non morire di singhiozzi, vietatissimo ogni paragone di qualunque tipo con qualsiasi commedia contemporanea fatta a sud di Chiasso.